Da La Repubblica del 15/06/2001
La vergogna degli abissi
di Tahar Ben Jelloun
SE IL mare fosse un libro, alcune pagine sarebbero bianche, cancellate dalla vergogna. Non vi si leggerebbe nessuna storia, ma si intuirebbe qualche tragedia come quella avvenuta la notte del 26 dicembre 1996. Una notte di preghiera e di pace, una notte di festa. Ma a volte il destino è infedele alla vita, e allora si parla di sviste, di errori.
A meno di essere fatalisti, ci si può rifiutare di pensare che il giovane cingalese (di etnia tamil) Anpalagan Ganeshu, nato il 12 aprile 1979, e suo fratello Arulalagan fossero nati per essere divorati dai pesci delle coste italiane. La stessa sorte ebbero altre 281 persone, clandestini dello Sri Lanka, dell'India e del Pakistan.
La vergogna bianca viene da quello che l'uomo è capace di fare all'uomo.
Tutte le storie di clandestini, che provengano dall'Asia o dall'Africa, sono storie di imbrogli, truffe e schiavitù. Si è saputo che il costo del viaggio era di 5000 dollari a persona. Il trafficante - o i trafficanti - deve aver intascato quasi un milione e mezzo di dollari. Cinquemila dollari per morire, per andare a offrire il proprio corpo ai pesci affamati, per lasciarsi decomporre un pezzo dopo l'altro. Questa volta il mare della vergogna ha parlato: ha restituito alcuni corpi, certi interi e in condizioni spaventose, altri pezzo dopo pezzo. E poi ha restituito anche una carta d'identità plastificata. Un corpo del reato per mettere fine ai dinieghi, al rifiuto di vedere e di credere che il naufragio avesse davvero avuto luogo, per provare che non si trattava di un fantasma o di una diceria natalizia
Che cosa rimane di un volto divorato dai pesci? Carne avvizzita dal sale dell'acqua, pelle ridotta a una sottile membrana? Che cosa rimane di un corpo che non è più un corpo, di quello che è stato uomo, una memoria, desideri e speranze? Il mare non dice tutto. È spietato e ingoia tutto.
A cosa assomiglia un corpo che ha passato più di una settimana in fondo al mare? Alla cattiva coscienza? Alla maschera dell'indifferenza? A una descrizione di Boccaccio o a un dipinto di Bacon che illustra la miseria e la crudeltà umana?
Un corpo che è stato a lungo in mare, straziato dall'acqua e dagli squali, un corpo che ha nutrito pesci che poi saranno nei nostri piatti, non assomiglia più a niente, ma ci ricorda che l'uomo è più perverso, più brutale dello squalo.
"È così che vivono gli uomini?" si chiedeva Louis Aragon durante gli anni della resistenza contro l'occupazione tedesca in Francia.
Ma che cosa sono diventati, gli uomini, per vivere della morte dei loro simili? Non è una novità, ma stupisce sempre vedere che i rapaci non si fermano davanti a nulla.
Si è saputo che Anpalagan e suo fratello erano attesi in terra italiana da uno zio, il quale non osa dire a sua sorella, la madre dei due giovani, quello che è successo. Per la madre hanno realizzato il loro sogno: andare in Europa per lavorare e vivere in pace, dopo aver sfuggito la guerra e la carestia.
Come dice lo zio, "Anpalagan è un ragazzo vivace e affettuoso, dotato di una grande capacità di imparare e di lavorare". Per la madre, i figli sono dall'altra parte del mare e un giorno torneranno a trovarla, le porteranno dei doni e le daranno una parte dei loro guadagni come usa dalle loro parti. Lei aspetta, sorride pensando a loro e sa che sono bravi ragazzi. Ovviamente non c'è mai stato nessun naufragio.
Che naufragio? Le imbarcazioni non naufragano mai la sera di Natale, lo sanno tutti. Dio non lo permette, né il Dio dei Cristiani né lo Spirito che guida i Cingalesi.
Mentre quella madre aspetta i suoi figli, altre madri vendono tutto quello che trovano perché i loro figli possano emigrare. Madri del Marocco, del Senegal, del Mali, del Pakistan, dello Sri Lanka, di tutti i paesi del mondo in cui la miseria ha fatto degli strappi nelle coscienze.
Ci si accanisce contro i clandestini, quelli che riescono a salvare la pelle. Ma che cosa si fa contro i trafficanti, i mafiosi, i lupi rabbiosi, quelli che restano nell'ombra, quelli che rimangono sulla riva quando la piccola barca sovraffollata prende il largo in una notte buia e naviga verso la morte, o meglio verso coste sorvegliate dai gendarmi e dai cani?
Il libro del mare è il registro di un cimitero marino che non ingoia più i pirati, come succedeva una volta, ma le loro vittime.
Quattro anni dopo, questa tragedia è stata resa pubblica da questo giornale. Dal fantasma si passa alla realtà e ai fatti accertati.
