Da Il Messaggero del 10/06/2003

Intercettati tra Svizzera e Usa i tesori d’arte saccheggiati in Iraq

di Fabio Isman

IN IRAQ, il saccheggio continua: «Un po’ in tutto il Paese, e specialmente attorno ai siti archeologici del Sud assai famosi per la civiltà sumerica, sono in corso estese azioni di scavo clandestino, con l’impiego di formidabili quantità di persone e di mezzi», rivela Giuseppe Proietti, direttore generale per l’archeologia al ministero dei Beni culturali. Professore, sia più preciso: che cosa significa “estese”, qualche decina di scavi? «Di più: da notizie pervenuteci, parecchie decine. Le forze armate americane e inglesi sono attestate soprattutto nelle grandi città, ed è venuto meno il controllo del territorio che prima era garantito, perché il regime iracheno è appunto crollato, dissolto». E ancora: «I reperti sottratti al museo di Bagdad sono tra i mille e i tremila, di cui una quarantina preziosissimi». Proietti parla nella nuova sede del nucleo operativo dei carabinieri per la tutela del patrimonio artistico, ad un vertice di polizie ed investigatori di svariati Paesi, convocato per discutere le misure da prendere dopo le razzie in Iraq. Lo ascoltano delegati di mezz’Europa; il generale Ugo Zottin, che dirige i ”carabinieri per l’arte”; Ferdinando Musella, che ne comanda il nucleo; il capo dell’Interpol in Italia, Rodolfo Ronconi. Dal primo dei due giorni di lavoro, sia pur a porte chiuse, esce un quadro assai allarmante, che investe anche gravi responsabilità occidentali: materiali originari della Mesopotamia sono stati infatti sequestrati in Giordania, Usa ed Inghilterra; il traffico clandestino transita spesso per la Svizzera; perfino importanti musei inglesi, americani e giapponesi acquistano (o ricevono in donazione in modo assai sospetto) pezzi rari e addirittura unici, ma anche intere collezioni di qualche consistenza.
Un rapporto americano, redatto dal colonnello dei marines Matthew Bogdanos, capo d’una speciale équipe investigativa, certifica che «28 vetrine sulle 451 del museo di Bagdad» sono state frantumate; «33 importanti reperti rubati, e 15 danneggiati»; «in due magazzini, rubati oltre 2.100 oggetti provenienti da scavi, di cui 800 recuperati, e 150 piccoli vasi, di cui solo 12 restituiti». Qualcosa viene ritrovato, perché la popolazione lo consegna: forse, gli stessi autori dei furti, grati per l’anonimato e la sostanziale impunità dalle loro malefatte. Ma un carico di 700 oggetti trafugati è stato bloccato a Sud, ad un posto di blocco dall’Iraqi National Congress, a bordo di un misterioso camion; e poi restituito dal leader di questa fazione, il discusso ex banchiere Ahmed Chalabi. Il grosso dei 170 mila oggetti del museo era però già stato messo in salvo dai dipendenti stessi: 7.350 oggetti assai preziosi, tra cui i 616 che formano il tesoro delle tombe principesche di Nimrud, nel caveau della banca centrale; 39.453 antichi manoscritti, codici e libri, in un rifugio anti-bomba nell’Ovest della città; quanto di trasportabile contenevano le vetrine e le sale del museo, in altri rifugi ancora, «segretissimi, che i dipendenti non ci hanno voluto rivelare», racconta il colonnello Bogdanos, «perché hanno giurato sul Corano di consegnarli solo quando in Iraq sarà stato formato un nuovo governo, e le truppe americane avranno lasciato il Paese». Gli oggetti più preziosi, invece, chissà dove sono finiti: «Il furto ha avuto dei committenti misteriosi» (Proietti).
Non si può ancora misurare l’entità del disastro, anche se, secondo il direttore generale iracheno Jaber Khalil, «è in corso una campagna deliberata per minimizzare le perdite»: «Sappiamo che non solo il museo di Bagdad è stato razziato; da quello di Mossul sono stati rubati preziosi rilievi in alabastro; altro ancora è stato asportato da Nimrud, e dal museo di Ctesifonte; danni gravi sono segnalati a Ur dei Caldei», spiega ancora Proietti. E, tra loro, i carabinieri italiani e gli agenti e poliziotti di una mezza dozzina di Paesi occidentali parlano di casse bloccate dalla dogana a New York, provenienti dalla Gran Bretagna e dirette a un antiquario della ”Grande mela”; di misteriosi iraniani e libanesi che vivono negli States , sospettati di essere il terminale di tanti traffici illeciti d’origine irachena; perfino di razzie più antiche, dieci anni fa, dopo la prima guerra nel Golfo, che hanno coinvolto e depauperato i musei di Kirkuk, Bassora, Maysan, Ashur e Babilonia. «Enorme» è «il flusso di materiale archeologico proveniente dall’Iraq sui mercati clandestini»; spesso, una tappa viene compiuta nel porto franco di Ginevra; qualche volta, gli oggetti si vendono con false attribuzioni, per non correre rischi. Ma quelli di maggior pregio (Proietti) «non sono certamente commercializzabili, perché troppo famosi e noti in tutto il mondo». A cominciare dai celebri Vaso e Testa di Warka, del 3100 avanti Cristo, o dalle sculture di Hatra, dai dossali di sedili in fragilissimo alabastro, «scavati a Nimrud e databili a 2.750 anni fa, tanto delicati che non erano mai stati prestati ad alcuna mostra», spiega Paolo Matthiae, lo scopritore di Ebla e preside alla Sapienza di Roma. Ma per fortuna, pochi giorni dopo il furto è stato possibile (non si sa come) recuperare un’importante statua assira del IX secolo a.C., che raffigura il re Salmanzar, insieme con «uno dei più antichi vasi bronzei con rilievi a noi noti», come spiega ancora il colonnello Bogdanos.
Forse, li vedremo presto: Donny George, uno dei più celebri archeologi iracheni, spera infatti di riaprire il museo di Bagdad già a luglio, per mettere in mostra un po’ di quanto è stato ritrovato, e anche gli ori di Nimrud, esposti solo brevemente, e un’unica volta, oltre dieci anni or sono. E non solo i Paesi occidentali si preoccupano delle razzie di Bagdad & dintorni: i delegati di 14 Paesi arabi, riuniti a Tunisi, chiedono un’indagine, «per definire responsabilità e giudicare gli autori di furti, incendi e saccheggi, siano essi singole persone, organizzazioni, o autorità». I primi a disarmare i fedeli custodi del principale museo iracheno, sono stati i fedayn di Saddam Hussein, che li hanno messi in fuga; «poi, sono arrivati quelli che sapevano, con il diamante per tagliare le vetrine», continua Proietti. Un saccheggio dei peggiori nella storia recente dell’umanità, che la riporta a nefasti assai più antichi. E li credevamo ormai abbondantemente dimenticati.

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