Da Il Mattino del 01/07/2004
Le vittime del regime presentano il conto
di Vittorio Dell'Uva
Baghdad. In un piccolo ufficio non lontano da Saddun street nel centro di Baghdad, l'avvocato Yussuf mostra i dossier accumulati in un armadio metallico. Raccontano la storia di violenze quotidiane che molti hanno finalmente trovato il coraggio di denunciare. Vengono catalogati per essere inoltrati al Tribunale speciale. Le segretarie ancora compilano a mano i rapporti, attente a non commettere errori. Lo studio è aperto a chiunque senta il dovere di chiedere che venga punita la violazione dei diritti umani durante il passato regime. Non è il solo nella capitale che lavora a questo obiettivo.
Yussuf dice che, vinte resistenze dovute a vari motivi paura di esporsi compresa, in tanti si sono messi in fila per chiedere di ottenere giustizia. Le mutilazioni del loro corpo sono testimonianza di una stagione del terrore consumatasi tra molti silenzi. La polizia di Saddam ha reso muti, con il taglio della lingua, non pochi oppositori responsabili di essersi espressi in pubblico contro «il capo supremo». Ci sono uomini che hanno avuto impresso sulla fronte il segno meno perchè si sapesse che la dittatura li considerava simili a bestie o comunque al di sotto di qualsiasi considerazione. Scentifico era il taglio delle orecchie che quasi comportava una gradualità legata alla pena. La totale asportazione del lobo segnava per sempre i disertori. Che non mancavano mai. C'erano curdi che rifiutavano di sparare ai loro fratelli e sciiti che preferivano allontanarsi dai propri reparti piuttosto che combattere nelle zone ribelli del sud. L'elenco delle torture subite dai detenuti di Abu Grhaib e altrove, è indicativo dei metodi che inducevano a confessare attività antistatali mai veramente avviate. Anche i ladri che hanno subito l'amputazione della mano chiedono oggi che il nuovo Iraq si ricordi dei vecchi aguzzini. Non mancano pratiche che sarà difficile evadere. I lunghi elenchi ritrovati nelle carceri conducono all'area indistinta dei desaparecidos. Nè mancano storie che i capi tribali hanno autorizzato a rendere note riconoscendo di non essere in grado di compiere direttamente vendette. Sul destino degli scomparsi fanno fatica ad arrivare risposte persino dalle fosse comuni che in più località dell'Iraq sono state scoperte.
Yussuf che, alla pena capitale si oppone, sa che in Iraq in pochi si strapperebbero davvero le vesti se venisse reintrodotta allo scopo di punire la leadership del vecchio regime e per contenere l'offensiva dei criminali comuni. Paul Bremer l'aveva abolita, il nuovo presidente Ghazi al Yawar dà per imminente un decreto che la prevede non soltanto per il genocidio di cui è accusato Saddam, ma anche per i reati più gravi come il terrorismo, la violenza sessuale e il sequestro di persona. «La nostra sovranità - spiega Mowaffaq Al Rubaie, consigliere per la sicurezza nazionale - può imporre questo tipo di scelte. Se le proponiamo è perchè sono necessarie. Si accompagneranno ad una amnistia che consente a chi ha commesso piccoli errori di non essere emarginato per sempre. La costruzione del nuovo Iraq prevede rigore e clemenza».
Yussuf dice che, vinte resistenze dovute a vari motivi paura di esporsi compresa, in tanti si sono messi in fila per chiedere di ottenere giustizia. Le mutilazioni del loro corpo sono testimonianza di una stagione del terrore consumatasi tra molti silenzi. La polizia di Saddam ha reso muti, con il taglio della lingua, non pochi oppositori responsabili di essersi espressi in pubblico contro «il capo supremo». Ci sono uomini che hanno avuto impresso sulla fronte il segno meno perchè si sapesse che la dittatura li considerava simili a bestie o comunque al di sotto di qualsiasi considerazione. Scentifico era il taglio delle orecchie che quasi comportava una gradualità legata alla pena. La totale asportazione del lobo segnava per sempre i disertori. Che non mancavano mai. C'erano curdi che rifiutavano di sparare ai loro fratelli e sciiti che preferivano allontanarsi dai propri reparti piuttosto che combattere nelle zone ribelli del sud. L'elenco delle torture subite dai detenuti di Abu Grhaib e altrove, è indicativo dei metodi che inducevano a confessare attività antistatali mai veramente avviate. Anche i ladri che hanno subito l'amputazione della mano chiedono oggi che il nuovo Iraq si ricordi dei vecchi aguzzini. Non mancano pratiche che sarà difficile evadere. I lunghi elenchi ritrovati nelle carceri conducono all'area indistinta dei desaparecidos. Nè mancano storie che i capi tribali hanno autorizzato a rendere note riconoscendo di non essere in grado di compiere direttamente vendette. Sul destino degli scomparsi fanno fatica ad arrivare risposte persino dalle fosse comuni che in più località dell'Iraq sono state scoperte.
Yussuf che, alla pena capitale si oppone, sa che in Iraq in pochi si strapperebbero davvero le vesti se venisse reintrodotta allo scopo di punire la leadership del vecchio regime e per contenere l'offensiva dei criminali comuni. Paul Bremer l'aveva abolita, il nuovo presidente Ghazi al Yawar dà per imminente un decreto che la prevede non soltanto per il genocidio di cui è accusato Saddam, ma anche per i reati più gravi come il terrorismo, la violenza sessuale e il sequestro di persona. «La nostra sovranità - spiega Mowaffaq Al Rubaie, consigliere per la sicurezza nazionale - può imporre questo tipo di scelte. Se le proponiamo è perchè sono necessarie. Si accompagneranno ad una amnistia che consente a chi ha commesso piccoli errori di non essere emarginato per sempre. La costruzione del nuovo Iraq prevede rigore e clemenza».
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