Da Corriere della Sera del 06/10/2004

Bremer e Rumsfeld, autocritica sull’Iraq

L’ex governatore e il ministro: «Truppe insufficienti», «nessun legame Saddam-Al Qaeda». Bush in imbarazzo

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Nell'aspro dibattito sulla guerra in Iraq, che divide l'America e condiziona le elezioni, si sono ieri levate dall'amministrazione Bush due inaspettate e inquietanti autocritiche, una dell'ex governatore americano a Bagdad Paul Bremer, l'altra del ministro della Difesa Donald Rumsfeld.

Bremer, tornato in patria il 28 giugno scorso, al passaggio di consegne dei poteri agli iracheni, ha affermato che l'America ha commesso gravi errori nel conflitto: «Non ha dispiegato abbastanza truppe, e non ha stroncato la violenza e i saccheggi alla caduta di Saddam, lasciando che si creasse il caos». Immediata la reazione della Casa Bianca. «Bremer e il presidente Bush si incontravano spesso - ha detto il portavoce Scott McClellan -. Non mi risulta che abbia mai sollevato il problema».

Rusmfeld, che poche ore più tardi ha sostenuto di essere stato frainteso, ha asserito: non sono a conoscenza di «forti, solide prove di legami tra Al Qaeda e il raìs». Anche in questo caso è arrivata la precisazione di McClellan: «Sono chiari i legami tra il regime di Saddam e l’organizzazione di Osama. Sappiamo che intrattenevano legami ad altissimo livello».

Per il presidente Bush, che continua a negare di avere sbagliato strategia, è stato un passo falso elettorale: Bremer e Rumsfeld hanno praticamente ripetuto ciò che dice il candidato democratico John Kerry. L'incidente è sintomatico dei dubbi che, a 18 mesi dalla caduta di Saddam, tormentano alcuni membri dell'amministrazione, tra cui il segretario di Stato uscente Colin Powell. Bremer, uno dei candidati alla successione a Powell se Bush sarà rieletto presidente - ma dopo la gaffe potrebbe avere perso ogni chance - si era già dichiarato pentito di non avere premuto per più truppe in un discorso alla Università De Paux a settembre. «Il cambiamento più importante - aveva detto - sarebbe stato l'invio di rinforzi a Bagdad all'inizio dell'occupazione. Li chiesi ma furono rifiutati, non insistetti abbastanza». Ieri lo ha ribadito parlando a White Sulphur Spring, in West Virginia: «Abbiamo pagato un caro prezzo per non avere imposto subito la legalità. Purtroppo non disponevamo di truppe sufficienti». Bremer ha aggiunto che il Pentagono aveva un piano sbagliato: «Eravamo pronti ad affrontare problemi umanitari, non un'insurrezione sanguinosa».

In un discorso al Council of Foreign Relations a New York, Rumsfeld, (falco che ultimamente è parso sostenere un graduale disimpegno dall'Iraq, prima della pacificazione) è stato più cauto di Bremer. Ha spiegato che le notizie di intelligence sui legami tra Al Qaeda e Saddam «mutava di continuo nella maniera più stupefacente», e che su di essa «rimangono profondi contrasti». Ma ha ammesso la mancanza di prove certe in merito.

Il ministro, che intende lasciare l'amministrazione come Powell, si è corretto solo dopo il richiamo della Casa Bianca. In un breve comunicato ha ricordato che fino dal settembre 2002 denunciò «i legami decennali» tra Al Qaeda e Saddam, e che «attualmente vi sono terroristi di Al Qaeda in Iraq». Ai fini elettorali, è un punto cruciale: Bush, che non può più giustificare la guerra con le armi di sterminio del raìs, insiste che l'Iraq «è il fronte centrale della lotta al terrorismo».

Per contrastare le due autocritiche e anticipare Kerry con cui dibatterà in tv venerdì, il presidente terrà oggi un discorso sull'Iraq, «importantissimo» dice la Casa Bianca. L'amministrazione deve dissipare l'impressione di avere sbagliato i calcoli, come ammonì il generale Eric Shiseki, che aveva chiesto di mandare 200-300 mila uomini in Iraq, e fu messo in pensione. Deve farlo non soltanto in vista del voto americano del 2 novembre, ma anche per rassicurare i membri della coalizione che, come l'Italia e la Polonia, discutono dei tempi del ritiro. La Casa Bianca si professa fiduciosa che i contingenti polacco e italiano resteranno in Iraq per tutto il 2005, ma sa che il rinnovo dei mandati dipenderà dai rispettivi Parlamenti.

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