Da Pagine di Difesa del 18/01/2006
Originale su http://www.paginedidifesa.it/2006/crovetti_060118.html

Il Giappone nucleare e la punta dell’iceberg politico-militare di Koizumi

di Giacomo Crovetti

Asia Times torna ad evidenziare, seppure con toni decisamente più moderati rispetto ad un precedente articolo ripreso da Japan Focus (“The unthinkable: A nuclear-armed Japan” di F. Barnabie e S. Burnie), la minaccia agli equilibri geopolitico-militari dell’area del Pacifico costituita dalle ingenti scorte di plutonio accumulate dal Giappone e dagli sviluppi futuri della strategia nucleare del paese. “Japan’s new energy strategy” di Hisane Masaki nel presentare le linee guida della futura politica energetica giapponese, riprende il tema della produzione di combustibile Mox (uranium-plutonium mixed oxide fuel) ottenuto sottoponendo a trattamento il combustibile nucleare esausto al fine di estrarne il plutonio, per il funzionamento di nuovi impianti Fbr (Fast-Breeder Reactor).

Secondo la testata di Hong Kong, le scorte di plutonio prodotte sono nel tempo incrementate facendo sì che il Giappone venisse visto con sospetto dagli altri Paesi proprio in quanto, pur essendo uno stato aderente al Npt (nuclear Non Proliferation Treaty), rappresenta l’unico Stato a cui viene concesso di arricchire l’uranio e sottoporre a trattamento il combustibile esausto per scopi civili. Nel menzionato articolo di Barnabie e Burnie le scorte di plutonio venivano quantificate in circa 45.000 Kg e, associate alla più avanzata tecnologia missilistica mondiale, faceva presagire agli autori dell’articolo un Giappone in grado di dotarsi entro brevissimo tempo di un consistente arsenale nucleare con conseguente concreto rischio di grave destabilizzazione militare nell’area del Pacifico.

Fin dal 1960 la politica nucleare del Giappone si è basata su produzione e utilizzo in larga scala di plutonio e nonostante le rassicurazioni del governo giapponese in ordine al possesso delle quantità necessarie esclusivamente per scopi civili e commerciali, affermano gli autori, le riserve sono andate fuori controllo con una previsione della domanda che per il 2010 si aggirerà intorno a 85.000-90.000 Kg. E’ vero che le linee strategiche per lo sviluppo energetico giapponese prevedono una sempre maggiore indipendenza del Paese dal petrolio e, quindi, la necessaria presenza dell’energia nucleare (ma anche di quella eolica e fotovoltaica) in misura massiccia ma ciò che lascia perplessa l’opinione pubblica mondiale è proprio la quantità di scorte di plutonio stoccate e, soprattutto, l’impossibilità di determinare con esattezza la quantità di plutonio posseduta dal Giappone.

A questo punto è lecito chiedersi come possa essere letto il problema del Giappone nucleare rispetto alle vicende nucleari della Corea del Nord e adesso dell’Iran. Indubbiamente la prima e la più consistente differenza tra le tre ipotesi è che mentre il Giappone appartiene alla schiera degli alleati sempre più alleati degli Stati Uniti d’America, la Corea del Nord e l’Iran sono stati ufficialmente inseriti tra gli Stati canaglia. E’ chiaro che ciò che può essere consentito al Giappone (anche dall’Iaea, seppur organo imparziale) non è possibile consentirlo alle altre due nazioni: se il desiderio del Giappone di dotarsi di armamenti nucleari può essere il frutto della fervida mente di due giornalisti, non altrettanto possiamo dire della Corea del Nord e dell’Iran di cui, invece, possiamo intravedere sia i moventi sia le intenzioni di dotarsi di sistemi d’arma nucleare.

Il Giappone è, quindi, uno stato ‘amico’ le cui intenzioni sono note al mondo occidentale e la cui affidabilità e disponibilità a collaborare sono sotto gli occhi di tutti. La Corea del Nord ha sempre minacciato l’area del Pacifico e, in primis, proprio il Giappone e costituisce un sorvegliato speciale degli Stati Uniti mentre l’Iran è il nemico di sempre degli Usa. Ciò consente un diverso approccio al problema nucleare da parte degli organi internazionali preposti e prospetta molteplici soluzioni per quanto riguarda il Giappone mentre limita parecchio quelle per gli altri due Stati. Ma realmente il Giappone necessita di armi nucleari? No ad avviso di chi scrive e ciò per vari motivi.

