Da Corriere della Sera del 21/10/2004

Iraq, gli Usa preparano un disimpegno «morbido»

Convocata la conferenza di Sharm el Sheik: si parlerà di voto e ricostruzione. Per Rumsfeld ritiro «in tempi brevi»

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Alla Conferenza internazionale del 22 e del 23 novembre prossimi a Sharm el Sheik, in Egitto, l'Iraq sarà rappresentato soltanto dal governo Allawi, in quanto ne è «l'autorità riconosciuta». Ma la conferenza trasmetterà lo stesso un messaggio cruciale all'intero Medio Oriente: che il processo politico in Iraq dovrà essere inclusivo di ogni partito, e gli iracheni dovranno provvedere alla sicurezza del Paese. Lo ha detto ieri al Cairo il sottosegretario di Stato americano William Burns, sottolineando che il fine della conferenza è di gettare da un lato le basi di «libere e democratiche elezioni» in Iraq a gennaio, e dall'altro di rilanciarne la ricostruzione. Secondo Burns, molti Paesi arabi, in particolare quelli del Golfo persico, sono ansiosi di contribuire alla stabilizzazione dell'Iraq e di aiutarlo economicamente e socialmente.

Incontrando i giornalisti, Burns ha evitato di parlare di una «exit strategy» (strategia d’uscita), che stando al ministro degli Esteri italiano Frattini è l'altro obiettivo della conferenza. E Majid Abdel Fattah, il portavoce del presidente egiziano Mubarak, che la sponsorizza con Allawi, non ha nascosto che rimangono dei contrasti tra le grandi potenze, alcune delle quali - la Francia in primo luogo - insistono che «tutte le legittime forze politiche irachene» devono prendervi parte, e vanno stabiliti subito i tempi e i modi del ritiro della coalizione. Ma se le dichiarazioni di Frattini e Burns non paiono coincidere è perché l'amministrazione Bush non vuole che gli elettori Usa, che andranno alle urne il 2 novembre, vedano in una prematura exit strategy la riprova che essa ha sbagliato in Iraq. L'amministrazione vuole mettersi in condizioni di dichiarare «missione compiuta», prima di annunciare un disimpegno sia pure graduale. E ciò comporta che a Bagdad si svolgano le elezioni, e che l'esercito e la polizia iracheni si rafforzino.

E' una linea più cauta di quella di John Kerry, il candidato democratico alla Casa Bianca, che ha promesso di inviare inizialmente rinforzi in Iraq, di incominciare il ritiro delle truppe entro la fine del 2005 e di richiamarle tutte a casa entro il 2008. Ma non è antitetica alla exit strategy . Lo ha spiegato il ministro della Difesa Donald Rumsfeld al collega italiano Antonio Martino, riferendogli che Allawi desidera accelerare il ritiro delle truppe della coalizione dall'Iraq e che l'America non si oppone a questo piano. Rumsfeld stesso, negli ultimi mesi, ha assicurato di non pianificare una lunga permanenza delle forze americane a Bagdad. Dietro le quinte, il segretario di Stato Colin Powell caldeggerebbe la loro parziale sostituzione con forze arabe in tempi relativamente brevi.

Al momento l'amministrazione si concentra sulle elezioni e l'addestramento delle forze irachene. E' il motivo per cui il generale George Casey, il comandante in capo delle operazioni militari, ha richiesto ad altri membri della coalizione di spostare una parte delle loro truppe verso il triangolo sunnita, la zona più pericolosa dell'Iraq. Il Pentagono ha rifiutato di precisare se tra di essi vi fosse anche l'Italia - Martino afferma di no - ma lo scopo dei movimenti sarebbe limitato: proteggere gli americani alle spalle mentre attaccano i capisaldi dei terroristi e degli insorti. A Londra il premier inglese Blair, sollecitato a fornire 650 uomini, ha negato che sia una mossa politica per facilitare la rielezione di Bush: «E' esclusivamente una mossa militare - ha sostenuto -. Non abbiamo ancora preso alcuna decisione». Blair ha respinto una minirivolta del partito vietando a 45 deputati di presentare una mozione di protesta. Deciderà a giorni, sulla base del rapporto della missione militare da lui inviata in Iraq per vagliare la richiesta americana.

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