Da Il Messaggero del 10/06/2003
Predatori di storia a pagamento
di Paolo Matthiae
LE numerose informazioni di questi ultimi giorni sulla situazione attuale del patrimonio archeologico dell’Iraq oscillano tra un forte allarmismo, del tutto giustificato, per lo più di fonte giornalistica anglo-americana e un singolare desiderio di rassicurare sull’entità modesta dei danni, non ben comprensibile, non di rado di fonte italiana. E’ necessario fare il punto, oggi e in futuro, in maniera serena ed obiettiva, su una situazione, comunque tragica, in cui si deve evitare ogni forma di propaganda politica, per lasciare spazio alla realtà.
Tre rischi gravissimi ha corso e corre il patrimonio archeologico dell’Iraq: primo, danni dai bombardamenti e dal passaggio di truppe corazzate su siti archeologici; secondo, danni per saccheggi dei musei e dei centri archeologici aperti al pubblico; terzo, danni per scavi clandestini dei centri antichi in una situazione di attenuato o inesistente controllo del territorio.
La prima categoria di danni sembra, per fortuna, esser stata molto limitata: gli sfregi ai monumenti di Ur ad opera di gruppi di marines denunciati dalla stampa anglo-americana sono dolorosi e deprecabili, ma non gravissimi. Le autorità americane potranno evitare di porre, come sembra abbiano deciso, una loro base presso la città che la leggenda biblica ricorda come patria di Abramo, il padre dei credenti delle tre religioni monoteiste.
La seconda categoria di danni è andata oltre ogni più pessimistica previsione. Il Museo archeologico di Bagdad è stato orrendamente violato e una quarantina di capolavori - dalla ”Dama di Warka”, al vaso scolpito di Warka, ad una statua di Entemena di Lagash, al genio inginocchiato accadico di Bassetki, a due testate d’avorio di fattura siriana di Nimrud, ad una statua di Salmanassar III - sono state denunciate tra le perdite di straordinaria gravità dai responsabili iracheni. Alcune migliaia di oggetti ”minori” sono ugualmente perduti e ciò che è stato restituito è poco rispetto a quanto è scomparso.
Il ritrovamento del ”tesoro di Nimrud”, celebrato dalla nostra stampa quasi come una sensazionale scoperta archeologica americana, riempie tutti di gioia, ma era atteso e per nulla stupefacente. Gli ori delle tombe di Nimrud, formidabile scoperta degli archeologi iracheni tra il 1989 e il 1991, si sapeva che erano stati messi al sicuro in casse depositate correttamente nel caveau della Banca Centrale di Bagdad: gli archeologi iracheni lo avevano comunicato in un congresso internazionale su Nimrud tenuto nella primavera del 2002 a Londra. E’ ridicola leggenda che questo tesoro fosse stato sottratto al pubblico dal ”malvagio Saddam”: gli archeologi iracheni ne hanno dato comunicazione al mondo da Londra a Tokyo e hanno pubblicato non pochi pezzi di queste tombe straordinarie. Una mostra dei tesori di Nimrud era prossima alla realizzazione a Londra nel 1991 e in Italia all’inizio di quest’anno. Tutti abbiamo temuto non che questi tesori fossero stati diabolicamente sottratti, ma che fossero stati danneggiati durante il bombardamento della Banca Centrale: ciò fortunatamente non è avvenuto per merito degli archeologi iracheni che hanno provveduto a tutelarli adeguatamente. A loro la comunità internazionale deve gratitudine vivissima.
La terza categoria di danni è quella, gravissima, che si sta verificando in questi giorni e in queste settimane e che continuerà per mesi, per l’inesistente controllo del territorio. Nimrud è stata saccheggiata gravissimamente in molti dei rilievi che erano conservati in quel museo all’aperto che era il celebre palazzo di Assurnasirpal II. In molti siti famosi infuriano in questi giorni scavi clandestini selvaggi, addirittura documentati sul posto da attoniti giornalisti americani: una delle capitali della Babilonia, Isin, oggetto negli ultimi anni di un’accuratissima esplorazione tedesca, è già oggi una sterminata distesa di orribili sforacchiamenti compiuti ”dall’alba al tramonto”.
La situazione del patrimonio archeologico della Mesopotamia permane di estrema gravità. Il compito che hanno di fronte le potenze cui l’Onu ha di recente riconosciuto lo stato di potenze occupanti è di estrema difficoltà e deve essere assolto con un impegno consapevole nel pieno rispetto delle convenzioni internazionali e in particolare della Convenzione dell’Aja del 1954.
