Da Il Messaggero del 12/10/2004

Da Taba un messaggio al Cairo

Il presidente egiziano nel mirino dei terroristi di Al Qaeda

di Marcella Emiliani

NEL MIRINO dei terroristi del Mar Rosso fisicamente c'erano le centinaia di turisti, israeliani e non, che affollano le sue spiagge, ma - politicamente parlando - c'era e c'è Hosni Mubarak che per Al Qaeda rappresenta una sfida vivente. Ne sa qualcosa il braccio destro di Osama bin Laden, quell'al Zawahiri che ha assistito allo smantellamento in Egitto della rete della Jihad islamica che il 6 ottobre 1981 era riuscita a mettere a segno il suo colpo più clamoroso: l'assassinio del presidente Anwar Sadat. Fu allora che Mubarak, in qualità di vice-presidente, si ritrovò tutto solo al vertice dello Stato con due idee molto chiare in testa: tentare di separare l'islamismo "moderato" dall'islamismo terrorista e ridare all'Egitto quel ruolo di leadership che aveva perso fin dal 1979 con la firma del trattato di Camp David tra Egitto e Israele, il primo trattato di pace tra Israele e un paese arabo, voluto dal suo predecessore, che per questo ci aveva rimesso la vita.

Sul fronte islamista, la politica del bastone e della carota però non ha funzionato e già negli anni '90 Mubarak decideva di procedere nei loro confronti con la repressione più decisa, arrivando a mettere fuori legge anche il movimento dei Fratelli musulmani, culla di tutti gli islamismi moderni, ma i cui legami con le formazioni terroristiche sono ancora tutti da dimostrare. A livello diplomatico invece, se visto con gli occhi dell'Occidente, la sua è stata un'ascesa continua. L'occasione per uscire dall'isolamento nel mondo arabo dovuto a Camp David gli venne offerta dall'invasione irachena del Kuwait del 1991 quando Mubarak, assieme a re Hussein di Giordania, fece di tutto e di più per convincere Saddam a ritirarsi prima che si scatenasse l'inferno. Saddam, come è noto, rimase pressoché solo a sfidare gli Stati Uniti di Bush padre e la Grande Armada che mise in campo sotto bandiera Onu per liberare il Kuwait: l'Egitto per l'occasione inviò 40.000 soldati e questo fu l'atto che gli guadagnò la riconoscenza del resto del mondo arabo, ma soprattutto dell'Occidente. Dell'Occidente Mubarak è rimasto uno degli alleati più fidati, ma negli ultimi anni e soprattutto dopo l'11 settembre 2001 ha dovuto vivere un pesante stress "da scollamento" tra la sua politica estera e le convulsioni politiche ed economiche interne del suo paese.

L'Egitto coi suoi quasi 70 milioni di abitanti è il paese arabo più popoloso, più povero e dunque più facilmente preda dei messaggi infuocati del terrorismo islamico. Assieme a Israele e la Giordania è anche il paese del Medio Oriente che viene regolarmente inondato dal flusso più consistente di aiuti americani, senza i quali non potrebbe sopravvivere, e questo Mubarak lo sa talmente bene da adoperarsi in tutte le maniere per smorzare le tensioni peggiori dell'area. E' impegnato nella defatigante mediazione tra Israele e i palestinesi e tra le stesse formazioni palestinesi nel tentativo finora vano di mettere fine all'Intifada al Aqsa e al sanguinoso circolo vizioso attentati-repressione cui si è ridotta la politica in Israele/Palestina. E, pur non condividendo affatto la decisione anglo-americana di attaccare l'Iraq - era il 19 marzo dell'anno scorso - è rimasto al fianco degli Stati Uniti. Proprio lui aveva messo sull'avviso il giovane Bush che una guerra in Iraq rischiava di potenziare il terrorismo islamico e disseminarlo urbi et orbi. Una predizione che purtroppo si è avverata ben oltre i suoi stessi timori.

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