Da L'Unità del 21/02/2006
Originale su http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=SCIENZA&TOPIC_TIPO=&...

Tav, rifiuti, aviaria. Come usare il "principio di precauzione"

di Andrea Barolini

Come deve comportarsi l’uomo quando nuove tecnologie si affacciano prepotentemente sul palcoscenico scientifico mondiale? Affidarsi ad esse incondizionatamente? Oppure aspettare pazientemente che siano studiate a fondo, nei loro pregi e nei loro difetti, per evitare conseguenze inaspettate sulla salute dell’uomo e dell’ambiente? Studiosi, amministratori, esponenti di istituzioni ed associazioni - riunitisi nei giorni scorsi a Perugia per partecipare ad un convegno organizzato dall’Agenzia per la protezione ambientale dell’Umbria - sostengono che la risposta si possa trovare nel «principio di precauzione».

L’obiettivo è quello di evitare, da un lato, gli «integralismi ambientalisti» e, dall’altro, la fiducia cieca nella scienza. La cronaca degli ultimi anni fornisce infiniti esempi di un conflitto che coinvolge amministrazioni locali, governi, comunità di cittadini, studiosi e mondo delle associazioni. Le proteste in Val di Susa contro la costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità, le polemiche sull’utilizzo degli Ogm, la rinnovata questione del nucleare e i problemi legati allo smaltimento dei rifiuti, all’inquinamento provocato dai campi elettromagnetici e alle malattie da animali costituiscono solo alcuni fra gli esempi più attuali.

Il principio di precauzione, già formulato negli anni 70 in Germania, è stato «ufficializzato» nel 1992 a Rio de Janeiro, in occasione della Conferenza Onu sull’Ambiente e lo sviluppo. I delegati sottolinearono per la prima volta che «quando un’attività può nuocere alla salute o all’ambiente, si devono adottare misure precauzionali anche in mancanza di una relazione certa di causa-effetto». L’Unione europea - nel Trattato di Amsterdam del '99 e in una comunicazione specifica del 2000 - ha aggiunto che tale formulazione dovrebbe comprendere non solo uomini e ambiente, ma estendersi anche alla protezione degli animali.

Ma come si traduce il principio di precauzione in comportamenti concreti di istituzioni, ricercatori e cittadini? Secondo Giovanni Barro, dirigente dell’Arpa umbra, la soluzione sta nel trasformare il rapporto tra questi soggetti, «che non deve più essere simile alla forma di un triangolo ma di un “tripode”, nel quale ciascuno degli interlocutori è necessario e imprescindibile per gli altri». In altre parole: concertando le scelte. Comportandosi cioè esattamente al contrario di quanto ha fatto il governo negli ultimi anni. Ma accettare un tavolo di confronto con esperti e società civile non basta, se non si è disposti a modificare i propri progetti in funzione delle esigenze altrui.

In tutto ciò, un ruolo fondamentale è giocato proprio dalla comunicazione, istituzionale e non. «Un conto, infatti, è il rischio reale e un conto è quello percepito dalla gente - avverte Marco Biocca -. Basti pensare alla guerra dell’Iraq, scatenata sulla base di una preoccupazione (il supposto possesso di armi di distruzione di massa da parte di Saddam Hussein, ndr) che in realtà era del tutto falsa». Lo stesso ammonimento che muove Guido Petracca, direttore generale dell’Istituto zooprofilattico locale: «È facile scrivere che sono stati sequestrati 80mila pulcini in Italia nei giorni in cui dilaga la psicosi per l’influenza aviaria. Senza dire però che il sequestro è stato disposto per ragioni burocratiche e amministrative che nulla avevano a che vedere con il virus H5N1».

Evitare estremismi, coinvolgere tutti i soggetti interessati e saper comunicare loro le ragioni degli interventi che si intendono adottare si può. In Francia ci sono riusciti: il progetto dell’alta velocità ferroviaria ha visto la partecipazione diretta di sindaci, cittadini, associazioni, comunità scientifica e istituzioni nazionali.

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