Da La Repubblica del 27/06/2004
Dopo Siemens anche nelle altre aziende si allungherà la settimana lavorativa per evitare di dislocare all´estero
In Germania dilagano le 40 ore Italia, duello imprese-sindacati
Pininfarina: "Alla lunga succederà pure in Italia". Cgil, Cisl e Uil: "Modello inapplicabile qui"
di Paolo Griseri
TORINO - Lavorare di più per lavorare tutti. Il primo colpo di piccone alle teorie sui vantaggi della riduzione d´orario, è venuto dal sindacato dei metalmeccanici tedeschi, la Ig Metall, e ora si teme che la nuova tendenza possa fare proseliti negli altri paesi europei. Nei giorni scorsi infatti i sindacati hanno firmato un accordo storico alla Siemens: l´orario aumenta a quaranta ore settimanali, spariscono la tredicesima e l´indennità per le vacanze. In sostanza, scende il salario e sale l´orario. «Abbiamo dovuto farlo - spiega il presidente dell´Ig Metall, Jurgen Petersen - per salvare 4.000 posti di lavoro. Ma lo consideriamo un caso isolato». Non è dello stesso avviso l´associazione degli industriali metalmeccanici tedeschi: dopo l´accordo Siemens anche la Philips ha chiesto di fare altrettanto e il presidente degli industriali del settore, Martin Kannegiesser, ha dichiarato allo Spiegel: «Ogni ruscello che tracima si cerca un nuovo letto». Secondo Die Welt almeno 100 aziende starebbero trattando l´allungamento della settimana lavorativa.
L´accordo Siemens è stato raggiunto per evitare che l´azienda trasferisse le produzioni nei paesi dell´Est. Un caso classico di concorrenza sulla riduzione del costo del lavoro che in Germania rischia di estendersi dopo l´ingresso di dieci nuovi paesi nell´Unione Europea. Il governo di Berlino sta cercando di correre ai ripari aumentando l´orario di lavoro: è allo studio anche l´abolizione della festività del 3 ottobre, giorno in cui si celebra la riunificazione delle due Germanie.
L´inversione di tendenza sulla riduzione d´orario arriverà anche in Italia? Andrea Pininfarina, vicepresidente di Confindustria e responsabile del Centro Studi, ne è certo: «È evidente che se l´accordo Siemens non rimarrà un fatto isolato anche le aziende italiane dovranno adeguarsi alla nuova tendenza». Pininfarina precisa però che «l´adeguamento delle aziende italiane avverrà tra qualche tempo. È probabile infatti che l´aumento dell´orario di lavoro si verifichi prima in paesi come la Germania e la Francia, che hanno fatto della riduzione d´orario una bandiera». Anche perché in molte aziende italiane si produce poco perché non si riesce a vendere, non perché gli orari contrattuali lo impediscano: «Questo è vero in alcuni casi - ribatte Pininfarina - ma è chiaro che le aziende che fanno investimenti oggi avranno bisogno di lavorare a costi competitivi con quelli degli altri paesi europei. Per questo se il modello Siemens farà scuola, verrà applicato anche in Italia».
Uno scenario che allarma i sindacati. Savino Pezzotta, segretario generale della Cisl, osserva che «anche in Italia si sono fatti accordi specifici per salvare le aziende. Ma da noi il modello Siemens non è riproducibile perché le riduzioni d´orario sono state molto inferiori rispetto alla Germania». Carla Cantone, segretaria della Cgil, fa appello alla Ces, la Confederazione europea dei sindacati: «Deve intervenire subito per fare argine. Un conto sono i casi specifici, come l´aumento degli orari alla Parmalat per salvare l´azienda, un altro è lasciare che prenda piede una tendenza». «Da noi la situazione è molto diversa - dice Paolo Pirani della Uil - perché, a differenza delle imprese tedesche, le nostre non hanno una politica aggressiva sui mercati. Viviamo da anni cercando di conquistare quote con la riduzione del costo del lavoro. Ma oltre un certo limite quella operazione non si può fare. Non si può sperare di battere così la concorrenza dei paesi asiatici che possono far leva sulla svalutazione».
L´accordo Siemens è stato raggiunto per evitare che l´azienda trasferisse le produzioni nei paesi dell´Est. Un caso classico di concorrenza sulla riduzione del costo del lavoro che in Germania rischia di estendersi dopo l´ingresso di dieci nuovi paesi nell´Unione Europea. Il governo di Berlino sta cercando di correre ai ripari aumentando l´orario di lavoro: è allo studio anche l´abolizione della festività del 3 ottobre, giorno in cui si celebra la riunificazione delle due Germanie.
L´inversione di tendenza sulla riduzione d´orario arriverà anche in Italia? Andrea Pininfarina, vicepresidente di Confindustria e responsabile del Centro Studi, ne è certo: «È evidente che se l´accordo Siemens non rimarrà un fatto isolato anche le aziende italiane dovranno adeguarsi alla nuova tendenza». Pininfarina precisa però che «l´adeguamento delle aziende italiane avverrà tra qualche tempo. È probabile infatti che l´aumento dell´orario di lavoro si verifichi prima in paesi come la Germania e la Francia, che hanno fatto della riduzione d´orario una bandiera». Anche perché in molte aziende italiane si produce poco perché non si riesce a vendere, non perché gli orari contrattuali lo impediscano: «Questo è vero in alcuni casi - ribatte Pininfarina - ma è chiaro che le aziende che fanno investimenti oggi avranno bisogno di lavorare a costi competitivi con quelli degli altri paesi europei. Per questo se il modello Siemens farà scuola, verrà applicato anche in Italia».
Uno scenario che allarma i sindacati. Savino Pezzotta, segretario generale della Cisl, osserva che «anche in Italia si sono fatti accordi specifici per salvare le aziende. Ma da noi il modello Siemens non è riproducibile perché le riduzioni d´orario sono state molto inferiori rispetto alla Germania». Carla Cantone, segretaria della Cgil, fa appello alla Ces, la Confederazione europea dei sindacati: «Deve intervenire subito per fare argine. Un conto sono i casi specifici, come l´aumento degli orari alla Parmalat per salvare l´azienda, un altro è lasciare che prenda piede una tendenza». «Da noi la situazione è molto diversa - dice Paolo Pirani della Uil - perché, a differenza delle imprese tedesche, le nostre non hanno una politica aggressiva sui mercati. Viviamo da anni cercando di conquistare quote con la riduzione del costo del lavoro. Ma oltre un certo limite quella operazione non si può fare. Non si può sperare di battere così la concorrenza dei paesi asiatici che possono far leva sulla svalutazione».
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