Da La Repubblica del 13/11/2004

Arafat, l´ultimo bagno di folla

Sepolto a Ramallah, i palestinesi "riconquistano" il loro leader

Per un attimo si è temuto che la bara non avrebbe mai raggiunto la tomba provvisoria scavata nel parcheggio della Muqata
Un addio caotico, pieno di lacrime e raffiche di mitra: partecipano decine di migliaia di persone
Gli uomini dei servizi di sicurezza palestinesi si sono distesi sopra il feretro per evitare che la gente se ne impadronisse

di Alberto Stabile

RAMALLAH - Non le autorità, ma la folla palestinese ha sepolto, ieri, Yasser Arafat. Non il cerimoniale di uno Stato inesistente ma la passione popolare ha trasformato il funerale di «Abu Ammar» in un caotico addio, pieno di lacrime e di raffiche di mitra. In una sorta di metaforica appropriazione, decine di migliaia di persone si sono spinte fino a soffocarsi, hanno scalato muri e macerie ferendosi e ad un certo punto hanno fatto temere che la bara con i resti del loro idolo non avrebbe mai raggiunto la tomba provvisoria in pietra e marmo nero scavata in fretta e furia nel parcheggio della Muqata.

Sin dal primo mattino s´è capito che le regole imposte dall´Autorità palestinese sarebbero saltate. La folla, che durante tutto il periodo della malattia di Arfafat se n´era stata in disparte, ieri scendeva a flussi continui lungo i fianchi delle colline di Ramallah, verso la Muqata. Sul muro di cemento della residenza-prigione i manifesti di Arafat venivano lentamente ricoperti dai necrologi delle dei vari clan. «Il gruppo di negozi della famiglia Nabali, materiale elettrico ed alluminio, piange il cavaliere coraggioso che ha guidato il suo popolo...» Proprio quel muro alto più di tre metri e percorso per tutta la sua lunghezza dal filo spinato era ciò che avrebbe impedito alla gente di vedere.

I servizi di sicurezza palestinesi non hanno potuto e voluto far niente per fermare la ressa. Quando la folla ha rotto l´argine dietro agli uffici di Arafat e ha conquistato i tetti della caserma e le macerie del palazzo presidenziale la banda della marina palestinese sfilava sul piazzale intonando «Biladi! Biladi!», l´inno nazionale, mentre un plotone della Forza 17, la guardia personale di Arafat, pregava in ginocchio rivolto alla Mecca.

Erano da poco passate le due quando, alti nel cielo, sono comparsi i due elicotteri egiziani che trasportavano il feretro di Arafat e il folto gruppo dei dignitari al seguito. Dalla folla, che aveva già invaso quasi completamente la Muqata, s´è levato un ruggito di slogan, di fischi, di invocazioni al Signore. «Non andartene, resta con noi», piangeva una ragazza, aggrappata alla cancellata. Poco lontano, ma in una altro punto del cielo vigilavano due elicotteri israeliani.

A stento la folla ha capito che se fosse rimasta lì dove s´era piazzata i due elicotteri egiziani non avrebbero mai potuto atterrare. Ma quando finalmente, in un nebbione dantesco di polvere rossastra, i due velivoli hanno preso terra, la gente li ha subito assediati. La pressione sui cordoni di polizia era tale che dall´interno non osavano neanche aprire il portellone. Poi è spuntata la faccia sbalordita di Abu Mazen, l´uomo destinato dal vertice a sostituire Arafat e quella impassibile di Omar Suleiman, il capo dei servizi segreti egiziani instancabile tessitore di trame tra il Cairo, Israele e i Territori.

Per cercare di far arretrare la marea, la polizia ha cominciato a sparare. Impossibile distinguere le raffiche intimidatorie da quelle celebrative. Un fuoco pirotecnico che ha lasciato per terra, ferite, nove persone, una in condizioni gravi. Soltanto dopo una ventina di minuti in cui è parso che la situazione fosse sfuggita di mano, s´è aperto uno spiraglio. La bara avvolta nella bandiera bianca verde e nera è stata spinta fuori. Una jeep ha cercato di avvicinarsi. Niente da fare. La bara ondeggiava immobile sopra il mare di teste, spinta ora qua ora la dalle mani protese a toccarla. Finalmente la cassa è stata posta sulla jeep. Ma per impedire che la folla se ne impossessasse gli agenti hanno dovuto coprirla con i loro corpi, distendendosi sul coperchio o a cavalcioni.

Secondo il cerimoniale la bara avrebbe dovuto essere esposta in un salone della Muqata per ricevere l´omaggio del popolo. Invece è qui, bloccata, sopra il mare in tempesta, incapace di muoversi in un senso o nell´altro, immersa nel fumo di un gigantesco corpo a corpo, a veder il quale non ci si può non chiedere dove siano finiti i Mohammed Dahalan, i Jibril Rajub e tutti gli altri signori delle milizie che dovrebbero garantire la sicurezza dei palestinesi.

Così, nella furia di evitare il peggio, la cerimonia viene troncata. La cassa con i resti di Arafat viene portata all´altezza della buca e lentamente, tra scosse e spintoni, scompare, come inghiottita dai flutti, accompagnata in quel suo inabissarsi dalla preghiera di un imam.

Ed è quello il momento in cui finalmente la marea umana si ferma, comincia a defluire e al posto degli slogan ritmati e delle invocazioni «Allah u akbar», come in un dopo partita violento, si sente l´ululato delle sirene. Sfiniti, i poliziotti palestinesi si distendono sul piazzale. Dalla salone riservato alle condoglianze escono i notabili. Le immagini del funerale di Ramallah faranno senz´altro discutere. Ma per Saeb Erekat sono «il segno dell´attaccamento dei palestinesi al loro leader». Per un altro dirigente sono «la prova che Arafat contava molto, il segno della sua resurezione di Arafat».

Raimond Tawill, la suocera di «Abu Ammar» conferma che la figlia Suha non è venuta. E allude al mistero della malattia: «Per i medici francesi - dice - le cause sono sconosciute». Arafat riposa in una tomba scoperta, sommersa di fiori e di kefie, all´ombra degli unici due alberi che si ergono sul piazzale della Muqata.

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