Da Avvenire del 18/06/2003
Una società farmaceutica offrirà medicinali gratuiti per mamme e figli
Mozambico. Il «sogno» riparte da Celeste
La piccola, che compirà un anno, è la prima nata sana da madre sieropositiva grazie al progetto «Dream» della Comunità di Sant’Egidio
di Claudio Monici
Negli occhi di Celeste si specchiano le speranze, a portata di mano, dell'Africa uccisa dall'Aids, delle mamme sieropositive che partoriscono e poi muoiono, dei bambini nati contagiati e poi condannati a diventare gli orfani del virus. La piccola Celeste, il prossimo 27 luglio festeggerà il suo primo anno di vita. Chissà, un giorno forse quando sarà grande, Celeste racconterà ai figli la sua storia e quella di questo Continente nero oggi ancora non pago della tirannia esangue inflitta dal virus Hiv. Una terra che domani, grazie alla sopravvivenza di questa bambina mozambicana, potrà forse rimettersi in piedi da un macilento letto dove ancora giacciono milioni di condannati a morte: poter riprendere una vita normale, con una malattia cronicizzata ma costantemente sotto tutela delle cure, e non solo la prevenzione, come ormai accade nei Paesi sviluppati. Celeste è stata la prima bambina a nascere sana in Africa australe, da una madre portatrice del virus Hiv, che ancora vive nonostante la malattia e che non la renderà orfana. Ce l'ha fatta, Celeste, soltanto perché a sua madre è stata offerta l'opportunità di accedere gratuitamente alla terapia antiretrovirale, prima e dopo il parto. Un intervento che fino a un anno fa era rimasto inutilizzato in Africa. Una «dimenticanza» che ha già causato undici milioni di bambini orfani, ma possono diventare molti di più se esperienze come quella avviata dalla Comunità di Sant'Egidio in Mozambico non si dovessero concretizzare in uno sviluppo più capillare: il progetto «Dream» curare l'Aids in Africa, un modello di trattamento antiretrovirale dell'infezione da Hiv nei sistemi sanitari di Paesi a risorse limitate, e sostenuto da Unicredit e Farmindustria. Ma anche case farmaceutiche come Glaxo e Boehringer hanno confermato la disponibilità di offrire gratuitamente a Sant'Egidio i principi attivi per confezionare i farmaci destinati alla cura dell'Hiv in Africa. Celeste è stata partorita nel «Centro di prevenzione verticale da madr e a bambino» di Matola 2, un sobborgo alla periferia ovest di Maputo. L'unica realtà inserita in un contesto di sanità pubblica, un anno fa ristrutturato da Sant'Egidio, che copre un bacino di utenza di 500mila persone. Racconta Alessandra Morvillo, coordinatrice di «Dream» a Matola 2: «Qui assistiamo 300 parti al mese. Oggi siamo già a 40 donne che ogni settimana si sottopongono al test dell'Hiv. Da maggio 2001, cioè da quando siamo attivi, abbiamo testato 1.700 donne e il 18 per cento sono risultate positive. Donne tra i 20 e 30 anni, e almeno 1.100 di loro erano state abbandonate dai mariti, le altre sono vedove o ancora con il marito in casa. A tutte le partorienti che si rivolgono a noi viene proposto di fare il test. Non tutte dicono di sì: la paura e ancora troppi sono i pregiudizi dentro la comunità dove vivono, ma anche nelle famiglie d'origine. Ma chi risponde affermativamente lo fa perché ha capito che quel suo sì le darà la possibilità di essere curate e così continuare ad accudire e far crescere il suo bambino nel calore di un abbraccio, di una famiglia. Tutti sappiamo che in Africa la sopravvivenza dei bambini orfani, anche se non contagiati dal virus, è inferiore a quella degli altri bambini». Prima di questo sogno, «Dream» in inglese, in Africa la terapia antiretrovirale era concessa solo ai bambini nati sieropositivi e mai alle madri destinate quindi a morire: «Questa è la causa principale dell'alto numero, 11 milioni, di bambini orfani in questo Continente. Dopo un anno di attività nel nostro centro 350 madri seguono la terapia», aggiunge Alessandra Morvillo. Dopo Celeste, a Matola, 110 bambini e bambine sono nati sani da madri malate, altri 50 attendono il compimento del primo mese di vita per essere sottoposti ai controlli della carica virale nel sangue. «Mi sento di dire che il risultato di questo nostro progetto in Mozambico, la triterapia farmaceutica, è forse uno dei migliori applicati in Africa: la percentuale dei bambini infettati al mome nto del parto è inferiore al 2,8 per cento - spiega il dottor Giuseppe Liotta -. Altri progetti simili dove il trattamento è composto da uno o due farmaci, la percentuale è del 7 per cento. Certo siamo ancora nella fase iniziale, ma la risposta giusta è quella di moltiplicare questi servizi come Matola 2 a stretto contatto con il sistema sanitario mozambicano. È un treno che non dobbiamo perdere più».
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