Da Corriere della Sera del 02/10/2003
Condono: il catalogo degli errori
di Gian Antonio Stella
Puzza. Più lo annusi e più puzza, questo condono edilizio varato sotto il titolo furbetto e ipocrita «Misure per la riqualificazione ambientale e paesaggistica, per l’incentivazione dell’attività di repressione dell’abusivismo edilizio nonché...». Repressione dell’abusivismo? Leggete il comma 6 dell’articolo 8. Dove si dice, alla faccia della favoletta sul silenzio-diniego, che il pagamento della multa e degli oneri più la presentazione di tutti i documenti richiesti entro il 30 settembre 2004 equivarranno due anni dopo, «senza l’adozione di un provvedimento negativo del Comune», al «titolo abilitativo edilizio in sanatoria». Traduzione: stavolta gli abusivi non saranno manco costretti a restare in sospeso per anni aspettando la risposta degli uffici tecnici municipali. Fatta eccezione per le poche aree protette dai vincoli più rigidi, basterà che attendano la scadenza dei 24 mesi. Dopodiché, se per pigrizia o complicità nessuno avrà mai aperto il loro fascicolo, ciao: saranno in regola.
Indovina indovinello: come pensate che possa finire se intere regioni non sono ancora riuscite a sbrigare il 20% dele pratiche degli altri condoni vecchie di nove e di diciotto anni? Il silenzio-assenso non è neppure l'unico inserto eticamente schifosetto inserito in questo condono che qualche buontempone aveva preannunciato «leggero». All'articolo 7 («definizione degli illeciti edilizi») in fondo a un delirante labirinto di «disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985 n. 47 e successive modificazioni...», c'è per esempio un regalo in più a chi approfitta della sanatoria: l'estinzione del reato. Accompagnato dalla seguente precisazione: «Le suddette disposizioni trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 mc per singola richiesta di titolo abitativo edilizio in sanatoria». Prego rileggere: «Per ogni singola richiesta». Quattro paroline che, secondo Beppe Arnone e gli altri avvocati di Legambiente, «consentirà ai palazzinari che hanno tirato su interi villaggi o condomini da 10 piani, di sanare tutto: basterà che ogni proprietario condoni il proprio pezzo. Una casa Mario, una Ugo, una Giovanni...».
Obiezione: il silenzio-diniego proteggerà le aree protette! Senza lasciare neppure la possibilità di fare ricorso! Macché: Altero Matteoli, il ministro dell'Ambiente che si era consolato con questa versione, ha letto male. Al comma 2 dell'articolo 10 sta scritto, certo, che gli abusi nelle aree di tutela sono sanabili solo con l'ok delle amministrazioni preposte. E che se queste non rispondono entro 180 giorni, la risposta è no. Ma «il richiedente può impugnare il silenzio-rifiuto». Quanto al comma 5, spiega che un antico principio viene rovesciato: una volta se costruivi una casa su terreno dello Stato diventava automaticamente proprietà pubblica. Ora non più: basta pagare e sei tu a prenderti la terra pubblica che hai occupato. Cosa possa significare per il Demanio, soprattutto in certe aree meridionali, lo potete immaginare.
«Il Mezzogiorno cialtrone e devastatore del passato sta pericolosamente rialzando la testa e il condono lo aiuta», ha scritto ieri mattina Gianfranco Viesti nell'articolo di fondo della Gazzetta del Mezzogiorno di Bari, giornale certo non ostile al governo e men che mai anti-meridionalista. Il titolo già diceva tutto: «Condono edilizio iattura per il Sud». Iattura morale, iattura politica, iattura finanziaria. Nel momento in cui ha deciso di vendersi anche l'anima tirandosi addosso le critiche pesantissime non solo degli svagati fraticelli ambientalisti ma anche della Confindustria, il governo non deve aver fatto benissimo i conti.
Basti prendere a esempio il caso di Ardea, un paesotto alle porte di Roma che negli ultimi dieci anni è passato da 16 a 26 mila abitanti dilagando nelle campagne nel caos più assoluto e spesso illegale: se ognuno degli abusivi che ha tirato su le 430 case fuorilegge pagasse sul serio i 155 euro al metro fissati come tetto massimo dalla sanatoria (sinceramente: campa cavallo!) lo Stato incasserebbe 6.665.000 euro per poi spenderne almeno 9.460.000 in oneri di urbanizzazione. Una perdita secca di quasi tre milioni. Solo ad Ardea.