Primo motivo: il Giappone non necessita di armi nucleari in quanto può disporre, nell’eventualità, dell’ombrello protettivo degli USA. La “Basic Policy for National Defense” pubblicata dalla Japan Defense Agency afferma che il Giappone non avrà capacità militari tali da costituire una minaccia per gli altri Stati e conferma i tre principi della non proliferazione nucleare (non possedere armamenti nucleari, non produrli e non introdurli nel territorio nazionale). Ricordiamo, inoltre, come il paese sia firmatario del Npt obbligandosi a non produrre o acquisire armamenti nucleari e proprio nel maggio 2005 in occasione della Npt Review Conference e della ricorrenza del sessantesimo anniversario del bombardamento su Hiroshima e Nagasaki, il Giappone affermava di voler spingere per la riduzione di tutti i tipi di arma nucleare e di voler aderire al Ctbt (Comprehensive Test Ban Treaty). In più e a conferma di quanto sopra asserito, Asahi Shimbun del 26 Settembre 2005 riporta nelle linee di massima due piani di difesa delle Gsdf (Ground Self Defense Forces) relativi a due scenari di crisi militare con la Cina: il primo relativo a una disputa per lo sfruttamento di risorse naturali delle isole Senkaku nel Mar Cinese orientale in seguito alla quale Pechino inviava le sue truppe a difesa dei propri possedimenti; il secondo prevedeva l’intervento di Giappone e Stati Uniti contro la Cina in guerra con Taiwan a seguito della dichiarazione di indipendenza pronunciata da Taipei. In entrambi questi scenari, la deterrenza nucleare è affidata agli Stati Uniti d’America.

Secondo motivo: ‘rebus sic stantibus’ e George W. Bush reggente il Giappone è l’astro nascente del panorama asiatico orientale, soprattutto alla luce delle recenti indiscutibili vittorie del premier Koizumi, e le mire del Paese a ottenere un posto al sole all’Onu non sono mai state un mistero per alcuno: per ottenere ciò (o quanto meno per potervi aspirare) il Giappone non può certo essere invischiato in diatribe legate alla presenza di scorte di plutonio e al dubbio che possano essere usate per la produzione di armi nucleari. Da qui l’idea che forse un pizzico di proverbiale malizia orientale ha cercato di indurre gli organismi internazionali di vigilanza sull’energia atomica in sospetto sul reale uso del plutonio proprio al fine di arrestare l’ascesa dell’impero del Sol Levante nel panorama politico asiatico. Questo è un fatto che non piace e non piace soprattutto alla Cina, che vede conficcata nel suo fianco e sempre più in profondità la spina militare ed economica del Giappone. Altra conseguenza è anche la convinzione che, con una spennellata di polemica antiamericana, il Giappone possa considerarsi un piccolo satrapo con gli occhi a mandorla che, dotato di armi nucleari, spadroneggi nell’est asiatico con il consenso del Dittatore Universale G.W. Bush.

Terzo motivo: la vera deterrenza non sarà costituita dalle armi nucleari di cui il Giappone potrebbe dotarsi quanto piuttosto dalla credibilità e dal ruolo che il paese raggiungerà nel panorama internazionale, dal potenziamento e dall’efficacia dell’armamento convenzionale, dalla raggiunta capacità delle Jsdf di operare liberamente ‘extra moenia’ in conseguenza della modifica dell’articolo 9 della Costituzione e, sempre e soprattutto, dall’alleanza con gli Usa i quali bene potrebbero attribuire al Giappone il ruolo di aiutante del vice sceriffo Australia. L’operazione delle Jsdf a Samawah in Iraq, il ruolo internazionalmente riconosciuto alle truppe giapponesi e il prolungamento del loro impiego in territorio iracheno sono la punta dell’iceberg militare e politico che rappresenta il nuovo Giappone di Koizumi.

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