Da Corriere della Sera del 06/11/2004

L’agonia di Arafat, in attesa dell’ora per morire

Il leader ancora in rianimazione a Parigi, la decisione di staccare la spina spetterebbe alla moglie Suha

di Massimo Nava

PARIGI - L'agonia di Yasser Arafat ci offre un'altra forma di accanimento terapeutico, quella riservata ai condottieri, che devono sopravvivere fino alla certezza che il funerale non si trasformi nell'inferno per i vivi e che la sepoltura sia il più possibile al riparo dai festeggiamenti dei nemici e dallo sconforto rabbioso dei seguaci. All'ospedale militare Percy, alla periferia di Parigi, dove il vecchio leader è da due giorni nell'unità di rianimazione, tenuto in vita dal respiratore, anche la verità giornalistica sulle condizioni è nell'agonia di aggettivi che negano l'unica cosa ormai davvero interessante, il momento della morte, la decisione di staccare la spina. Il coma cerebrale in cui è piombato Arafat è «reversibile» o «irreversibile» a seconda che la fonte sia palestinese o israeliana; comunque «stabile» e «non aggravato, rispetto al suo stato generale», secondo l'ultimo bollettino delle autorità francesi dell'ospedale, scritto «nel rispetto delle volontà della famiglia», ovvero sotto dettatura dell' entourage palestinese.

L'altro ieri erano state però fonti mediche francesi, quindi neutre rispetto al gioco politico che si consuma al capezzale del leader, a parlare di «coma irreversibile». Secondo la radio israeliana, l'ultima decisione spetterebbe alla moglie Suha, ma è improbabile che si risolva in un fatto privato e che sia presa a Parigi, nella stanza asettica dove possono entrare, oltre ai sanitari francesi, soltanto tre persone: Suha, il medico personale di Arafat e la rappresentante diplomatica in Francia, Leila Shahid, la quale continua ad insistere sulla possibilità di miglioramenti, pur ammettendo che «il presidente è fra la vita e la morte»: «Arafat ha aperto gli occhi», «Non è in uno stato di morte cerebrale», «Il coma è reversibile».

Nel grand hotel dove alloggia la delegazione palestinese, Mohammed Dahlan, l'ex ministro dell'Interno, considerato fra i giovani riformisti, era ottimista: «Spero possa sopravvivere. Ma non ci saranno né disordini, né lotte di potere. Abu Mazen guiderà la transizione, in attesa di elezioni entro 60 giorni. Le nostre norme sono chiare». Nabil Abu Rudeina, consigliere personale di Arafat, smentiva bollettini e coma: «Il vero problema è che nessuno conosce la causa del suo male». A complicare la verità sui referti, c'è anche la definizione legale della morte, a seconda che venga considerata la cessazione delle funzioni cerebrali o di quelle cardiache. Nemmeno Arafat è immortale, ma per molti è importante che lo sia il simbolo dei palestinesi e che il suo cuore continui a battere, il più possibile.

Per le folle di Gaza, è il condottiero che sta a cavallo anche da morto, come nella leggenda spagnola de «El Cid», ma l'altalena di voci sulla sua agonia, orchestrata dalla corte dei successori e imposta dalle circostanze, ricorda le coltri di misteri sovietici, in attesa delle scelte del Politburo.

La Francia non aiuta a sciogliere il doppio enigma, quello della morte e quello delle cause. Un riserbo dettato da opportunità, ma anche dal rispetto della condotta medica che impone di non rilasciare informazioni senza consenso dei parenti. Per questo, i medici non hanno spiegato l'«infezione sanguigna», lo stadio pre-leucemico che avrebbe attaccato sistema immunitario e funzioni primarie fino a provocare un'emorragia cerebrale.

Il presidente Chirac, che già si aspetta le prime bordate anti francesi per l'ospitalità accordata ad Arafat (ieri l'inglese Sun ha definito «vergognoso andare al capezzale di un terrorista»), mantiene il profilo umanitario e riservato della sua decisione: «Arafat è nelle mani di eccellenti medici che stanno facendo di tutto per la sua salute». «Non ho competenza in materia sanitaria», ha aggiunto. Anche i dettagli sulla sua vista in ospedale sono stati forniti da fonti palestinese, come la più significativa «stretta di mano».

Il viaggio di Arafat a Parigi è stato negoziato fra palestinesi e israeliani e così dovrebbe avvenire per il rimpatrio e le esequie. La Francia non vuole apparire come mediatore, né dare adito a polemiche nelle già delicate relazioni con Israele.

Recandosi al capezzale del leader, Chirac ha compiuto un gesto generoso, senza calcoli, forse impulsivo come spesso gli accade, certo coerente con il sostegno che Parigi ha sempre dato ad Arafat. «E' il solo interlocutore possibile»: parole di Mitterrand nel 1992, parole di Chirac, dieci anni dopo. Ma adesso? «Quali che siano le circostanze, spero che il negoziato e la pace si affermino in Palestina».

Lo sperano anche il palestinese Asali Zuhair, che vive in Francia, e il rabbino Moishe Arye Friedmann, arrivato da Vienna, e adesso insieme qui, davanti ai cancelli dell'ospedale, con la bandiera palestinese, per dimostrare che si può convivere e mettere ai margini gli estremisti. Siccome si deve compassione ai morti, può darsi che la metamorfosi di Arafat da condottiero a simbolo faccia del bene a tutti.

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