Per avere un'idea di quanto ci rimetterebbe in tutta la penisola, basta confrontare il dato che il Tesoro confida di ricavare dalla sanatoria, 3,3 miliardi di euro, con quello che costerebbe portare poi tutti i servizi (fogne, acqua, strade, luce pubblica....) nelle borgate, nei villaggi turistici, negli osceni agglomerati costieri nati fuori da ogni legge. Minimo (minimo) 22 mila euro ad abitazione. Che fanno, moltiplicati per le 362.676 case abusive nate secondo il Cresme dal 1994 in qua, 7 miliardi e 978 milioni. Un affarone.
Ammesso che la gente paghi. Come dice il dossier Ecomafia2003 , il 47,7% degli abusi viene commesso nelle quattro regioni meridionali (Sicilia, Calabria, Puglia e Campania) in cui lo Stato fatica molto a farsi rispettare. Ora: se è vero che queste regioni sono storicamente non solo più povere ma anche più riottose a pagare oblazioni, multe e contributi (come testimoniano i disastrosi risultati dei condoni precedenti quando la stragrande maggioranza degli abusivi ha pagato la prima rata per bloccare inchieste e demolizioni e poi non ci ha pensato più) è pensabile che ora accettino di tirar fuori, come minimo, 98 euro al metro quadro? E' pensabile che chi se n'è infischiato perfino della sanatoria della sanatoria offerta dalla Regione Sicilia sganci adesso, per 100 metri quadri, almeno 9.800 euro per rientrare dentro una legalità urbanistica alla quale si sente culturalmente estraneo? Certo: chi non ci sta rischia di vedersi la casa abbattuta. Ma il rischio, dicono le statistiche, è in queste quattro regioni intorno allo 0,97% perfino nei casi in cui c'è già l'ordinanza di demolizione.
Dicono i promotori del condono che adesso, per le ruspe, ci sono finalmente i soldi. Da 50 a 100 milioni di euro. Bene. Peccato che, come dimostrano i numeri di chi le demolizioni le ha fatte davvero come ad Eboli, ogni metro cubo demolito costa 17 euro. Fate i conti: calcolando 300 metri cubi a casa, i soli 21 mila edifici insanabili da demolire in Sicilia con provvedimenti già esecutivi (sulla carta) si porterebbero via 107 milioni. Cioè l'intero stanziamento. Auguri.
Indovina indovinello: come pensate che possa finire se intere regioni non sono ancora riuscite a sbrigare il 20% dele pratiche degli altri condoni vecchie di nove e di diciotto anni? Il silenzio-assenso non è neppure l'unico inserto eticamente schifosetto inserito in questo condono che qualche buontempone aveva preannunciato «leggero». All'articolo 7 («definizione degli illeciti edilizi») in fondo a un delirante labirinto di «disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985 n. 47 e successive modificazioni...», c'è per esempio un regalo in più a chi approfitta della sanatoria: l'estinzione del reato. Accompagnato dalla seguente precisazione: «Le suddette disposizioni trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 mc per singola richiesta di titolo abitativo edilizio in sanatoria». Prego rileggere: «Per ogni singola richiesta». Quattro paroline che, secondo Beppe Arnone e gli altri avvocati di Legambiente, «consentirà ai palazzinari che hanno tirato su interi villaggi o condomini da 10 piani, di sanare tutto: basterà che ogni proprietario condoni il proprio pezzo. Una casa Mario, una Ugo, una Giovanni...».
