Da La Repubblica del 28/12/2004

I mercati valutari riaprono dopo la pausa natalizia e riparte l´offensiva contro la moneta americana

Il dollaro sprofonda ancora euro record oltre quota 1,36

Siniscalco: biglietto verde sempre più giù se non risanano i conti

Entro la fine dell´anno vanno a scadenza le operazioni al ribasso sulla moneta Usa fatte dagli hedge funds

di Gianfranco Modolo

MILANO - Dollaro ancora sotto pressione sui mercati valutari: ieri, in un periodo in passato favorevole alla divisa americana per le manovre finanziarie di fine anno (in sostanza la chiusura delle posizioni scoperte) il dollaro ha ceduto di schianto sia contro l´euro, portandosi a un minimo di 1,3640 (1,3539 la vigilia) che contro lo yen a 102,94 (103,77). Non sbagliano di molto gli esperti della Hong Kong Shangai Bank, che da giugno prevedono un cambio dollaro-euro intorno a 1,40 entro la fine dell´anno. I restanti tre giorni operativi del 2004 potrebbero del resto riservare nuove sorprese perché proprio ora arriva a scadenza gran parte delle operazioni al ribasso sulla moneta americana effettuate nei mesi scorsi da hedge funds, grande e piccola speculazione, banche e imprese multinazionali, persino da fondi pensione e investitori istituzionalizzati, a riprova di come ormai i mercati si muovano a senso unico.

Queste operazioni, effettuate perlopiù attraverso gli strumenti derivati, ammontavano a fine giugno, stando ai dati della Banca per i Regolamenti Internazionali, a 27.000 miliardi di dollari. Un importo enorme che, sebbene ipergonfiato dall´effetto leva, sconsiglia le banche centrali dell´Ue, del Giappone e quelle asiatiche dall´intervenire per frenare la svalutazione della divisa americana.

Le reazioni europee a questo movimento sono improntate alla rassegnazione: «Finché gli Stati Uniti non ritornano sul sentiero di risanamento nessuno vuole quella carta e tutti comprano la nostra carta», rileva il ministro dell´Economia, Domenico Siniscalco, nel corso dell´audizione alla Camera. Ma come convincere i 300 milioni di consumatori americani a preferire il "made in Usa" ai prodotti esteri (600 miliardi di dollari il passivo commerciale del 2004), a importare meno petrolio, a ritornare al risparmio, mentre Washington non accenna a ridurre le agevolazioni fiscali, non impone vincoli al passivo del bilancio statale e appoggia apertamente il dollaro debole e mentre gli aumenti dei tassi perseguiti dalla Federal Reserve non rendono la "carta" in dollari (azioni e obbligazioni) più appetibile rispetto a quella europea?

L´amministrazione Bush sostiene che la colpa del caro-euro dipende da chi non bada alla crescita economica. È questa anche l´opinione del ministro delle attività produttive Antonio Marzano, secondo il quale la Bce tiene stretti i tassi perché troppo preoccupata dell´inflazione, che invece in questo momento non è una priorità, mentre lo sono la competitività e la crescita. Una tesi rievocata dai governi europei per i quali secondo Marzano, è legittimo che si ponga la questione della revisione del patto di stabilità, fatta salva l´autonomia della Bce.

Ma il futuro potrebbe riservare altre amare sorprese. Nel 2005, che secondo gli esperti di Goldman Sachs sarà per gli Usa l´anno delle 3 D (i tre grandi problemi di deficit, dollaro, domanda interna) la moneta americana potrebbe svalutarsi di un altro 20-25 per cento, arrivando ad un minimo di 1,80 euro. Un´ipotesi alimentata dalle voci in base alle quali Russia, paesi asiatici e quelli produttori di petrolio, nonché investitori pubblici e privati potrebbero diversificare le loro riserve valutarie aumentando la presenza di euro e di yen a scapito della componente in dollari, che ammonta a circa 11.000 miliardi. Come dire, uno tsunami valutario in arrivo.

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