Da La Stampa del 01/12/2003
Osservatorio
La Russia alle urne fa le prove di democrazia
di Aldo Rizzo
Tra sei giorni, si vota in Russia per il rinnovo della Duma, cioè del Parlamento. Tra tre mesi, si voterà per l'elezione del Presidente. Sembra il calendario normale di una democrazia normale, ma è proprio così? O meglio, il calendario è normale, ma lo è anche la democrazia? Il quesito non è di poco conto, perché non stiamo parlando di un paese qualsiasi, ma del gigante geopolitico bicontinentale, che è all'immediato confine orientale dell'Unione europea, un gigante dai molti problemi ma anche dalle molte potenzialità e che comunque resta la più grande potenza militare (nucleare) dopo gli Stati Uniti d'America. Da come evolverà il suo quadro economico e politico dipende il tipo concreto di rapporto che potrà instaurarsi tra Mosca e Bruxelles, cioè tra la Russia e l'Ue, e anche, sul piano generale, tra la Russia e l'Occidente, e il resto del mondo.
Ora come ora, il gigante è in bilico tra il passato e il futuro, tra una qualche ricaduta autoritaria e uno sviluppo coerente delle regole democratiche e dell'economia di mercato. Economicamente, in questi quattro anni di presidenza Putin, la Russia ha fatto grandi progressi. Secondo l'ex capo del governo Egor Gaidar, intervistato da «Il Sole-24 Ore», «abbiamo superato la fase di transizione... abbiamo attraversato tutte le fasi di un'economia post-socialista» e «la crescita registrata nel 2003 non fa più parte della "riabilitazione", è crescita reale». Gaidar appartiene all'era eltsiniana, che ora viene spesso accusata di avere semplicemente partorito il caos dopo la fine dell'Urss e le dimissioni forzate di Gorbaciov, ma è pur vero che la stabilizzazione e comunque i progressi realizzati sotto Putin non sarebbero stati possibili senza quei primi colpi di maglio, certo pesanti e squilibrati, inferti al monolite sovietico. Semmai, dice Gadar e conferma Ciubais, altro leader della «destra» eltsiniana, ora sono proprio le ambiguità di Putin a mettere in discussione i progressi realizzati. Il riferimento principale è alla vicenda del colosso energetico Yukos, il cui capo, Mikhail Khodorkovskij, è in carcere dal 25 ottobre per una serie di accuse che si allunga ancora (per un'iniziativa autonoma della Procura, dice Putin, per un diretto impulso del Cremlino, dicono gli oppositori, secondo i quali Khodorkovskij stava assumendo il ruolo di un leader politico alternativo). Il timore dei liberisti o dei veri liberali, come Grigori Yavlinski, capo del partito Yabloko, è che si blocchi o freni il processo di modernizzazione e di liberalizzazione dell'economia per non correre rischi politici e di potere, e per questo starebbero prendendo sempre più forza i «siloviki», i burocrati dell'ex KGB da cui proviene il Presidente. Timori che, a questo punto, non riguardano più solo l'economia di mercato ma anche le prospettive della democrazia (insidiate pure da un crescente controllo dell'informazione).
Al centro di tutto questo c'è ovviamente Vladimir Putin, l'«enigma Putin». Se in Europa c'è chi, come Silvio Berlusconi, giura che «l'amico Vlad» abbia ormai fatto una scelta irreversibile per l'Occidente e per la democrazia, altri nutrono ancora delle riserve. Fra questi (tanto per cambiare) il presidente della Commissione europea, Romano Prodi, che tre settimane fa prese tutte le distanze dall'incauto avallo berlusconiano alla politica russa nella disastrata Cecenia. Riserve restano anche in America, nonostante l'alleanza «strategica», certo importante, contro il terrorismo. L'icona storica del pietroburghese Putin è lo zar Pietro il Grande, che fondò appunto Pietroburgo come porta sull'Occidente, ma non per questo si privò di politiche repressive anche feroci.
Questo è lo sfondo del ciclo elettorale che si apre domenica prossima col rinnovo della Duma per concludersi a marzo con l'elezione popolare del Presidente. Se non sembrano esserci dubbi sulla conferma di Putin, sarà interessante l'esito delle elezioni parlamentari, non tanto per lo scontro tra «Russia Unita», il partito presidenziale, e gli eredi del Pcus, quanto per le fortune delle formazioni liberali, che potrebbero impedire la «zarizzazione» di Putin e favorirne le tendenze democratiche e modernizzatrici. Nell'interesse della Russia, come dell'Europa e dell'Occidente.
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