Da The New York Times del 02/10/2003

L’America che si arricchisce con la ricostruzione in Iraq

di Paul Krugman

ORMAI è ufficiale: l’amministrazione che un tempo sdegnava il processo di nation-building ora afferma di essere impegnata nella versione moderna del Piano Marshall. L’Iraq, tuttavia, non è l’Europa del dopoguerra e George W. Bush non è paragonabile in nessun modo ad Harry Truman. Infatti mentre Truman guidò il suo paese in quello che Churchill definì il “più magnanimo gesto della storia”, le storie che circolano sulla ricostruzione dell’Iraq continuano a diventare sempre più sordide. Lo squallore non è, come alcuni vorrebbero farvi credere, un dettaglio di secondaria importanza in un’impresa peraltro nobile.

Il clientelismo è un fattore determinante nella nostra débacle in Iraq. Non soltanto la ricostruzione è molto più costosa di quello che dovrebbe essere: quello che conta davvero è che il clientelismo è una politica devastante. Trattando i contratti come se fossero premi da elargire ai loro amici, i funzionari dell’amministrazione stanno procrastinando la ripresa dell’Iraq, con conseguenze. potenzialmente catastrofiche.

Se ne parla raramente ai nostri tempi, ma all’epoca del piano Marshall gli americani erano molto preoccupati di realizzare grandi guadagni in nome del patriottismo. Per ottenere l’approvazione del Congresso, Truman dovette fornire garanzie che il piano non si sarebbe trasformato in uno spreco di denaro pubblico. I finanziamenti furono amministrati da un’agenzia indipendente rispetto alla Casa Bianca e Marshall promise che le priorità sarebbero state stabilite dagli europei, non dagli americani.

Per fortuna, le promesse di Truman furono onorate. Sebbene oggi egli sia celebrato soprattutto per la sua leadership nel dopoguerra, Truman inizialmente assunse notorietà in qualità di fiero crociato contro la realizzazione di grandi guadagni in guerra, eventualità che egli considerava alla stregua di un vero e proprio tradimento.

La ricostruzione dell’Iraq, invece, resta tuttora saldamente sotto il controllo della Casa Bianca. E questa è un’amministrazione di – fatta da e a vantaggio di – una combriccola di amiconi capitalisti. Per trovare una noncurante mancanza di preoccupazione sul conflitto di interessi analoga a quella dell’attuale Casa Bianca occorre andare indietro nel tempo fino all’amministrazione’ Harding. L’abnorme contratto assegnato senza alcuna gara d’appalto alla Halliburton – la società che ha reso ricco Dick Cheney – è proprio quello che ci si doveva aspettare. Sebbene la situazione in Iraq stia andando alla deriva e il Consiglio di governo iracheno stia chiedendo più autonomia e controllo, i funzionari americani persistono a ostacolare le iniziative locali, cercando di mantenere gli appalti più importanti nelle mani di-chi-già-sapete. A luglio, per esempio, due intraprendenti società mediorientali hanno iniziato a offrire servizi di telefonia mobile a Bagdad, mettendo in piedi con attrezzature di fortuna dei sistemi compatibili con quelli dei paesi confinanti. Poiché dalla caduta di Bagdad a oggi la rete telefonica è una delle principali cause dei problemi del dopoguerra, le autorità della coalizione avrebbero dovuto esserne liete. Invece no: le autorità hanno immediatamente fatto chiudere quel servizio. Il servizio di telefonia mobile – hanno dichiarato – potrà essere offerto unicamente dal vincitore dell’apposita gara d’appalto – una gara le cui specifiche, come si è saputo il 31 luglio, paiono essere state meticolosamente concepite al fine di tenerne fuori qualsiasi compagnia non americana. (A fronte delle strenue proteste, i requisiti per la gara sono stati in seguito modificati, ma anche allora sono parsi favorire i soliti sospetti). Stranamente, l’annuncio del vincitore della gara d’appalto, originariamente fissato al 5 settembre, continua a essere rimandato. Nel frattempo soltanto Paul Bremer e i suoi hanno telefoni cellulari – e grazie alla sconcertante decisione di assegnare il contratto alla Mci, persino quelli non funzionano molto bene (a parte il fatto che il suo management si è reso colpevole della più grande frode contabile della storia, l’Mci non ha alcuna esperienza di messa a punto di network di telefonia mobile).

Poi c’è l’elettricità. Una delle ragioni perle quali l’Iraq è ancora alle prese con i blackout è che gli esperti e le istituzioni locali sono state esclusi dal business delle riparazioni. Il contratto in esclusiva è stato invece assegnato alla Bechtel, i cui legami coni Repubblicani sono altrettanto solidi di quelli dell’Halliburton. E se un recente articolo comparso sul Washington Post dice il vero, la Bechtel continua a ignorare le richieste di vitali parti di ricambio avanzate dagli ingegneri iracheni.

Nel frattempo numerose società aventi legami personali con i funzionari al vertice dell’amministrazione hanno iniziato spudoratamente a offrire i loro servizi di mediazione alle società che cercano affari in Iraq. L’ex studio legale di Douglas Feith, il sottosegretario del Pentagono che sovrintende alla ricostruzione in Iraq, ha appeso fuori la sua targa. Altrettanto ha fatto un’altra società a capo della quale c’è Joe Allbaugh, che diresse la campagna Bush Cheney nelle presidenziali del 2000 e che fino a pochi mesi fa dirigeva la Fema. Una terza compagnia, diretta dal nipote di Ahmad Chalabi, si è unita alle prime due.

Qual è la morale di tutto ciò? Gli ottimisti che sperano che l’amministrazione rimetta in carreggiata la sua politica irachena si stanno illudendo. Rifletteteci: i costi dell’occupazione sono esplosivi, e gli esperti militari ci hanno già messo in guardia quando ci hanno spiegato che il nostro esercito è pericolosamente gravato. Eppure i funzionari continuano a permettere che la ricostruzione in Iraq stenti, che la disaffezione dell’opinione pubblica irachena cresca, mentre pilotano contratti di prima qualità indirizzandoli ai loro amici. Che cosa vi fa pensare che possano mai cambiare?

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