Obiezione: il silenzio-diniego proteggerà le aree protette! Senza lasciare neppure la possibilità di fare ricorso! Macché: Altero Matteoli, il ministro dell'Ambiente che si era consolato con questa versione, ha letto male. Al comma 2 dell'articolo 10 sta scritto, certo, che gli abusi nelle aree di tutela sono sanabili solo con l'ok delle amministrazioni preposte. E che se queste non rispondono entro 180 giorni, la risposta è no. Ma «il richiedente può impugnare il silenzio-rifiuto». Quanto al comma 5, spiega che un antico principio viene rovesciato: una volta se costruivi una casa su terreno dello Stato diventava automaticamente proprietà pubblica. Ora non più: basta pagare e sei tu a prenderti la terra pubblica che hai occupato. Cosa possa significare per il Demanio, soprattutto in certe aree meridionali, lo potete immaginare.
«Il Mezzogiorno cialtrone e devastatore del passato sta pericolosamente rialzando la testa e il condono lo aiuta», ha scritto ieri mattina Gianfranco Viesti nell'articolo di fondo della Gazzetta del Mezzogiorno di Bari, giornale certo non ostile al governo e men che mai anti-meridionalista. Il titolo già diceva tutto: «Condono edilizio iattura per il Sud». Iattura morale, iattura politica, iattura finanziaria. Nel momento in cui ha deciso di vendersi anche l'anima tirandosi addosso le critiche pesantissime non solo degli svagati fraticelli ambientalisti ma anche della Confindustria, il governo non deve aver fatto benissimo i conti.
Basti prendere a esempio il caso di Ardea, un paesotto alle porte di Roma che negli ultimi dieci anni è passato da 16 a 26 mila abitanti dilagando nelle campagne nel caos più assoluto e spesso illegale: se ognuno degli abusivi che ha tirato su le 430 case fuorilegge pagasse sul serio i 155 euro al metro fissati come tetto massimo dalla sanatoria (sinceramente: campa cavallo!) lo Stato incasserebbe 6.665.000 euro per poi spenderne almeno 9.460.000 in oneri di urbanizzazione. Una perdita secca di quasi tre milioni. Solo ad Ardea.
Per avere un'idea di quanto ci rimetterebbe in tutta la penisola, basta confrontare il dato che il Tesoro confida di ricavare dalla sanatoria, 3,3 miliardi di euro, con quello che costerebbe portare poi tutti i servizi (fogne, acqua, strade, luce pubblica....) nelle borgate, nei villaggi turistici, negli osceni agglomerati costieri nati fuori da ogni legge. Minimo (minimo) 22 mila euro ad abitazione. Che fanno, moltiplicati per le 362.676 case abusive nate secondo il Cresme dal 1994 in qua, 7 miliardi e 978 milioni. Un affarone.
Ammesso che la gente paghi. Come dice il dossier Ecomafia2003 , il 47,7% degli abusi viene commesso nelle quattro regioni meridionali (Sicilia, Calabria, Puglia e Campania) in cui lo Stato fatica molto a farsi rispettare. Ora: se è vero che queste regioni sono storicamente non solo più povere ma anche più riottose a pagare oblazioni, multe e contributi (come testimoniano i disastrosi risultati dei condoni precedenti quando la stragrande maggioranza degli abusivi ha pagato la prima rata per bloccare inchieste e demolizioni e poi non ci ha pensato più) è pensabile che ora accettino di tirar fuori, come minimo, 98 euro al metro quadro? E' pensabile che chi se n'è infischiato perfino della sanatoria della sanatoria offerta dalla Regione Sicilia sganci adesso, per 100 metri quadri, almeno 9.800 euro per rientrare dentro una legalità urbanistica alla quale si sente culturalmente estraneo? Certo: chi non ci sta rischia di vedersi la casa abbattuta. Ma il rischio, dicono le statistiche, è in queste quattro regioni intorno allo 0,97% perfino nei casi in cui c'è già l'ordinanza di demolizione.
Dicono i promotori del condono che adesso, per le ruspe, ci sono finalmente i soldi. Da 50 a 100 milioni di euro. Bene. Peccato che, come dimostrano i numeri di chi le demolizioni le ha fatte davvero come ad Eboli, ogni metro cubo demolito costa 17 euro. Fate i conti: calcolando 300 metri cubi a casa, i soli 21 mila edifici insanabili da demolire in Sicilia con provvedimenti già esecutivi (sulla carta) si porterebbero via 107 milioni. Cioè l'intero stanziamento. Auguri.
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