Da Peace Reporter del 23/12/2005
Originale su http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=0&idart=4287
Liberia, terra di nessuno
Nonostante l’embargo i gruppi armati lucrano sul traffico di diamanti e legno
di Matteo Fagotto
Adesso si fa sul serio. Finita la sbornia elettorale con le accuse di brogli lanciate dallo sconfitto George Weah alla neo-presidente Ellen Johnson Sirleaf, la Liberia deve fare i conti con la ricostruzione. Non è difficile indicare le priorità, per di più se i principali problemi che hanno provocato una guerra durata 14 anni non sono stati affrontati. E’ quanto sostiene un recente rapporto pubblicato da Global Witness, che sottolinea come il traffico illecito di diamanti e legname pregiato prosegua tuttora. In barba all’embargo imposto dalle Nazioni Unite.
Embargo monco. L’embargo imposto dall’Onu all’indomani della fine del conflitto era mirato proprio a bloccare il commercio delle due principali risorse che avevano permesso alle parti in causa di proseguire il conflitto. Difficile però controllare il flusso di materie prime, soprattutto al confine con la Sierra Leone e la Costa d’Avorio dove tuttora si aggirano gruppi armati di mercenari pronti a vendersi al miglior offerente. Così il traffico illecito di diamanti e legno sarebbe proseguito, coinvolgendo quegli ex-combattenti che i programmi di disarmo non sono riusciti a reinserire nella vita civile, principalmente per mancanza di fondi. A questo proposito PeaceReporter ha più volte provato a contattare l’ufficio stampa dell’Unmil, ma senza successo.
Caschi blu dell'Unmil in parataArmi scomparse. “L’Unmil si è rivelata efficace per quanto riguarda il programma di raccolta delle armi, ma non è riuscita a reinserire gli ex-combattenti”, conferma a PeaceReporter Natalie Ashworth, portavoce di Global Witness. In realtà neanche i risultati del disarmo sono stati esaltanti: nonostante più di 70 mila ex-combattenti si siano presentati nei campi di raccolta, il quantitativo di armi raccolte dai caschi blu è stato pari solo a un terzo. Dov’è finito il resto delle armi? Nei paesi vicini e in Costa d’Avorio in particolare, dove da tre anni è in corso una guerra civile. Una buona parte però sarebbe rimasta in Liberia, a disposizione delle reti di ex-combattenti che hanno preferito continuare il traffico di diamanti e legname in tutta tranquillità, visto che al momento la capacità di controllo del territorio da parte delle autorità liberiane è praticamente nulla e l’Unmil, con 15 mila uomini, non può fare miracoli.
La neo-presidente Ellen Johnson SirleafCircolo vizioso. “E’ vero, l’Unmil ha un numero di uomini limitato e sarebbe irrealistico pretendere che ponga fine da sola al contrabbando” prosegue la Ashworth. “Nei mesi scorsi il contingente Onu è stato impiegato nel disarmo e nell’assistenza alle elezioni. Ora è vitale che si impegni nella lotta contro il traffico di risorse, e senza pattugliamenti regolari non è possibile far molto. Quando sono andata a visitare il confine tra Liberia e Guinea non ho trovato nessuno che lo monitorasse”. La presidente Sirleaf si trova di fronte a un problema di difficile soluzione: da una parte l’embargo imposto dall’Onu, anche se sistematicamente violato, permette di porre un minimo di freno alla corruzione foraggiata proprio dal traffico di materie prime. Dall’altra però il prolungamento dell’embargo ostacola lo sviluppo economico del Paese, costringendo le fasce più deboli della popolazione a darsi alla delinquenza. “Per questo è vitale che la comunità internazionale e l’Unmil affrontino il problema al più presto” conclude Natalie Ashworth. “Non si può aspettare che le autorità liberiane facciano esplicita richiesta di assistenza. Anche perché, in questi anni, sono state tra le principali beneficiarie dei flussi di denaro generati dal traffico illecito.”
Embargo monco. L’embargo imposto dall’Onu all’indomani della fine del conflitto era mirato proprio a bloccare il commercio delle due principali risorse che avevano permesso alle parti in causa di proseguire il conflitto. Difficile però controllare il flusso di materie prime, soprattutto al confine con la Sierra Leone e la Costa d’Avorio dove tuttora si aggirano gruppi armati di mercenari pronti a vendersi al miglior offerente. Così il traffico illecito di diamanti e legno sarebbe proseguito, coinvolgendo quegli ex-combattenti che i programmi di disarmo non sono riusciti a reinserire nella vita civile, principalmente per mancanza di fondi. A questo proposito PeaceReporter ha più volte provato a contattare l’ufficio stampa dell’Unmil, ma senza successo.
Caschi blu dell'Unmil in parataArmi scomparse. “L’Unmil si è rivelata efficace per quanto riguarda il programma di raccolta delle armi, ma non è riuscita a reinserire gli ex-combattenti”, conferma a PeaceReporter Natalie Ashworth, portavoce di Global Witness. In realtà neanche i risultati del disarmo sono stati esaltanti: nonostante più di 70 mila ex-combattenti si siano presentati nei campi di raccolta, il quantitativo di armi raccolte dai caschi blu è stato pari solo a un terzo. Dov’è finito il resto delle armi? Nei paesi vicini e in Costa d’Avorio in particolare, dove da tre anni è in corso una guerra civile. Una buona parte però sarebbe rimasta in Liberia, a disposizione delle reti di ex-combattenti che hanno preferito continuare il traffico di diamanti e legname in tutta tranquillità, visto che al momento la capacità di controllo del territorio da parte delle autorità liberiane è praticamente nulla e l’Unmil, con 15 mila uomini, non può fare miracoli.
La neo-presidente Ellen Johnson SirleafCircolo vizioso. “E’ vero, l’Unmil ha un numero di uomini limitato e sarebbe irrealistico pretendere che ponga fine da sola al contrabbando” prosegue la Ashworth. “Nei mesi scorsi il contingente Onu è stato impiegato nel disarmo e nell’assistenza alle elezioni. Ora è vitale che si impegni nella lotta contro il traffico di risorse, e senza pattugliamenti regolari non è possibile far molto. Quando sono andata a visitare il confine tra Liberia e Guinea non ho trovato nessuno che lo monitorasse”. La presidente Sirleaf si trova di fronte a un problema di difficile soluzione: da una parte l’embargo imposto dall’Onu, anche se sistematicamente violato, permette di porre un minimo di freno alla corruzione foraggiata proprio dal traffico di materie prime. Dall’altra però il prolungamento dell’embargo ostacola lo sviluppo economico del Paese, costringendo le fasce più deboli della popolazione a darsi alla delinquenza. “Per questo è vitale che la comunità internazionale e l’Unmil affrontino il problema al più presto” conclude Natalie Ashworth. “Non si può aspettare che le autorità liberiane facciano esplicita richiesta di assistenza. Anche perché, in questi anni, sono state tra le principali beneficiarie dei flussi di denaro generati dal traffico illecito.”
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