Che fare, dunque, perché questi fatti non si ripetano più? Tocca all'Europa dal volto umano, e non all'Europa dei tecnocrati cinici e affaristi, avviare al più presto una nuova politica di cooperazione e di immigrazione legale da definire con quei paesi del Sud e dell'Est che bussano alle sue porte e che spesso ricevono soltanto risposte di morte.
A meno di essere fatalisti, ci si può rifiutare di pensare che il giovane cingalese (di etnia tamil) Anpalagan Ganeshu, nato il 12 aprile 1979, e suo fratello Arulalagan fossero nati per essere divorati dai pesci delle coste italiane. La stessa sorte ebbero altre 281 persone, clandestini dello Sri Lanka, dell'India e del Pakistan.
La vergogna bianca viene da quello che l'uomo è capace di fare all'uomo.
Tutte le storie di clandestini, che provengano dall'Asia o dall'Africa, sono storie di imbrogli, truffe e schiavitù. Si è saputo che il costo del viaggio era di 5000 dollari a persona. Il trafficante - o i trafficanti - deve aver intascato quasi un milione e mezzo di dollari. Cinquemila dollari per morire, per andare a offrire il proprio corpo ai pesci affamati, per lasciarsi decomporre un pezzo dopo l'altro. Questa volta il mare della vergogna ha parlato: ha restituito alcuni corpi, certi interi e in condizioni spaventose, altri pezzo dopo pezzo. E poi ha restituito anche una carta d'identità plastificata. Un corpo del reato per mettere fine ai dinieghi, al rifiuto di vedere e di credere che il naufragio avesse davvero avuto luogo, per provare che non si trattava di un fantasma o di una diceria natalizia
Che cosa rimane di un volto divorato dai pesci? Carne avvizzita dal sale dell'acqua, pelle ridotta a una sottile membrana? Che cosa rimane di un corpo che non è più un corpo, di quello che è stato uomo, una memoria, desideri e speranze? Il mare non dice tutto. È spietato e ingoia tutto.
A cosa assomiglia un corpo che ha passato più di una settimana in fondo al mare? Alla cattiva coscienza? Alla maschera dell'indifferenza? A una descrizione di Boccaccio o a un dipinto di Bacon che illustra la miseria e la crudeltà umana?
Un corpo che è stato a lungo in mare, straziato dall'acqua e dagli squali, un corpo che ha nutrito pesci che poi saranno nei nostri piatti, non assomiglia più a niente, ma ci ricorda che l'uomo è più perverso, più brutale dello squalo.
"È così che vivono gli uomini?" si chiedeva Louis Aragon durante gli anni della resistenza contro l'occupazione tedesca in Francia.
Ma che cosa sono diventati, gli uomini, per vivere della morte dei loro simili? Non è una novità, ma stupisce sempre vedere che i rapaci non si fermano davanti a nulla.
Si è saputo che Anpalagan e suo fratello erano attesi in terra italiana da uno zio, il quale non osa dire a sua sorella, la madre dei due giovani, quello che è successo. Per la madre hanno realizzato il loro sogno: andare in Europa per lavorare e vivere in pace, dopo aver sfuggito la guerra e la carestia.
Come dice lo zio, "Anpalagan è un ragazzo vivace e affettuoso, dotato di una grande capacità di imparare e di lavorare". Per la madre, i figli sono dall'altra parte del mare e un giorno torneranno a trovarla, le porteranno dei doni e le daranno una parte dei loro guadagni come usa dalle loro parti. Lei aspetta, sorride pensando a loro e sa che sono bravi ragazzi. Ovviamente non c'è mai stato nessun naufragio.
Che naufragio? Le imbarcazioni non naufragano mai la sera di Natale, lo sanno tutti. Dio non lo permette, né il Dio dei Cristiani né lo Spirito che guida i Cingalesi.
Mentre quella madre aspetta i suoi figli, altre madri vendono tutto quello che trovano perché i loro figli possano emigrare. Madri del Marocco, del Senegal, del Mali, del Pakistan, dello Sri Lanka, di tutti i paesi del mondo in cui la miseria ha fatto degli strappi nelle coscienze.
Ci si accanisce contro i clandestini, quelli che riescono a salvare la pelle. Ma che cosa si fa contro i trafficanti, i mafiosi, i lupi rabbiosi, quelli che restano nell'ombra, quelli che rimangono sulla riva quando la piccola barca sovraffollata prende il largo in una notte buia e naviga verso la morte, o meglio verso coste sorvegliate dai gendarmi e dai cani?
Il libro del mare è il registro di un cimitero marino che non ingoia più i pirati, come succedeva una volta, ma le loro vittime.
Quattro anni dopo, questa tragedia è stata resa pubblica da questo giornale. Dal fantasma si passa alla realtà e ai fatti accertati.
Che fare, dunque, perché questi fatti non si ripetano più? Tocca all'Europa dal volto umano, e non all'Europa dei tecnocrati cinici e affaristi, avviare al più presto una nuova politica di cooperazione e di immigrazione legale da definire con quei paesi del Sud e dell'Est che bussano alle sue porte e che spesso ricevono soltanto risposte di morte.
Annotazioni − (Traduzione di Elda Volterrani)
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