Da Corriere della Sera del 05/06/2004

La sconfitta estremista rilancia le due sinistre

di Massimo Franco

Fausto Bertinotti che per legittimarsi dice: il nostro messaggio di pace si collega con quello del Papa. I manifestanti che gridano «buffoni» alle frange violente. Gli «incappucciati» cacciati fuori dal corteo dagli altri pacifisti. E tutti che prendono le distanze dallo slogan vergognoso di chi insulta la memoria dei soldati italiani uccisi a Nassiriya. Adesso, viene quasi da pensare che la vigilia della visita di George Bush in Italia sia stata preceduta da un eccesso di allarme e di veleno. Il bilancio finale del primo giorno mostra l’isolamento degli estremisti. Ridimensiona l’inquietudine confessata giovedì da Silvio Berlusconi, che alla fine ha commentato, sodisfatto: «E’ andata molto bene. La manifestazione è stata un flop: 6000 persone, di cui 4000 venute da fuori». I numeri degli organizzatori sono naturalmente al rialzo, e non al ribasso: si è parlato di quasi 150 mila persone. Ma a contare, secondo gli organizzatori, è il risultato: l’«altra sinistra» è riuscita a dare un’immagine meno estremista di quanto molti temessero o sperassero. «Si sono dissolte tutte le ansie e le paure dei giorni scorsi» ha dichiarato il segretario di Rifondazione comunista quando si è cominciato a capire che Roma non sarebbe stata messa a ferro e fuoco. Bertinotti era in testa al corteo, e ha voluto rimarcare che erano stati «i giovani disobbedienti a chiedere che gli estranei incappucciati inseritisi nel corteo si togliessero il cappuccio».

Ha rivendicato una partecipazione «a volto scoperto e a mani nude. Nel movimento si sta allargando la non violenza: sta diventando la regola». Può darsi che l’ottimismo bertinottiano sia eccessivo e un po’ strumentale. Ma è un fatto che la protesta di ieri, tranne frange minoritarie che hanno bruciato cassonetti e tirato bottiglie contro le forze dell’ordine, dà ragione alla sua analisi. «Chi non è venuto ha sbagliato», si è affrettato a dire Achille Occhetto, polemico con i partiti della lista Prodi. «Non partecipando hanno tentato di coprire le divisioni al loro interno sulla guerra». Eppure, è stata smentita anche la tesi occhettiana che accreditava il pericolo di violenze dovute a «infiltrati voluti dal governo»: un allarmismo simmetrico a quello attribuito a palazzo Chigi.

Adesso, il diessino pacifista Pietro Folena deve riconoscere la «grande intelligenza e civiltà» del ministero dell’Interno, della polizia e dei carabinieri. Di più: i diessini contrappongono il Viminale all’«estremista Berlusconi che da giorni sta terrorizzando l’opinione pubblica». Giovedì, il premier aveva detto in conferenza stampa che le notizie in suo possesso non lo lasciavano sereno; aveva attaccato i manifestanti. La stessa lista Prodi aveva cercato di dissuadere quanti volevano partecipare al corteo di ieri, nel timore di incidenti più gravi di quelli accaduti. In serata, invece, la gara è a lodare il senso di responsabilità, col sollievo del pericolo scampato.

Qualcuno accredita polemicamente lo «schiaffo all’Ulivo e a Berlusconi». Ma la sensazione è che Ds, Margherita e socialisti abbiano cercato di ristabilire le distanze da un movimento su posizioni ritenute estremiste e antiamericane. E tentino di riemergere da una subalternità poco giustificabile dopo l’iniziativa dell’Onu. Il governo iracheno targato Brahimi, e il Bush in versione dialogante sia con le Nazioni Unite, sia con la Ue e col Vaticano, divaricano l’opposizione. E restituiscono agli elettori del 12 e 13 giugno «due sinistre» meno unite sulla politica estera, e in competizione. La novità di ieri è che, nonostante l’ipoteca del pacifismo violento, sembrano sinistre più consapevoli della maturità e della moderazione che il Paese pretende anche da loro.

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