Da Peace Reporter del 07/06/2006
Originale su http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=&idart=5517
Schiavi, ma non per molto
Primi, timidi passi per combattere la schiavitù in Mauritania
di Matteo Fagotto
Quando il presidente Ely Ould Mohamed Vall, il 28 maggio scorso, ha cominciato il suo comizio davanti agli abitanti di Akjoujt, pochi si sarebbero aspettati che quel giorno potesse entrare nella storia della Mauritania. Le sue parole di condanna contro la schiavitù costituiscono un precedente importante, per liberare il Paese da una piaga endemica.
SCHIAVITÙ. In Mauritania, la schiavitù è un fenomeno antichissimo, che colpisce principalmente le comunità nere. Né il regime coloniale francese, né l’indipendenza ottenuta nel 1960 hanno cambiato nulla: nonostante due condanne ufficiali del governo (una all’indomani dell’indipendenza e una nel 1980), la schiavitù è rimasta per decenni un tabù. I vari governi che si sono succeduti hanno sempre preferito non trattare la questione, anche perché rimaneva più conveniente appoggiarsi ai tradizionali capi delle comunità nomadi, senza sconvolgere equilibri che avrebbero potuto avere effetti negativi a livello di stabilità interna. Morale della favola, gli schiavi sono rimasti tali. Per loro, l’unica possibilità di una vita migliore rimane la fuga dai loro padroni. Ma nonostante una maggiore sensibilizzazione al problema, chi scappa non riceve assistenza dalle autorità.
SEGNALI INCORAGGIANTI. Anche per questo, la condanna pronunciata dal presidente Vall, che ha promesso di combattere ogni forma di schiavitù, è un precedente importante. Che potrebbe portare a un maggiori impegno delle autorità nell’eradicare il fenomeno, dopo che la giunta militare provvisoria, salita al potere la scorsa estate, ha già affrontato alcuni dei problemi più pressanti lasciati in eredità dal deposto presidente Mohammed Ould Taya. In particolare quello delle libertà politiche, con la scarcerazione di centinaia di detenuti e il ritorno dall’esilio dei leader dell’opposizione. Ora, alle parole dovranno seguire i fatti. “Il presidente ha in effetti stabilito un precedente importante”, dichiara a PeaceReporter Lazare Haidalla, membro dell’ong mauritana Stop Esclavage. “Ma il vero problema è un altro. Per eliminare la schiavitù, bisogna modificare il tessuto sociale, e questo implica un miglioramento dell’economia. Da questo punto di vista, la Mauritania ha ancora tanta strada da fare”.
ECONOMIA IN CRISI. Lo sviluppo economico può in effetti avere effetti positivi sul problema: già l’ammassarsi degli schiavi fuggitivi, attirati da maggiori prospettive economiche, alle periferie della capitale Nouackhott, migliora paradossalmente le loro condizioni perché permette loro di staccarsi dall’ambiente in cui vivono. “Arriverà però il momento in cui a queste persone bisognerà garantire un futuro” obietta Haidalla. “Non è possibile chiudere gli occhi davanti a un dramma che è sì sociale, ma anche economico”. Le prospettive non sono rosee: lo sfruttamento petrolifero, avviato a inizio anno nel giacimento di Chinguetti, a 65 km dalle coste della capitale, dovrebbe durare non più di otto anni. E lo stesso presidente Vall ha ammonito sullo sviluppo effimero generato dal petrolio.
IL FUTURO. Le buone notizie arrivano dal fronte politico: dopo aver rovesciato, il 3 agosto scorso, con un golpe incruento l’ormai screditato presidente Taya, la giunta militare presieduta da Vall si è data due anni di tempo per traghettare la Mauritania verso libere elezioni. Il 25 giugno prossimo è previsto un referendum, che nelle intenzioni dovrebbe approvare alcune modifiche costituzionali che riducono il mandato presidenziale e concedono più poteri al Parlamento. Le elezioni politiche sono previste per novembre, le presidenziali per marzo 2007. La comunità internazionale guarda con curiosità all’operato della giunta, che finora ha mantenuto tutte le promesse fatte. Di certo, gli schiavi della Mauritania si augurano che prosegua su questa strada.
