Da La Stampa del 21/07/2006
Originale su http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200607articoli/79...

Le nuove catene. Per centinaia di stranieri che arrivano dall' Est e dall'Africa turni massacranti di lavoro, prostituzione, pestaggi e paghe da fame

Schiavi d'Italia

Cambiati sistemi e rotte per il reclutamento. In Italia quasi 200 mila «lavoratori forzati»

di Marco Neirotti

ROMA. Carrette del mare e Boeing, deserti dove morire di sete o pullman veloci, itinerari improvvisati tra i monti o auto, scafi o treni. Sono quattro milioni gli schiavi accertati nel mondo. Schiavi sessuali o di lavoro.

Sono cifre delle Nazioni Unite. Producono denaro, a volte producono un funerale a spese della pubblica amministrazione: può essere un cavo elettrico, un temporale in una buca nel terreno che ti porta via come un petalo, la coltellata di un cliente a una ragazza.

In Italia si calcola che vivano due milioni e mezzo di stranieri, il 4,1% della popolazione. Gran parte in regola con la Bossi-Fini, altri fluttuanti, altri ancora fuori dal calcolo perché sconosciuti. E' evidente che i dati ufficiali hanno poco da spartire con le strade. In quel rosario di Paesi non c'è la Nigeria. Eppure basta fermarsi fuori da una città qualunque.

Non stanno nelle tabelle le ragazze nigeriane, le schiave del sesso, però stanno sui viali, negli alloggi dove subiscono violenze incredibili, e nei camposanti, ammazzate o devastate da aborti i cui racconti, fatti dalle stesse giovani, mettono i brividi anche a un medico legale.

Non ci stanno gli schiavi della campagna i polacchi, gli ucarini, i bielorussi reclutati a forza nell'Europa dell'Est e mandati a lavorare al Sud, a volte con la sorveglianza di kapò loro connazionali. Come arrivano? Dall'Africa sono cambiati sistemi e rotte. Dal Nord Africa c'è il cammino della Libia, con le imbarcazioni destinate a scaricare il carico a Lampedusa. Dalla Nigeria ci sono racconti agghiaccianti: «Sapevo di avere sottoscritto un patto, un debito per il viaggio. Per questo ho accettato il rito voodoo con le unghie di mani e piedi, i capelli e i peli da mangiare, pena la distruzione di casa.

Ma il debito era per venire a lavorare. Lo so che mandano sulla strada, però mi ha mandata mia zia. Come potevo pensare che succedeva a me per volontà della zia?». E' quello il racconto. Sono giorni e giorni di deserto. Eccola la rotta: deserto e «taci». Chi muore muore: «Ho visto ragazze cadere e implorare un po' d'acqua. Le hanno lasciate lì. A morire di sete». Poi un aeroporto, un passaporto da vedere, come un miraggio, perché non lo toccherai mai. Da lì si parte a volte per l'Italia e, più spesso, per la Spagna. Il resto in treno. Dall'Est qualcosa è cambiato: dai Paesi ormai europei si viaggia serenamente. Sono, dice un magistrato, «serbatoi a frontiere aperte».

E lì le organizzazioni si muovono bene, Polonia in testa. Se in Puglia si è arrivati impunemente, sfidando non solo lo Stato ma gli occhi della gente, a controllare gli schiavi con le armi, in Toscana, Lombardia e Piemonte, la Cina si fa avanti con sistemi impietosi. La Squadra Mobile di Novara, diretta dal vicequestore Iadevaia, ha sezionato un sistema di prostituzione che prima in Italia usciva dai rigorosi confini del «riserbo cinese».

Si sono viste ragazze disposte a lasciare turni massacranti di lavoro per andare nel bordello aperto agli italiani. «La comunità chiusa si apre per affari», ha commentato il questore Salvatore Mulas, attento a ogni variazione del tappeto criminale. I cinesi sanno contingentare gli ingressi. Sanno convincere chi è a casa che deve pagare. Essere ostaggi della criminalità cinese è la schiavitù peggiore, dicono gli inquirenti, benché fatichino a scavarla. La Russia si prepara a una bella battaglia.

Il procuratore aggiunto della Repubblica di Torino, Maurizio Laudi, esperto di crimine organizzato mette in guardia dalle nuove forme di ingresso, tipologia di crimine: «Ora si tratta di avere strumenti non soltanto di polizia, ma anche di cultura, di lingua, di dialogo per leggere in anticipo. La sfida è sulle nuove evoluzioni».

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