La comunità internazionale del mondo scientifico, a sua volta, non può sottrarsi ad un impegno che deve essere di piena collaborazione e di totale disinteresse per riconsegnare all’Iraq il suo patrimonio culturale, che è parte così rilevante del patrimonio dell'umanità.
Tre rischi gravissimi ha corso e corre il patrimonio archeologico dell’Iraq: primo, danni dai bombardamenti e dal passaggio di truppe corazzate su siti archeologici; secondo, danni per saccheggi dei musei e dei centri archeologici aperti al pubblico; terzo, danni per scavi clandestini dei centri antichi in una situazione di attenuato o inesistente controllo del territorio.
La prima categoria di danni sembra, per fortuna, esser stata molto limitata: gli sfregi ai monumenti di Ur ad opera di gruppi di marines denunciati dalla stampa anglo-americana sono dolorosi e deprecabili, ma non gravissimi. Le autorità americane potranno evitare di porre, come sembra abbiano deciso, una loro base presso la città che la leggenda biblica ricorda come patria di Abramo, il padre dei credenti delle tre religioni monoteiste.
La seconda categoria di danni è andata oltre ogni più pessimistica previsione. Il Museo archeologico di Bagdad è stato orrendamente violato e una quarantina di capolavori - dalla ”Dama di Warka”, al vaso scolpito di Warka, ad una statua di Entemena di Lagash, al genio inginocchiato accadico di Bassetki, a due testate d’avorio di fattura siriana di Nimrud, ad una statua di Salmanassar III - sono state denunciate tra le perdite di straordinaria gravità dai responsabili iracheni. Alcune migliaia di oggetti ”minori” sono ugualmente perduti e ciò che è stato restituito è poco rispetto a quanto è scomparso.
Il ritrovamento del ”tesoro di Nimrud”, celebrato dalla nostra stampa quasi come una sensazionale scoperta archeologica americana, riempie tutti di gioia, ma era atteso e per nulla stupefacente. Gli ori delle tombe di Nimrud, formidabile scoperta degli archeologi iracheni tra il 1989 e il 1991, si sapeva che erano stati messi al sicuro in casse depositate correttamente nel caveau della Banca Centrale di Bagdad: gli archeologi iracheni lo avevano comunicato in un congresso internazionale su Nimrud tenuto nella primavera del 2002 a Londra. E’ ridicola leggenda che questo tesoro fosse stato sottratto al pubblico dal ”malvagio Saddam”: gli archeologi iracheni ne hanno dato comunicazione al mondo da Londra a Tokyo e hanno pubblicato non pochi pezzi di queste tombe straordinarie. Una mostra dei tesori di Nimrud era prossima alla realizzazione a Londra nel 1991 e in Italia all’inizio di quest’anno. Tutti abbiamo temuto non che questi tesori fossero stati diabolicamente sottratti, ma che fossero stati danneggiati durante il bombardamento della Banca Centrale: ciò fortunatamente non è avvenuto per merito degli archeologi iracheni che hanno provveduto a tutelarli adeguatamente. A loro la comunità internazionale deve gratitudine vivissima.
La terza categoria di danni è quella, gravissima, che si sta verificando in questi giorni e in queste settimane e che continuerà per mesi, per l’inesistente controllo del territorio. Nimrud è stata saccheggiata gravissimamente in molti dei rilievi che erano conservati in quel museo all’aperto che era il celebre palazzo di Assurnasirpal II. In molti siti famosi infuriano in questi giorni scavi clandestini selvaggi, addirittura documentati sul posto da attoniti giornalisti americani: una delle capitali della Babilonia, Isin, oggetto negli ultimi anni di un’accuratissima esplorazione tedesca, è già oggi una sterminata distesa di orribili sforacchiamenti compiuti ”dall’alba al tramonto”.
La situazione del patrimonio archeologico della Mesopotamia permane di estrema gravità. Il compito che hanno di fronte le potenze cui l’Onu ha di recente riconosciuto lo stato di potenze occupanti è di estrema difficoltà e deve essere assolto con un impegno consapevole nel pieno rispetto delle convenzioni internazionali e in particolare della Convenzione dell’Aja del 1954.
La comunità internazionale del mondo scientifico, a sua volta, non può sottrarsi ad un impegno che deve essere di piena collaborazione e di totale disinteresse per riconsegnare all’Iraq il suo patrimonio culturale, che è parte così rilevante del patrimonio dell'umanità.
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