SCHIAVITÙ. In Mauritania, la schiavitù è un fenomeno antichissimo, che colpisce principalmente le comunità nere. Né il regime coloniale francese, né l’indipendenza ottenuta nel 1960 hanno cambiato nulla: nonostante due condanne ufficiali del governo (una all’indomani dell’indipendenza e una nel 1980), la schiavitù è rimasta per decenni un tabù. I vari governi che si sono succeduti hanno sempre preferito non trattare la questione, anche perché rimaneva più conveniente appoggiarsi ai tradizionali capi delle comunità nomadi, senza sconvolgere equilibri che avrebbero potuto avere effetti negativi a livello di stabilità interna. Morale della favola, gli schiavi sono rimasti tali. Per loro, l’unica possibilità di una vita migliore rimane la fuga dai loro padroni. Ma nonostante una maggiore sensibilizzazione al problema, chi scappa non riceve assistenza dalle autorità.
SEGNALI INCORAGGIANTI. Anche per questo, la condanna pronunciata dal presidente Vall, che ha promesso di combattere ogni forma di schiavitù, è un precedente importante. Che potrebbe portare a un maggiori impegno delle autorità nell’eradicare il fenomeno, dopo che la giunta militare provvisoria, salita al potere la scorsa estate, ha già affrontato alcuni dei problemi più pressanti lasciati in eredità dal deposto presidente Mohammed Ould Taya. In particolare quello delle libertà politiche, con la scarcerazione di centinaia di detenuti e il ritorno dall’esilio dei leader dell’opposizione. Ora, alle parole dovranno seguire i fatti. “Il presidente ha in effetti stabilito un precedente importante”, dichiara a PeaceReporter Lazare Haidalla, membro dell’ong mauritana Stop Esclavage. “Ma il vero problema è un altro. Per eliminare la schiavitù, bisogna modificare il tessuto sociale, e questo implica un miglioramento dell’economia. Da questo punto di vista, la Mauritania ha ancora tanta strada da fare”.
ECONOMIA IN CRISI. Lo sviluppo economico può in effetti avere effetti positivi sul problema: già l’ammassarsi degli schiavi fuggitivi, attirati da maggiori prospettive economiche, alle periferie della capitale Nouackhott, migliora paradossalmente le loro condizioni perché permette loro di staccarsi dall’ambiente in cui vivono. “Arriverà però il momento in cui a queste persone bisognerà garantire un futuro” obietta Haidalla. “Non è possibile chiudere gli occhi davanti a un dramma che è sì sociale, ma anche economico”. Le prospettive non sono rosee: lo sfruttamento petrolifero, avviato a inizio anno nel giacimento di Chinguetti, a 65 km dalle coste della capitale, dovrebbe durare non più di otto anni. E lo stesso presidente Vall ha ammonito sullo sviluppo effimero generato dal petrolio.
IL FUTURO. Le buone notizie arrivano dal fronte politico: dopo aver rovesciato, il 3 agosto scorso, con un golpe incruento l’ormai screditato presidente Taya, la giunta militare presieduta da Vall si è data due anni di tempo per traghettare la Mauritania verso libere elezioni. Il 25 giugno prossimo è previsto un referendum, che nelle intenzioni dovrebbe approvare alcune modifiche costituzionali che riducono il mandato presidenziale e concedono più poteri al Parlamento. Le elezioni politiche sono previste per novembre, le presidenziali per marzo 2007. La comunità internazionale guarda con curiosità all’operato della giunta, che finora ha mantenuto tutte le promesse fatte. Di certo, gli schiavi della Mauritania si augurano che prosegua su questa strada.
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