Da La Repubblica del 29/12/2004
Dal primo marzo sanzioni per le industrie non in regola sulle emissioni di anidride carbonica. Polemici Verdi, Margherita e Ds
Ambiente, sì del Senato al decreto Kyoto anche in Italia arriva la Borsa dei gas serra
Accolte le direttive europee per diminuire i pericoli di una catastrofe climatica
Il ministro Matteoli "E ora via all´elenco degli obblighi per le nostre imprese"
di Antonio Cianciullo
ROMA - Sui gas serra l´Italia riaggancia l´Europa in zona Cesarini. Ieri il Senato ha definitivamente approvato il decreto di recepimento della direttiva europea sull´emission trading, il commercio delle emissioni di anidride carbonica che vanno ridotte per diminuire il rischio di una catastrofe climatica. Dal primo gennaio si apre la Borsa dei gas serra e dal primo marzo scatteranno le sanzioni: le industrie che non si metteranno in riga pagheranno multe sempre più salate. Ma quelle che dispongono di tecnologie d´avanguardia potranno ricavare un beneficio aggiuntivo perché ogni impianto energetico avrà un tetto di emissioni: chi riduce più del dovuto potrà vendere sul mercato la quota extra di gas serra evitati.
Il problema è che per ora l´Italia non dispone dell´elenco degli impianti e delle quote da assegnare a ognuno. Ed è questo il motivo per cui il piano italiano è uno dei quattro piani nazionali (su 25 paesi) che non hanno passato il vaglio di Bruxelles. «L´approvazione del decreto», ha commentato il ministro dell´Ambiente Altero Matteoli, «consentirà ora di completare l´inventario delle imprese italiane assoggettate agli obblighi della direttiva e di attribuire a ogni impresa i permessi di emissione per il periodo 2005-2007. Questo provvedimento consentirà agli impianti italiani di proseguire nelle loro attività industriali».
L´Italia ha dunque evitato all´ultimo istante una clamorosa situazione di illegalità su un fronte strategico per l´innovazione tecnologica. Ma non tutti i rischi sono cessati. Il voto contrario dei Verdi e l´astensione dei Ds e della Margherita sottolineano i problemi che restano aperti. Per il Verde Sauro Turroni, vicepresidente della commissione Ambiente, «è un decreto insufficiente e pasticciato, coerente con le scelte di un governo che alla conferenza sul clima di Buenos Aires ha annunciato di volersi sfilare dal protocollo di Kyoto nella seconda fase, quella successiva al 2012».
Anche per Ermete Realacci, dell´esecutivo della Margherita, il decreto è «una foglia di fico che non nasconde le gravi inadempienze del governo italiano che ha privilegiato la salvaguardia di Previti rispetto a quella del clima: Germania e Gran Bretagna hanno recepito la direttiva nel 2003, la Francia il 15 aprile scorso, l´Italia a poche ore dall´apertura della Borsa delle emissioni».
Un ritardo che, secondo il direttore generale dell´Ambiente Corrado Clini, non comporterà danni: «Entro il 31 gennaio rilasceremo le autorizzazioni necessarie al funzionamento delle imprese, non c´è alcun rischio di stop per l´industria italiana». Opposto il parere del diessino Valerio Calzolaio: «Le imprese italiane sono state penalizzate da chi ha ritardato l´adeguamento alla normativa comunitaria puntando sul fallimento del protocollo di Kyoto. Ora si trovano a competere con aziende di altri paesi che si sono organizzate per tempo: dovranno correre in salita».
Chi non supererà la prova dell´efficienza (oltrepassando il tetto delle emissioni o dichiarando il falso) dovrà pagare una multa di 40 euro per ogni tonnellata extra di gas serra (diventeranno 100 euro a partire dal 2008). Nel testo votato ieri dal Parlamento si prevede inoltre una tassa di 10 euro per ogni tonnellata pirata di anidride carbonica. Si tratta di un meccanismo economico potente che potrebbe cambiare l´atteggiamento di alcuni settori industriali nei confronti della fase due del protocollo di Kyoto: la macchina del trading emission consentirà buoni profitti alle imprese più avanzate.
Il problema è che per ora l´Italia non dispone dell´elenco degli impianti e delle quote da assegnare a ognuno. Ed è questo il motivo per cui il piano italiano è uno dei quattro piani nazionali (su 25 paesi) che non hanno passato il vaglio di Bruxelles. «L´approvazione del decreto», ha commentato il ministro dell´Ambiente Altero Matteoli, «consentirà ora di completare l´inventario delle imprese italiane assoggettate agli obblighi della direttiva e di attribuire a ogni impresa i permessi di emissione per il periodo 2005-2007. Questo provvedimento consentirà agli impianti italiani di proseguire nelle loro attività industriali».
L´Italia ha dunque evitato all´ultimo istante una clamorosa situazione di illegalità su un fronte strategico per l´innovazione tecnologica. Ma non tutti i rischi sono cessati. Il voto contrario dei Verdi e l´astensione dei Ds e della Margherita sottolineano i problemi che restano aperti. Per il Verde Sauro Turroni, vicepresidente della commissione Ambiente, «è un decreto insufficiente e pasticciato, coerente con le scelte di un governo che alla conferenza sul clima di Buenos Aires ha annunciato di volersi sfilare dal protocollo di Kyoto nella seconda fase, quella successiva al 2012».
Anche per Ermete Realacci, dell´esecutivo della Margherita, il decreto è «una foglia di fico che non nasconde le gravi inadempienze del governo italiano che ha privilegiato la salvaguardia di Previti rispetto a quella del clima: Germania e Gran Bretagna hanno recepito la direttiva nel 2003, la Francia il 15 aprile scorso, l´Italia a poche ore dall´apertura della Borsa delle emissioni».
Un ritardo che, secondo il direttore generale dell´Ambiente Corrado Clini, non comporterà danni: «Entro il 31 gennaio rilasceremo le autorizzazioni necessarie al funzionamento delle imprese, non c´è alcun rischio di stop per l´industria italiana». Opposto il parere del diessino Valerio Calzolaio: «Le imprese italiane sono state penalizzate da chi ha ritardato l´adeguamento alla normativa comunitaria puntando sul fallimento del protocollo di Kyoto. Ora si trovano a competere con aziende di altri paesi che si sono organizzate per tempo: dovranno correre in salita».
Chi non supererà la prova dell´efficienza (oltrepassando il tetto delle emissioni o dichiarando il falso) dovrà pagare una multa di 40 euro per ogni tonnellata extra di gas serra (diventeranno 100 euro a partire dal 2008). Nel testo votato ieri dal Parlamento si prevede inoltre una tassa di 10 euro per ogni tonnellata pirata di anidride carbonica. Si tratta di un meccanismo economico potente che potrebbe cambiare l´atteggiamento di alcuni settori industriali nei confronti della fase due del protocollo di Kyoto: la macchina del trading emission consentirà buoni profitti alle imprese più avanzate.
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