Da Corriere della Sera del 16/12/2004

Europa e Turchia

Troppi se sulla via di Ankara

di Sergio Romano

Temo che occorra partire da una constatazione. Per un malaugurato paradosso l’atteso appuntamento dell'Unione Europea con la Turchia è caduto in un brutto momento. La Turchia si è preparata all'incontro con grande serietà. Ha ridotto il potere dei militari al vertice dello Stato. Ha adottato leggi, soprattutto sul trattamento della minoranza curda, che sarebbero state, dieci anni fa, difficilmente immaginabili. Ha accettato di correggere norme tradizionali (quella sull'adulterio, ad esempio) che l'Europa, dimenticandosi di averle avute per molto tempo nei suoi codici, considerava incompatibili con i suoi principi. Il fatto che buona parte di questo lavoro sia stato realizzato mentre la Turchia è governata da un partito musulmano rende queste riforme ancora più significative. I turchi desiderano appartenere all'Europa e lo dimostrano con la coerenza e la qualità delle loro riforme. Ma le incontrollabili stravaganze del calendario politico vogliono che questo accada mentre l'Europa è agitata da numerose paure. Molti temono che l'apertura alla Turchia cancelli l'identità storica del Continente. Altri sono preoccupati dalle responsabilità geopolitiche che l'Unione assumerebbe se il suo territorio confinasse con l'Iraq, l'Iran e la Siria. Altri temono che l'Europa diventi ingovernabile o venga sommersa da un'onda d'immigrati.

Altri ancora si servono del «pericolo turco» per manifestare la loro ostilità all’integrazione europea. E altri infine esprimono implicitamente, in tal modo, una sorta di insormontabile pregiudizio contro il mondo islamico.

Alcuni di questi timori sono ragionevoli, altri emotivi e irrazionali. Ma all’ordine del giorno del vertice europeo vi è un altro problema di cui non si è parlato abbastanza. I leader dell’Unione non potranno limitarsi a prendere nota delle preoccupazioni dei loro elettori. Dovranno calcolare attentamente l’effetto delle loro decisioni e chiedersi che cosa accadrebbe, ad esempio, se l’inizio dei negoziati venisse accompagnato, come vorrebbero alcuni membri dell’Ue, da troppi limiti e condizioni. Come reagirebbe il governo turco se il biglietto d’invito lasciasse intendere che l’Europa non esclude la possibilità di attribuire alla Turchia lo status di membro associato, vale a dire una cittadinanza di serie B? Come reagirebbe il mondo musulmano? Gli arabi hanno avuto con i turchi un rapporto difficile, spesso conflittuale. Ma giungerebbero rapidamente alla conclusione che la diffidenza per Ankara è in realtà il segno di una radicata ostilità verso la loro religione. Anziché contribuire alla crescita dell’Islam moderato offriremmo a Osama e ai suoi seguaci un argomento con cui dare fuoco alla collera e alle frustrazioni del mondo arabo.

Se terrà conto di queste considerazioni, il vertice europeo dovrà dedurne che la soluzione migliore è quella di aprire i negoziati con il minor numero possibile di condizioni. Le trattative dureranno non meno di dieci anni: un lungo periodo alla fine del quale né l’Unione Europea né la Turchia saranno quello che sono oggi. Lasciamo quindi che gli avvenimenti internazionali e l’evoluzione dei protagonisti ci aiutino a risolvere problemi che ora, a tanta distanza dalla conclusione di un accordo, appaiono accademici e astratti.

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