Da Corriere della Sera del 10/04/2003

Bush in piedi davanti alla tv: «E’ la storia»

Cheney: «Emerge la saggezza del nostro piano». L’ambasciatore iracheno all’Onu: «La partita è chiusa»

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Affascinato, George Bush segue la caduta di Bagdad in diretta alla tv nello stanzino privato accanto allo Studio Ovale. E’ il giorno più bello del presidente, il suo D-day della guerra dell'Iraq. Sullo schermo, si vedono dei giovani che tentano di abbattere la statua di Saddam Hussein.
Bush è concitato, balza in piedi: «E’ un momento storico», dice al portavoce Ari Fleischer al suo fianco. Il capo di gabinetto Andrew Card l’interrompe: «C’è il presidente slovacco Rudolf Schuster». A malincuore, Bush si trasferisce nello Studio Ovale per riceverlo. Dopo pochi minuti, Card l’informa che un carro armato americano ha raggiunto la statua, e Bush gli chiede di registrare la scena. Appena Schuster esce, Bush si precipita nello stanzino. Si è perso l’abbattimento della statua, ma scorge la folla trascinarne la testa e il torso di Saddam per le strade: «L’hanno abbattuto!», esclama. Dirà Fleischer: «E’ una scena che toglie il fiato. Per il presidente, questa è la dimostrazione del potere della libertà. Ma occorre molta cautela, ammonisce il presidente, perché la guerra non è finita».
In quello stesso momento, l’America esulta. Al centro Karbala di Detroit, un centinaio di esuli iracheni celebra la liberazione con un corteo strombazzante di auto. Davanti alle basi militari si raccolgono folle plaudenti, nelle metropoli gruppi di persone scendono nelle strade abbracciandosi. I telefoni della Casa Bianca e del Pentagono squillano senza interruzione, come quelli delle famiglie dei soldati al fronte.
«Assistiamo alla caduta del regime», dichiara il vicepresidente Dick Cheney in un discorso all’Associazione degli editori a New Orleans. E con una punta velenosa: «Di giorno in giorno emerge la grande saggezza del nostro piano, nonostante le critiche degli ex generali incorporati (« embedded », proprio l’aggettivo usato per i giornalisti al seguito delle truppe Usa, ndr ) negli studi tv». Poco più tardi esterna anche il ministro della Difesa Donald Rumsfeld: «Bagdad è già sicura. Non c'è motivo per cui gli aiuti non possano affluirvi. Ma dovremo continuare a combattere, morirà altra gente».
Bush, Cheney, Rumsfeld, il segretario di Stato Colin Powell e altri sono stati informati fino dall'alba che la capitale irachena era in ginocchio. Hanno concordato una linea comune: di contenere il proprio entusiasmo, di ammonire il pubblico che il peggio potrebbe ancora venire, di porre in evidenza la gioia dell’Iraq libero, di assicurare che il Paese sarà governato «da iracheni per gli iracheni», e di mettere con le spalle al muro altri «Stati canaglia». Su questa linea, riferisce Fleischer, «il presidente dichiarerà vittoria soltanto quando la riterrà raggiunta».
E aggiunge: «Per lui, è stata una rivelazione, la conferma che la libertà non è una sua dottrina, ma un mandato di Dio. Si sente rafforzato». Una vittoria, chiedono i giornalisti, anche se Saddam Hussein scomparisse, come scomparve Bin Laden? «Anche in quel caso. Ma sapere che fine farà il raìs renderebbe più chiara la vittoria», risponde il portavoce. Rumsfeld offre una ricompensa a chi rintracciasse il dittatore: «Ci mancano ancora lui e i suoi figli. Non sappiamo se siano vivi o morti. Ma Saddam ha già trovato il suo posto accanto a Hitler, a Stalin e a Ceausescu».
La linea del ritegno ha un triplice obiettivo: dare tempo all'amministrazione di varare l'Autorità irachena ad interim, di assumere il controllo dell'intero Iraq, e di ammonire la Siria e l'Iran di non interferire. Sul primo punto, Cheney annuncia l'inizio dei negoziati sabato a Nassiriya, ma poi rettifica: «Sarà la settimana ventura». Il progetto appare più complesso del previsto: il padre del Congresso nazionale iracheno in esilio, Ahmed Chalabi, è il favorito, ma Bush vuole che tutte le correnti siano rappresentate. E' inevitabile che per qualche mese l'Iraq venga gestito dal governo ombra americano del generale Jay Garner. Cheney esclude che l'Onu abbia «il ruolo centrale, perché non è equipaggiato».
Mohamed Al Douri, l’ambasciatore iracheno all’Onu, ammette la sconfitta: «La partita è chiusa. E’ giusto che ora gli iracheni si godano la pace che meritano».
Rumsfeld accusa Damasco di offrire asilo ai leader del regime e di continuare a riarmarlo. Fleischer lo conferma: «La Siria non rispetta le sanzioni dell'Onu. Questo comportamento è grave soprattutto in tempo di guerra. Deve cessare subito».

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