Da La Nuova Ecologia del 16/02/2006
Originale su http://www.lanuovaecologia.it/ecosviluppo/politiche/5387.php

Una partita possibile

di Gianni Silvestrini

Qual è la situazione italiana rispetto agli impegni di Kyoto? L’ultimo dato riguarda il 2004, anno in cui le emissioni climalteranti hanno raggiunto un livello del 13% superiore rispetto al 1990. Si tratta di un eccesso di 64 Mt/a cui si devono aggiungere 33 Mt/a necessarie per raggiungere l’obiettivo (-6,5%) assegnato all’Italia. Insomma, circa 100 milioni di tonnellate CO2 equivalenti ci separano dal nostro target. Se poi, com’è previsto nello scenario tendenziale, le emissioni nei prossimi anni continuassero a salire, il pacchetto di riduzione potrebbe aumentare a 120 Mt/a, in totale 600 Mt nei 5 anni previsti dal Protocollo di Kyoto (2008-12). Considerando un valore di 15 €/tCO2, sarebbero teoricamente necessari 9 miliardi di € per soddisfare gli obblighi.

Questa cifra rappresenta il limite superiore se dovessimo approvvigionarci solo all’estero per coprire il nostro debito, considerando una quotazione intermedia tra il valore della borsa delle emissioni (attualmente pari a 26 €/tCO2) e il costo dei crediti dei progetti CDM realizzati nei paesi in via di sviluppo (5-10 €/tCO2). Naturalmente non sarà così, perchè una parte di questo gap sarà colmato con interventi interni. Realisticamente, considerando i programmi già avviati, si può pensare che il contributo nazionale potrà coprire da un terzo a due terzi del nostro deficit.

Sarà quindi necessario ricorrere ai crediti internazionali di carbonio per una cifra compresa tra 3 e 6 miliardi €, a seconda dell’incisività delle politiche che verranno attivate dal prossimo Governo. Insomma, tra i due estremi ci sono in ballo 3 miliardi di € che, anziché essere spesi all’estero, potrebbero essere investiti nel nostro Paese per eliminare 200 Mt di gas climalteranti tra il 2008 e il 2012 (un terzo dei 600 Mt da tagliare per Kyoto). Detta in altro modo, la sfida del clima offre agli interventi di riduzione delle emissioni una marcia in più, per tutti gli anni in cui si esplica la loro azione positiva, pari ad almeno 15 €/tCO2, o 50 €/tep risparmiato. Naturalmente ci sono soluzioni che sono già economicamente interessanti di per sé e che grazie alla leva del carbonio aumentano il loro appeal. E’ questo il caso di molti interventi che innalzano l’efficienza degli usi finali, in cui il costo dell’energia risparmiata compensa le maggiori spese necessarie.

Dando quindi la priorità proprio all’efficienza energetica, si dovrebbe innanzitutto estendere al 2012 gli obblighi di risparmio per i distributori di energia elettrica e gas già in vigore, con un vantaggio economico complessivo per il paese e la contemporanea riduzione di 30 Mt delle emissioni climalteranti nel quinquennio di Kyoto. Sempre sul versante del risparmio andranno favoriti gli interventi non attivabili con i decreti sull’efficienza. Pensiamo all’industria, ma anche al settore civile dove normative più rigorose sulle dispersioni e l’impiantistica accompagnate dalla certificazione degli edifici e da una incentivazione mirata possono portare a un profondo processo di riqualificazione energetica del nostro parco edilizio, con riduzioni aggiuntive cumulative dell’ordine dei 20 Mt.

Un ulteriore taglio di 50 Mt nel quinquennio di Kyoto può derivare da un maggiore utilizzo delle fonti rinnovabili. In primo luogo aumentando la produzione di elettricità verde in modo da avvicinarsi agli obiettivi indicati dall’Unione Europea. Un notevole balzo in avanti si può realizzare negli usi termici delle tecnologie solari che vedono l’Italia ingloriosamente agli ultimi posti. Infine può espandersi, secondo le indicazioni della UE, il settore dei biocombustibili su cui converge un forte interesse del comparto agricolo alla ricerca di nuovi sbocchi dopo la riduzione dei sussidi alle coltivazioni alimentari.

Il settore dei trasporti, quello in maggiore controtendenza rispetto a Kyoto con un incremento delle emissioni del 25% rispetto al 1990, rappresenta un’area di intervento dove una decisa volontà politica potrà portare a significativi risultati. Basti pensare alle strategie urbane sulla mobilità sostenibile, con il rilancio del trasporto pubblico ma anche con l’introduzione di soluzioni innovative come il road pricing. O a nuovi accordi volontari con le case automobilistiche per introdurre veicoli più efficienti. Le riduzioni aggiuntive ottenibili nel settore dei trasporti possono superare i 30 milioni di tonnellate di gas climalteranti nel quinquennio di Kyoto.

Nel settore elettrico occorre valutare la variabile dell’uso del carbone, considerando che una centrale da 1.000 MW, comporta un aumento di 2,8 Mt di anidride carbonica all’anno rispetto ad un ciclo combinato, e la possibilità di un maggior uso della generazione distribuita. Cumulativamente, un minor ricorso al carbone e una crescita della produzione combinata di elettricità e calore potrebbe consentire di ridurre cumulativamente almeno 50 Mt di anidride carbonica.

Considerando infine che il maggior contributo delle foreste e la riduzione addizionale di metano e protossido di azoto potrebbe fornire altri 25 Mt nel periodo 2008-12, la somma di tutte le azioni aggiuntive sopra considerate si avvicina a quelle 200 Mt di gas climalteranti in meno che consentirebbero al nostro Paese di limitare il ricorso ai meccanismi flessibili solo a un terzo della riduzione necessaria.

Tra l’altro un ridimensionamento dell’accesso ai crediti di carbonio dall’estero rende anche più credibile che questo possa avvenire attraverso il ricorso a interventi in paesi in via di sviluppo o in via di transizione, che finora hanno stentato a svilupparsi e a essere certificati per gli scambi internazionali.

Si riduce in tal modo il rischio che, con l’acqua alla gola, alla fine l’Italia sia costretta ad acquistare dalla Russia o dall’Ucraina “finti” crediti di carbonio provenienti non da riduzioni legate a precisi interventi, ma dal crollo delle emissioni registratosi in quei paesi dopo il 1990.

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