Da Il Messaggero del 05/11/2004

Non vi sono stati spostamenti di truppe, ma i militari israeliani si tengono pronti a intervenire in Cisgiordania

Sharon pone l’esercito in stato di allerta

«Arafat non sarà mai sepolto a Gerusalemme». Timore di violenze nei Territori

di Eric Salerno

GERUSALEMME - Le forze armate israeliane sono state messe in stato d'allerta. Non c'è stato spostamento di truppe, assicurano i portavoce militari, ma l'esercito è pronto a intervenire nei territori palestinesi se la situazione dovesse degenerare dopo la morte di Arafat. In stato di pre-allarme anche la polizia e le autorità carcerarie per timore che la morte di Arafat possa provocare manifestazioni tra gli arabi israeliani, tra i palestinesi di Gerusalemme Est e nelle prigioni dove sono confinati oltre seimila arabi dei territori occupati.

Non ci saranno lacrime in Israele per la scomparsa del presidente palestinese e forse qualcuno potrebbe anche festeggiare la fine dell'uomo che è considerato, qui, il responsabile principale della violenza e dei lutti degli ultimi quattro anni. Quando le prime notizie dell'aggravamento delle condizioni di Arafat sono arrivate e poi, verso sera, da Parigi rimbalzava la notizia che il rais era in stato di "morte cerebrale", Ariel Sharon si è rifiutato di fare commenti e ha ordinato anche ai suoi ministri di mantenere il silenzio. «Parlerò soltanto dopo», ossia quando sarà comunicato ufficialmente il decesso di Arafat.

E' dalla settimana scorsa che il premier israeliano e i suoi collaboratori si preparavano a questo momento drammatico, consapevoli che nel bene e nel male la scomparsa di Arafat dalla scena politica è un elemento che può modificare sostanzialmente la situazione nella regione. Come ogni giovedì, il ministro della difesa Shaul Mofaz ha incontrato i capi delle forze armate e dei servizi di sicurezza per analizzare la situazione, e la riunione di ieri è stata dedicata al dopo-Arafat. Cosa può succedere nel breve e cosa Israele deve fare in caso di decesso del presidente palestinese.

Sharon, già l'altro giorno aveva dato un'indicazione precisa su alcuni punti. «Fino a quando sarò premier, non sarà sepolto a Gerusalemme», disse parlando di Arafat e questa posizione è stata ribadita, così come il governo s'impegna a portare avanti il piano di ritiro da Gaza secondo il calendario previsto.

Gli insediamenti verrebbero chiusi tra giugno e agosto ed entro la fine dell'anno prossimo non ci dovrebbero essere più soldati o coloni nella "striscia". Israele, è stato comunicato, è pronta a cooperare con una «dirigenza palestinese moderata e impegnata a porre fine alla guerra armata». Secondo la radio israeliana, sono state date istruzioni per facilitare la concessione di permessi a chi volesse partecipare ai funerali e sono previste non meglio definiti «gesti umanitari e distensivi» nei confronti della popolazione palestinese.

Dalla mattina, radio e televisioni e siti internet dei giornali seguivano e rilanciavano le notizie provenienti da Parigi e da Ramallah. Nella serata, gli analisti hanno cominciato a disegnare scenari possibili. Per l'immediato, ossia per la fase di transizione, e anche per i lunghi e difficili mesi a venire. Quali saranno i nuovi dirigenti palestinesi? Saranno in grado di fermare l'intifada e bloccare il terrorismo?

E Sharon come si comporterà? Rilancerà il dialogo oppure anche di fronte alla scomparsa del suo nemico storico, il premier cercherà di rinviare nel tempo il processo di pace per consolidare gli insediamenti in Cisgiordania? Qualcuno ha ricordato che ieri, 4 novembre, cadeva il nono anniversario della morte di Itzhak Rabin, il premier assassinato per aver stretto la mano ad Arafat. Gli israeliani avevano commemorato la sua morte la scorsa settimana seguendo il calendario ebraico.

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