Da Le Monde diplomatique del 22/12/2005

Fragore di tuoni a La Paz

Evo Morales, dirigente del Movimento per il Socialismo (MAS), è il nuovo presidente della Bolivia. Un altro paese dell'America Latina ha un governo di sinistra.

di Maurice Lemoine

Al di là del significato simbolico di cui nessuno sottovaluterà la portata, il fatto che Evo Morales sia indigeno, ed il primo indigeno a conquistare il potere in Bolivia, non è il punto cruciale. Dopo tutto, questo paese ha già conosciuto un vice-presidente aymara, M. Victor Hugo Cardenas: ma la sua origine etnica non gli ha impedito di condurre, o di garantire, una politica ferocemente neo-liberista, all'epoca del primo mandato di M. Gonzalo Sánchez de Lozada (1993-1997). Proprio come l'attuale capo di stato del Perù, M. Alejandro Toledo (meticcio quechua) che, per farsi eleggere, ha giocato ampiamente sulla presenza di sangue indigeno nelle sue vene.

Di certo Morales è un indigeno aymara, e fiero di esserlo, rifiutando però tutto quell' "etnicismo". Infatti, al di là della sua comunità di origine, egli è riuscito a riunire attorno a sé meticci, classe media ed intellettuale. Ciò gli ha permesso di ottenere la prima tornata nelle elezioni presidenziali del 18 dicembre, con il 52 % dei voti, cifra annunciata il 20 dicembre dal Tribunale Elettorale Nazionale, dopo lo spoglio del 60 % dei suffragi. Con questo risultato, Evo Morales offre al paese più povero del continente americano - il 74 % della popolazione, a maggioranza indigena, vive sotto la soglia di povertà - una speranza di cambiamento attesa troppo a lungo. Presidente delle sei federazioni di piantatori di coca, deputato di Cochabamba nel 1997, principale dirigente della prima forza politica del Paese, il Movimento per il Socialismo (MAS), Evo Morales ha accompagnato e diretto, insieme ad altri leader di numerosi movimenti sociali, le sollevazioni che, nel giro di due anni, hanno fatto cadere due presidenti - Gonzalo Sánchez de Lozada (17 ottobre 2003) e Carlos Mesa (6 giugno 2005).

Da allora, in Bolivia il cambiamento è un argomento all'ordine del giorno: la rimessa in causa del "modello neo-liberale" e dello "stato coloniale", la nazionalizzazione delle risorse naturali, in particolare gli idrocarburi, la riforma agraria, la rivalorizzazione delle lingue indigene, un processo per l'autonomia delle regioni e l'elezione di un'assemblea costituente (nel giugno del 2006) per "rifondare il paese".

In Bolivia, nessuno lo ignora, gli ostacoli non mancheranno. Se i partiti tradizionali sono stati sconfitti, il MAS - 65 deputati su 130 e 13 senatori su 27 - disporrà solo di una fragile forza al congresso.

Sebbene rinnegati dalla loro base che ha optato massicciamente per Evo Morales, i dirigenti dei movimenti di sinistra più radicali, - M. Jaime Solares, di Centrale Operaia Boliviana (COB) o M. Felipe Quispe, del Movimento Indigenista Pachakuti (MIP) - non gli faciliteranno il compito se le riforme tardassero troppo.

Avendo accettato pubblicamente la disfatta, i conservatori, da parte loro, non tarderanno a rialzare la testa poggiandosi sull'élite bianca nelle ricche province dell'est del paese - Santa Cruz e Tarija - dalle affermate tendenze separatiste.

Bisognerà contemplare anche le multinazionali del gas e del petrolio (Totale, Repsol, Petrobras, British Gas, Exxon, per citare sole le più importanti), sostenute dai loro governi (Francia, Spagna, Brasile, Regno Unito, Stati Uniti...). Garantendo che, nella cornice politica di una "nazionalizzazione senza espropriazioni", queste ditte potranno continuare a lavorare in Bolivia, il nuovo presidente ha fatto sapere che il suo governo rivedrà tutti i contratti (spesso firmati a margine della legge), aumenterà tasse e royalties, riprenderà la proprietà dei giacimenti, e controllerà il 50% della produzione. Come nel caso della politica petrolifera condotta dal presidente venezuelano Hugo Chavez, la ri-appropriazione delle riserve di gas, stimato in 1.375 miliardi di metri cubi (il secondo del continente dopo il Venezuela), è difatti indispensabile per finanziare le misure sociali aspettate dalla maggioranza dei boliviani.

Infine bisognerà affrontare Washington, che ha appena subito un nuovo rovescio nel suo giardino di casa latino-americano e, da molto tempo, ha fatto di Evo Morales una delle sue bestie nere, insieme ad Hugo Chávez (in Venezuela) e Fidel Castro (a Cuba). Tradizionalmente, per gli Stati Uniti, col pretesto della lotta al narcotraffico, tutti i registri di agenda bilaterale sono accompagnati da condizioni, dirette o indirette, in relazione allo sradicamento totale delle piantagioni di coca: debito estero, cooperazione in materia di salute ed educazione, relazioni commerciali, etc... Ora, se il dirigente dei MAS ha annunciato "zero cocaina, zero narcotraffico", ha precisato "ma non zero coca". Morales fa apertamente propaganda per la depenalizzazione di questa pianta utilizzata dagli indigeni per fini rituali e medicinali e rifiuta le continue ingerenze americane negli affari interni del paese, in nome della politica antidroga. A ciò si aggiunge la rimessa in causa della firma al trattato di libero commercio (TLC) ed è nell'aria il forte sentimento di diffidenza provato ed espresso a Washington.

La congiunzione di questi tre fattori - opposizione conservatrice, resistenza delle multinazionali ed ostilità americana - potrebbe far temere il peggio per questo paese, in situazione di crisi permanente. Tuttavia, a Evo Morales non mancano le carte vincenti. Il popolo ha fatto di lui il simbolo del proprio desiderio di cambiamento. Ogni tentativo di destabilizzazione interna cozzerà con una di quelle massicce mobilitazioni popolari di cui i Boliviani hanno il segreto. Peraltro, per condurre a buon fine il progetto di cui è portatore, arriva al potere in un momento propizio. Difatti, aggiungendosi al fronte dei paesi che rifiutano l'egemonia ed il liberismo economico degli Stati Uniti - Cuba, Venezuela, Argentina, Brasile ed Uruguay - va a beneficiare della loro simpatia, addirittura del loro aiuto e della loro protezione, nello stesso momento in cui lui li rinforzerà.
Annotazioni − Traduzione di Antonella Geusa e Carlo Martini per peacelink.it

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