Da La Repubblica del 14/06/2001

Sognavano Londra per non finire nella guerriglia Tamil. La foto ripescata era di un ragazzo cingalese

"Là sotto ci sono i miei nipoti"

di Giovanni Maria Bellu

MILANO - Il messaggio di Anpalagan è giunto a terra un mese fa, dopo aver giaciuto più quattro anni e mezzo in un fondale fangoso tra la Sicilia e Malta. Avvolto nei brandelli dei jeans del suo autore, è stato intrappolato dalla paranza di un peschereccio di Portopalo ed è stato tirato su per un centinaio di metri assieme a qualche quintale di merluzzi, polpi, naselli, gamberi e, molto probabilmente, a qualche grammo di ossa umane. Quando la rete è stata aperta, è caduto sul pontile di un peschereccio e un pescatore l'ha raccolto. E'un messaggio molto breve: un nome, un cognome, un luogo di nascita, e una fototessera in bianco e nero: quella dello stesso Anpalagan Ganeshu, 17 anni, cingalese di etnia tamil, una delle 283 vittime del "naufragio fantasma" della notte di Natale del 1996.

E'un piccolo rettangolo di carta plastificata, la sua carta d'identità, il messaggio di Anpalagan. Ma dice molte cose: dice purtroppo che che Anpalagan è morto. E dice anche che il relitto della piccola motonave maltese andata a picco quella notte si trova in una zona di mare attraversata dalla rotta tra la Valletta e Portopalo. La zona in cui il messaggio ha raggiunto il destinatario è infatti la stessa dove periodicamente le reti a strascico tirano su resti umani. E dunque ora, grazie ad Anpalagan, né il naufragio, né la barca sono più "fantasmi".


A dar voce alla carta d'identità è un uomo di 47 anni che in questo momento se la rigira tra le mani in un bar di Linate a due passi dal suo negozio di videocassette. L'uomo si chiama Balasundaram Elayathamey ed è lo zio materno di Anpalagan: "Noi speriamo ancora che sia vivo - dice - e mia sorella ne è assolutamente certa. Abita nel Nord dello Sri Lanka, a Chaukachceri nella provincia di Jaffna, e ha consultato gli indovini. Le hanno detto che sono vivi tutti e due". Tutti e due? "Su quella nave c'era anche il fratello di Anpalagan, Arulalagan, che ha un anno più di lui. Contavano di raggiungere l'Inghilterra per proseguire gli studi. Ma anche io, che non ho consultato gli indovini, sono convinto che possano essere vivi: non riesco a spiegarmi come, in un naufragio di tante persone, non sia stato trovato nemmeno un cadavere".

Ora lo zio di Anpalagan, che vive in Italia da vent'anni, ma di tanto in tanto torna a casa, legge le dichiarazioni del vicesindaco di Portopalo, del parroco, del vigile urbano, dello storico locale, del pescatore. Ogni tanto solleva lo sguardo e domanda: "Ma è vero?". Sì, è tutto vero. "Se è così sono morti". Sta in silenzio per un po'. Riprende la carta d'identità tra le mani, se la mette in tasca. "A mia sorella dice risoluto non lo dirò che gli indovini si sono sbagliati". E spiega, quasi con rabbia, che vuole che la madre di Anpalagan e Arulalagan - che da allora non mangia più riso, ma solo verdure, perché il digiuno aiuta il destino - continui a credere che i suoi due figli abbiano realizzato il loro sogno. E cioè che quella notte del 26 dicembre non siano morti come topi in una nave troppo stretta per l'ampiezza delle loro speranze ma siano giunti fino alle coste siciliane, abbiano risalito l'Italia fino al Nord, non siano passati a Milano dallo "zio Bala" perché avevano troppa fretta di vivere, e abbiano proseguito la loro corsa verso l'Inghilterra. E che siano là, a studiare e a lavorare. Che Anpalagan abbia trovato una vecchia bicicletta da montare e smontare, come faceva da ragazzino a Chaukachcheri, e che l'Europa abbia reso Arulalagan un po' meno chiuso e stralunato del solito.

La notizia dell'emersione di una carta di identità intestata a tale Anpalagan Ganeshu ha fatto in fretta il giro delle comunità tamil in Italia, legate dal passaparola intenso e preciso tipico dei popoli senza patria. Balasundaram si è fatto sentire l'altro ieri, ha detto di un suo nipote con quel nome scomparso nel dicembre del 1996, dopo essere partito alla volta dell'Europa. E' stato in grado di indicare con esattezza la data di nascita registrata nel documento: 2 aprile del 1979. Ora, per eliminare ogni dubbio, apre una cartellina e tira fuori due fotografie. La prima è in bianco e nero e ritrae un gruppo di famiglia attorno a una nonna tanto minuta da far apparire un trono la sua vecchia poltrona di legno. "Questi sono Anpalagan e Arulalagan", dice indicandoli. Il primo ha 4 anni, il secondo, alle sue spalle, 5. Nella foto a colori ci sono i due ragazzi nel 1994, due anni prima della morte. Hanno 15 e 16 anni. Anpalagan è accanto a un uomo sulla quarantina. Lo stesso uomo che in questo bar di Linate legge e rilegge le dichiarazioni della gente di Portopalo e che fa fatica a mantenere il contegno dimesso di chi vive in un paese che non è il suo.

E non crede che delle "autorità", e lo dice con molto rispetto, possano aver saputo cose tanto gravi senza denunciarli. Finalmente sbotta: "Non si trattano così nemmeno i cani. Voglio sapere chi sono i responsabili di questo e voglio denunciarli. Spero che facciano lo stesso tutti i familiari dei morti nel naufragio".

Il padre dei fratelli Ganeshu, racconta Balasundaram, nell'estate del 1996 venne in Italia appositamente per organizzare l'emigrazione dei suoi due figli maschi. Prese contatto con una agenzia specializzata in questi affari, versò una cifra che s'aggirava attorno ai venticinque milioni - "che è il valore di una bella casa" - e tornò nello Sri Lanka. Si trattava di fare in fretta. "Anche Anpalagan aveva concluso la scuola, e adesso entrambi i fratelli erano nell'età in cui un tamil rischia seriamente di venire arruolato tra i guerriglieri. Un destino a cui ci si può sottrarre solo andandosene. Intanto il padre aveva già fatto in modo che i due figli lasciassero la provincia dello Jaffna, che si trova nell'estremo nord del paese, per andare a Colombo in attesa del segnale di partenza".

Balasundaram doveva accogliere e orientare i nipoti in Europa. Non appena arrivati li avrebbe rivestiti di tutto punto, proprio come faceva quando andava a trovarli nello Sri Lanka, e i due un po' si pavoneggiavano con quei loro abiti italiani: "Anpalagan è dei due quello più legato a me. Siamo sempre andati molto d'accordo. E'un ragazzo vivace e dolce, con una grande capacità di apprendere e dei lavorare. Spesso ho pensato di vedermelo comparire all'improvviso davanti alla porta di casa. A mia sorella - dice Balasundaram sorridendo - gli indovini hanno detto che si trova molto vicino a dove vivo io".

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