Da La Repubblica del 16/01/2005

Assalto finale ai magistrati

di Giuseppe D'Avanzo

LA RIPETITIVITÀ del conflitto tra il governo e la magistratura induce allo sfinimento, non c´è dubbio. Questa noia dell´opinione pubblica per una zuffa senza fine sarà elemento essenziale nei prossimi mesi quando governo e maggioranza muoveranno gli ultimi due passi dell´assalto, i più importanti e catastrofici per la giustizia. Correzioni formali, solo cosmetiche, alla riforma dell´ordinamento giudiziario giudicata in quattro essenziali punti incostituzionale dal capo dello Stato. Riforma dei temi della prescrizione necessaria per salvare dai guai Cesare Previti, l´amico del Capo.

Vale la pena, nel giorno d´una rumorosa inaugurazione dell´anno giudiziario, spendere qualche parola su questa strategia, lucida, essenzialmente mediatica, pericolosamente efficace.

La noia per la baruffa (per i più distratti ormai incomprensibile) consiglia di cacciarla in un angolo dell´agenda del dibattito pubblico derubricandola da questione istituzionale e politica a conflitto "sindacale", si può dire, con i magistrati nei panni di "camalli" che non vogliono cedere un lembo dei loro privilegi ormai insostenibili. In questo spazio si muove l´imperito Castelli. È ozioso ormai chiedersi se il ministro di Giustizia sa davvero quel che dice o si limita a ripetere quel che non sa. Quel che conta è la parte che il burattinaio gli ha assegnato in commedia. È questa. Deve andare in giro per l´Italia ripetendo un canovaccio imparaticcio di verità rovesciate nella convinzione che ripetendole smarriscano la fuffa e vengano accettate. Il copione prevede per il candido ministro quattro affermazioni molto stravaganti.

La prima. La giustizia funziona meglio: si concludono più processi di quanti non se ne avviino. Falso di tutta evidenza. I numeri dei processi diminuiscono perché ci si rivolge meno alla giustizia civile e in ragione del lavoro dei giudici di pace, che di più non possono fare: mai la giustizia ha funzionato peggio. Seconda affermazione. Il governo ha destinato più denaro alla giustizia del passato. Falso. Nel passato alle spese dell´amministrazione giudiziaria contribuiva anche il ministero del Tesoro. Oggi non più. Il ministro sfodera qualche decimale in più di spesa del suo dicastero senza spiegare che quel finanziamento è oggi esclusivo e non più sostenuto dalla stampella del Tesoro. Ecco perché, nei tribunali, mancano toghe, codici, carta igienica, risorse sufficienti per pagare gli stenotipisti dei processi o i messi che devono notificare gli atti? E fin qui siamo allo (addirittura comprensibile) sproloquio d´un politico che, responsabile della bancarotta gestionale della giustizia, difende il suo goffo lavoro.

Le altre due affermazioni (la terza e la quarta) sono più gravi e pericolose. Dice Castelli: «Le questioni fondamentali della giustizia all´attenzione del governo sono il rapporto tra potere legislativo e ordine giudiziario e l´eccessiva durata dei processi».

Cominciano da quest´ultima cabala. Lo hanno detto ieri i procuratori generali da Milano a Catania e, nella maniera più secca, il procuratore generale di Roma, il prudente Vecchione. «La produzione legislativa di quest´anno (e quindi la riforma dell´ordinamento giudiziario o la correzione dei tempi di prescrizione, n.d.r.) non presenta nessuna connessione con il principio della ragionevole durata di processi. Rispetto a questa necessità essenziale, tutta la più recente produzione è inerte: riguarda faccende diverse». Quali faccende? Siamo finalmente al cuore dell´armeggìo, alla più autentica ragione della baruffa infinita. Per una volta, Castelli non confonde le carte in tavola: «Il governo vuole modificare il rapporto tra potere legislativo e ordine giudiziario». È un´ammissione. Il rapporto tra potere legislativo e ordine giudiziario è definito dal dettato costituzionale e per modificarlo bisogna riscrivere una capitolo della Carta costituzionale. Per farlo, è illegittima una legge ordinaria. È con una legge ordinaria che la maggioranza ha voluto dislocare all´esterno del Consiglio superiore della magistratura le funzioni che ne permettono il governo: l´accesso, la formazione, la valutazione, la disciplina incappando nei rilievi di Ciampi. Che ha ricordato come quella «menomazione dei poteri del Consiglio superiore della magistratura» neutralizza l´art. 105 della Costituzione: "Spettano al Csm, secondo le norme dell´ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati".

La zuffa senza fine tra governo e magistrati sarà anche noiosa, ma ha il pregio di essere, a voler leggerne la trama, almeno chiara. In queste manovre non c´è nessun interesse per i diritti del cittadino a una giustizia rapida, giusta, efficace. Non c´è nessuna volontà di avviare finalmente a soluzione problemi di lunga durata che incupiscono la fiducia del cittadino nello Stato. A Berlusconi e al suo gabinetto interessa soltanto condizionare l´autonomia della magistratura, piegare l´indipendenza delle toghe alla subalternità e al conformismo. Si cominciano già a vedere gli effetti di quest´ambizione. Sono sotto gli occhi di tutti. Raddrizzare le teste storte e blandire, scegliendosele, altre teste sperando che si facciano tonde. E dunque, l´imputato (e ministro ombra) Previti chiede al ministro in carica l´esemplare punizione per i due pubblici ministeri che hanno trovato le prove delle sue baratterie giudiziarie. Il ministro manda a Milano il capo degli ispettori. Quello gli dice: non c´è nulla per punirli. Roma ne manda allora un altro. Anche quell´altro dice: non c´è nulla per punirli. Ne viene mandato un terzo. Anche quello da Milano chiama e dice: non c´è nulla per punirli, torno. A Roma vanno su tutte le furie. Gli chiedono di ascoltare un testimone al di sopra di ogni sospetto: l´avvocato di Previti. Un´accusa alla fine viene rabberciata. Smentita dagli stessi ispettori ministeriali, non ha né capo né coda, ma Castelli chiede, invoca e ottiene un processo per i "reprobi" Boccassini e Colombo. Cambio di scena. Procura nazionale antimafia. Chi la dirige (Vigna) è in scadenza. Chi potrebbe dirigerla dopo di lui (Caselli) non piace al governo e allora il ministro proroga l´uscente in attesa che lo sgradito non possa più correre per quella poltrona. È il governo della magistratura che piace al Capo. Che sia amministrata come un´azienda nella disponibilità di un solo proprietario. Tu sì, tu no. Vince chi dice sì. Perde chi dice no. Che siano giudici e non impiegati, non importa. Altro che noiosa, questa storia diventerà molto avvincente per tutti, se il Capo dovesse farcela.

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