Da La Repubblica del 07/07/2006
Originale su http://www.repubblica.it/2006/07/sezioni/esteri/medio-oriente-tre/batt...

Una giornata di guerra a Beit Lahiya. Olmert ordina l'attacco contro le città usate per lanciare i razzi Qassam

Gaza, il ritorno degli israeliani battaglia nel nord della striscia

Carri armati nelle colonie lasciate un anno fa: 23 morti

di Alberto Stabile

BEIT LAHIYA (GAZA) - Se n'erano andati meno d'un anno fa senza drammi e senza fanfare, salutati dalla folla palestinese che esultava a rispettosa distanza. Sono tornati all'alba di ieri fra le rovine degli insediamenti di Dugit, Nissanit ed Elei Sinai, accolti dal fuoco delle milizie. Dalla collina di Beit Lahiya i carri armati israeliani sembrano modellini in un gioco da tavolo in cui, a ogni nuova mano, la storia si ripete, ma giù nei sobborghi della cittadina, il crepitare delle armi e l'urlo delle sirene avvertono che la battaglia sta divampando.

La peggiore, da quando Ehud Olmert ha dato il via libera all'esercito di stanare i rapitori del soldato Shalit e di far cessare i lanci dei razzi Qassam.

In serata si contavano ventitré vittime negli scontri che hanno accompagnato la prima, profonda sortita dell'esercito israeliano nel territorio di Gaza dal ritiro dell'agosto 2005. A metà pomeriggio, solo nella zona di Beit Lahiya erano stati uccisi 13 palestinesi, fra cui, secondo i medici, sei civili, colpiti, assieme a due miliziani, da due missili sparati da un aereo. L'esercito ha confermato l'attacco aereo, che però, secondo il portavoce militare, avrebbe ucciso soltanto quattro miliziani.

Negli scontri fra truppe di terra e cecchini palestinesi, armati di fucili di precisione e armi anticarro, un militare israeliano è morto e due sono stati feriti. Colpiti a morte, secondo un ufficiale israeliano, anche sette cecchini palestinesi. Ma si è combattuto anche al centro, vicino Khan Yunis e al sud, ad Abassan, con morti e feriti.

E ancora si combatterà. Specialmente dopo che il ministro dell'Interno, Said Siam, ha esortato le forze di sicurezza a lottare per "respingere la codarda aggressione sionista". Siam, non ha esitato a proclamare lo stato d'emergenza usurpando uno dei poteri propri del presidente dell'Autorità palestinese, Abu Mazen.

Bisogna uscire da Gaza città, attraversare il campo di Jabalia e poi, anziché dirigersi a est verso Beit Hanun, continuare a Ovest, verso il mare, per incontrare le prime case di Beit Lahiya e la borgata di Atatrah. Che la guerra è arrivata fin qui, a una decina di chilometri dal confine di Eretz, si capisce dal traffico che improvvisamente dirada e svanisce, lasciandoci davanti strade ridotte a piste di sabbia, minacciose, deserte, file di uomini accovacciati per terra con le spalle al muro, lungo un porticato di negozi dalle porte di ferro sbarrate.

Questa, secondo gli esperti militari israeliani, è una delle roccaforti di Hamas e la più grande base di lancio di missili palestinesi di tutto il territorio di Gaza. Da qui, cioè dal punto più avanzato della Striscia, sono partiti i nuovi Qassam, dotati di due motori, che martedì e mercoledì, per la prima volta, hanno raggiunto la città di Ashkelon, dopo aver volato per 12 chilometri. Una minaccia, per Israele, intollerabile.

Ed è per fronteggiare questo nuovo pericolo che all'alba di ieri l'esercito è tornato negli insediamenti lungo la costa. I quali nelle mappe militari costituiscono il "saliente nord", una penetrazione in profondità in territorio nemico, dalla quale si può partire per compiere attacchi a tutto raggio.

Così, attestati sulle rovine di Dugit, Nissanit ed Elei Sinai, rovine volute da Sharon per lasciare ai palestinesi soltanto terra bruciata, i soldati delle brigate scelte Golani e Givati e della Settima Brigata corazzata, appoggiati dall'aviazione e dal genio si prefiggono di spingere le milizie verso l'interno, allontanandole, con i loro ordigni, quanto più possibile dal confine.

Non sarà facile. A pochi metri da un caseggiato costruito con i soldi di un emiro del Golfo, due pick-up scaricano una trentina di uomini reduci dal campo di battaglia. Alcuni indossano tute da combattimento, altri, jeans e maglietta, tutti imbracciano un fucile mitragliatore, quasi nessuno ha il giubbotto antiproiettile. Questa è la terza intifada: kalashnikov e missili fatti in casa, contro missili e cannoni. Fra gli uomini che tornano dalla prima linea ci sono miliziani delle Brigate Al Aqsa (Fatah) e delle Brigate Ezzedin al Qassam (Hamas) più gli altri distintivi della galassia jihadista.

L'attacco israeliano sembra aver ricompattato le fila della resistenza palestinese smembrate dalla lotta fratricida divampata fino a un paio di settimane fa.

Chiediamo a uno degli uomini mascherati col passamontagna che impartiscono gli ordini se si sentono abbastanza protetti, con i loro vecchi kalashnikov, contro le più sofisticate e potenti armi israeliane. Risponde con cieca fiducia: "Siamo musulmani, il nostro Dio ci proteggerà". Ma soprattutto, aggiunge un altro, "combattiamo per difendere la nostra terra, come se fossimo una sola mano".

Una macchina giunge miracolosamente illesa dal fondo della valle da cui provengono gli spari e gli scoppi. Alla guida c'è Mohammed Sakar, un giovane commerciante di 25 anni. "La mia casa è a 250 metri dai carri armati israeliani", dice. "Stanotte ho mandato via moglie e figli, io sono rimasto giusto il tempo di raccogliere un po' di cose". "Pensavo che non sarebbero mai più tornati - aggiunge, sconsolato - . Invece sono lì e controllano tutta la zona".

Passiamo acanto alla scuola Dar el Arkam, centrata nella notte da un missile. Secondo l'intelligence israeliana, l'edificio bianco e verde sventrato proprio al centro e ora in procinto di crollare, era sì, di giorno, una scuola elementare, di notte però diventata un covo di militanti di Hamas che da qui partivano per compiere attentati.

Ci dirigiamo verso la zona industriale di Eretz, che con gli insediamenti è l'altra testa di ponte gettata dall'esercito in direzione di Gaza. Per quella che era stata la culla di una possibile convivenza, basata anche sul comune interesse economico, passa adesso la linea del fronte. Le sparatorie si susseguono, mentre la polizia palestinese, disarmata e impotente, si protegge dietro i blocchi di cemento. Sono stati lasciati lì proprio perché disarmati e impotenti, soltanto per far funzionare il terminal, l'unica porta d'ingresso a Gaza, aperta solo per diplomatici e giornalisti. Così, davanti ai loro occhi inutilmente indignati, due giovani palestinesi arrampicatisi su uno dei tralicci dell'energia elettrica, ormai tagliata, possono tranquillamente smontare e rubare un trasformatore, per venderselo altrove. La guerra, amica dell'anarchia.

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