Da Corriere della Sera del 28/06/2006
Originale su http://www.corriere.it/Primo_Piano/Editoriali/2006/06_Giugno/28/opposi...

L'opposizione dica due Sì

di Sergio Romano

Il no degli italiani nel referendum degli scorsi giorni viene generalmente interpretato come un giudizio sulla riforma costituzionale della Casa delle Libertà. A me sembra invece che sia soprattutto la sconfitta della strategia adottata da Silvio Berlusconi dopo le elezioni politiche dello scorso aprile. Quando decise di contestare la validità del voto, negare la vittoria del centrosinistra e puntare sul rapido rovesciamento della situazione, il leader di Forza Italia dimenticò che il risultato di una elezione, salvo qualche caso eccezionale (la crisi ucraina tra la fine del 2004 e l'inizio del 2005, una vicenda in cui i brogli ebbero un'importanza decisiva), viene generalmente confermato nelle elezioni successive.

Non è opportunismo. Non credo che gli elettori, tornando alle urne, cedano alla tentazione di saltare sul carro del vincitore. Credo piuttosto che l'elettorato centrista (un'area moderata in cui la stabilità è più importante del sentimento di appartenenza) non abbia alcun desiderio di dare spallate e rovesciare giudizi. Se le urne hanno prodotto un vincitore, la regola del buon senso vuole che lo si metta alla prova. I democratici americani erano convinti che le presidenziali del 2000 fossero state vinte da Al Gore, ma preferirono il lodo sbrigativo della Corte Suprema che confermava la vittoria di Bush, al trauma di un voto contestato e ribaltato. Nel referendum sulla riforma costituzionale, Berlusconi non è stato sconfitto dal centrosinistra. E' stato sconfitto dall'elettorato moderato che non ha collaborato con la sua strategia antagonista e ha preferito disertare le urne. Non ha perduto perché il centrosinistra ha votato contro di lui. Ha perduto perché una parte consistente del centrodestra lo ha abbandonato.

Alla Cdl, quindi, conviene cambiare politica. Deve continuare a essere una forza di opposizione, ma smetterla di combattere qualsiasi iniziativa del governo. Se vuole ritornare un giorno alla guida del Paese deve rendersi conto che vi sono questioni d'interesse nazionale nelle quali è utile dare una mano a Romano Prodi, soprattutto al Senato dove la maggioranza è più fragile e il contributo del centrodestra può essere decisivo. La prima è il risanamento dei conti pubblici, da cui dipendono il nostro status nell'Unione Europea e il giudizio della comunità internazionale sul sistema economico italiano. La seconda è la politica internazionale, con un particolare riferimento all'Afghanistan dove l'Italia deve restare con forze che siano in grado di dare un contributo efficace alla ricostruzione del Paese. Se si attenesse a queste regole il Polo otterrebbe almeno tre risultati.

In primo luogo dimostrerebbe di essere una credibile forza nazionale, capace di considerare gli interessi del Paese più importanti dei propri calcoli politici. In secondo luogo avrebbe qualche buona carta in mano per evitare che le sue riforme (la legge Biagi, le nuove norme sull'ordine giudiziario, la riforma scolastica di Letizia Moratti, alcune modifiche del codice di procedura penale) vengano interamente cancellate dal governo di centrosinistra. La democrazia italiana ha bisogno di alternanza ma il Paese ha anche bisogno di continuità.

Vi è un terzo risultato che il Polo otterrebbe collaborando con il governo. Farebbe emergere le posizioni massimaliste della sinistra antagonista e renderebbe più visibili agli occhi del Paese le contraddizioni del centrosinistra. Anche questo è un modo per stare all'opposizione.

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