Da Corriere della Sera del 22/10/2003

Noi e Gheddafi

di Sergio Romano

Non è facile affrontare un fenomeno in cui si combinano, in parti eguali, lo spregiudicato affarismo dei contrabbandieri e la disperazione umana degli emigranti. I cinesi morti in un camion durante il passaggio della Manica e i corpi degli annegati, regolarmente gettati dal mare sulle coste spagnole, dimostrano che nessun Paese europeo può controllare completamente le sue frontiere marittime o terrestri. Ma certi accenti trionfalisti, soprattutto dopo il viaggio di Silvio Berlusconi in Libia, l’anno scorso, erano fuori luogo e rendono il governo più vulnerabile agli attacchi dell'opposizione. Se avesse consultato Giulio Andreotti o Lamberto Dini, il presidente del Consiglio saprebbe che Gheddafi è naturalmente, fisiologicamente infido.

Si è servito dell'Italia, quando Dini era ministro degli Esteri, per uscire dall'isolamento a cui era stato condannato dalla comunità internazionale dopo il «caso Lockerbie» (l'attentato contro un aereo di linea americano in Scozia). E ora, dopo avere comprato all'Onu la revoca delle sanzioni, si serve dei clandestini africani per barattare la sua collaborazione con i mezzi tecnici (radar, sensori, attrezzature navali) che gli servono (così, almeno, sostiene) per il controllo delle coste. Petrolio e clandestini sono oggi i due strumenti preferiti della politica di Gheddafi verso l'Italia.

Dovremmo forse adottare con lui una linea «americana»? Non ci converrebbe. Ma è meglio sapere che continuerà a cambiare periodicamente, a suo piacimento, le regole del gioco e a trattarci pubblicamente come il «nemico ereditario». Temo che Berlusconi, dopo l'incontro sotto la tenda, abbia ceduto alla tentazione di vantare come successo personale un’intesa che, con il leader libico, è sempre provvisoria e precaria.

Questa è la prima lezione di Lampedusa. La seconda concerne l'Europa. E' assurdo, dopo la firma del trattato di Schengen, pretendere che ogni Paese resti responsabile delle proprie frontiere e si disinteressi di quelle dei partner. E tale posizione è particolarmente assurda in un momento in cui il Mediterraneo, frontiera meridionale dell'Unione Europea, è il punto di raccolta per tutti i miserabili che hanno intrapreso, dall'Africa e dall'Asia, il loro viaggio della speranza. Non sempre chi sbarca da noi vuole restare in Italia. Molti ci considerano terra di passaggio per salire verso l'Europa centrale. Il governo italiano, grazie al semestre di presidenza, ha proposto una politica europea dell'immigrazione e un'agenzia dell'Ue per la sorveglianza delle frontiere. Ma si scontra, soprattutto in materia di quote, con il geloso attaccamento alla sovranità nazionale di alcuni suoi partner. Oggi, dopo Lampedusa, deve rilanciare il progetto. E potrà aggiungere, sulla base della propria esperienza, che nessun accordo bilaterale, in particolare con la Libia, sarà mai efficace quanto un accordo europeo. Di fronte a un'agenzia dell'Unione le armi preferite di Gheddafi si rivelerebbero spuntate.

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