Da Corriere della Sera del 21/07/2006
Originale su http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2006/07_Luglio/20/somalia2.shtml

I diplomatici europei al lavori per scongiurare una nuova guerra

Le truppe etiopiche verso Mogadiscio

Il governo etiope smentisce, ma avvia una manovra a tenaglia per ottenere il controllo della capitale

di Massimo A. Alberizzi

NAIROBI – Le truppe etiopiche sono entrate in forze in Somalia. Un convoglio di un centinaio di veicoli blindati, camionette e jeep militari hanno raggiunto Baidoa, dove ha sede il Governo Federale di Transizione (Tfg) loro alleato e si sono schierati a difesa dei punti strategici della città. Ma non solo. Un gruppo si è spinto in direzione di Mogadiscio fino a Bur Hakaba, la città che giovedì era stata conquistata dagli islamici i quali, prima dell’arrivo dei loro nemici, si sono ritirati.

Il governo etiopico ha smentito qualunque ingresso delle sue truppe in Somalia confermato, per altro, da esponenti del Tfg. Un portavoce si è limitato a dire che il suo Paese è pronto a intervenire se gli islamici minacceranno Baidoa. I fondamentalisti hanno preso il controllo di Mogadiscio e della sua regione (il Benadir) il 5 giugno scorso e Addis Abeba non può permettersi di avere ai suoi confini un governo radical-islamico la cui prima mossa sarebbe quella di sobillare le minoranze somale che vivono nella regione etiopica dell’Ogaden.

I diplomatici europei sono al lavoro per fermare la nuova ondata di guerra che sta per investire la Somalia. L’inviato speciale per la Somalia Mario Raffaelli e il suo giovane braccio destro, Stafano Dejak, in queste ora stanno cercando di convincere gli Stati Uniti a lasciare ancora un po’ di spazio alle trattative, ma Washington preme perché le Corti Islamiche che, secondo la Cia, sono strettamente legate ad Al Qaeda, siano spazzate via da Mogadiscio al più presto. Qualche giorno fa, varie fonti di intelligence avevano segnalato che gli Stati Uniti avevano dato fuoco verde all’Etiopia per invadere la Somalia. Ieri mattina, proprio mentre la colonna militare etiopica viaggiava verso Baidoa, il primo ministro etiopico, Melles Zenawi, ha telefonato al commissario europeo alla cooperazione, il belga Louis Michael. Non si conosce il contenuto del colloquio ma negli ambienti diplomatici di Nairobi la conversazione è stata interpretata come il segnale che l’Etiopia era pronta a invadere il Paese confinante.

Il Governo Federale di Transizione (TFG) somalo, guidato dal presidente migiurtino Abdullahi Yussuf, sostenuto dall’Italia e riconosciuto dalle Nazioni Unite, non ha un grande potere. Controlla un territorio piuttosto limitato ma è l’ultimo ostacolo serio all’avanzata degli islamici. Abdullahi è buon amico di Meles e i due collaborano da anni nella lotta contro i fondamentalisti.

La colonna arrivata a Baidoa non è l’unica mossa dell’Etiopia, le cui truppe hanno varcato il confine anche all’altezza di Fer Fer, il posto di frontiera sulla vecchia strada imperiale italiana che collegava Mogadiscio ad Addis Abeba ai tempi del fascismo. A Gode, capitale dell’Ogaden, gli americani hanno posizionato un piccolo continente militare, dotato di aerei ed elicotteri, che sta monitorando la situazione. Un comandante, incontrato qualche settimana fa ad Addis Abeba, aveva ammesso che pattuglie miste americane etiopiche sono attive da mesi al confine con la Somalia.

La brigata etiope che ha sconfinato a Fer Fer si serve anche dell’aiuto dei miliziani di Mohamed Dehere, uno dei signori della guerra sconfitti dalle corti islamiche le scorsa primavera. Mohamed Dehere era scappato dal suo quartier generale di Johar e si era rifugiato ad Addis Abeba, dove si era messo a disposizione di Melles.

I piani degli etiopici quindi sembrano chiari, isolare Mogadiscio circondandola da due direzioni a tenaglia: da Baidoa, da sud ovest, assieme alle truppe del Governo di Transizione, e da Fer Fer, nord ovest, con le truppe dei signori della guerra. Ma c’è un terzo fronte nel bel mezzo della Somalia, nella regione del Mudug, dove nel capoluogo Dusa Mareb, il capo delle corti islamiche, lo sceicco Hassan Daher Aweis, che gli americani accusano di essere l’uomo di Al Qaeda in Somalia, sta organizzando, lontano da occhi indiscreti, un forte esercito islamico. Contro Aweis gli etiopi stanno aiutando le milizie di Abdi Qabdid, l’ultimo dei signori della guerra sconfitto a Mogadiscio la settimana scorsa, e di Abdi Nur Wal, uno dei veterani della guerra contro gli islamici. Le loro milizie sono piazzate più a nord, nel Galgadud, a Galkayo e in questi giorni hanno ricevuto tonnellate di materiale bellico.

Anche le Corti recentemente hanno ricevuto ingenti rifornimenti. Tra l’altro cinque carri armati di produzione sovietica T55 (uno di essi è stato anche fotografato). Mezzi non facili da pilotare se non dopo un particolare addestramento. Secondo alcune fonti non confermate, carristi eritrei avrebbero organizzato corsi accelerati per un gruppo di guerriglieri fondamentalisti somali. Asmara avrebbe così raggiunto due obbiettivi: da una parte hanno ottenuto dalla centrale internazione islamica l’assicurazione che i gruppi radicali musulmani smetteranno di operare in Eritrea e dall’altra ora minacciano anche da sud l’eterno nemico etiopico.

Le Corti islamiche di Mogadiscio non sono un corpo omogeneo. Da una parte ci sono gli uomini d’affari, moderati e tutto sommato “laici”, che hanno l’interesse di pacificare il Paese, dilaniato da 15 anni di guerra civile, per continuare a lavorare e incrementare i loro profitti. Dall’altra i capi storici dell’islamismo somalo come lo sceicco Hassan Daher Aweir, che dal 1977 lotta per imporre la legge coranica in Somalia, o le giovani leve cresciute alla corte di Bin Laden in Afghanistan, come Aeru o Kailifa, che vogliono creare un califfato stile talebano.

La diplomazia europea punta sui moderati ma in questo momento sembra proprio che siano i radicali ad avere il sopravvento. A loro più che la pacificazione interessa la talebanizzazione.

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