Da La Repubblica del 11/05/2005
Chi sono i tiranni nelle società moderne
di Ian Buruma
L´ATTACCO militare all´Iraq non è stata forse una mossa saggia. Eppure, pochi tra coloro che erano fermamente contrari all´amministrazione Bush hanno provato null´altro che gioia nel vedere Saddam tirato fuori dalla sua tana. Vi è un che di piacevole nella resa dei conti di un tiranno, evento che non si verifica troppo spesso. Molti sono vissuti sino a tarda età; alcuni tirano avanti ridotti a mummie, i loro corpi di cera mostrati al pubblico. Non intendo tuttavia soffermarmi su quella che potrebbe rivelarsi una vittoria di Pirro in Iraq, quanto pormi una domanda diversa. Saddam è stato l´ultimo rappresentante del suo genere? I grandi dittatori sono forse diventati obsoleti?
La domanda, lo so, può sembrare assurda, perché di dittatori ve ne sono dappertutto: Robert Mugabe è sempre lì indaffarato a distruggere il suo Paese; il Caro Capo Kim Jong II gestisce la Corea del Nord come un campo di concentramento a misura di nazione; l´Uzbekistan è sotto un despota assassino, Islam Karimov, guarda caso un alleato degli Stati Uniti; Fidel Castro lo si vuole popolare ma non ha mai concesso elezioni e la polizia arresta regolarmente i dissidenti.
Nell´insieme, però, la marea della storia si è di recente rivolta contro i Grandi Leader. Se prendiamo in esame gli ultimi trenta anni, e in particolare l´annus mirabilis 1989, la lista dei dittatori deposti sorpassa quella dei rimpiazzi: Nicolae Ceauçescu, Thodor Zhivkov, Gustav Husák, Ferdinand Marcos, "Baby" Doc Duvalier, Idi Amin, Mariam Mengistu, lo scià di Persia, l´imperatore Bokassa, per citarne alcuni. Per quanto orrendi fossero, si trattava di tiranni di provincia, pesci piccoli nell´oceano degli assassinii di massa. Gli ultimi dittatori comunisti, più simili a burocrati autocratici, non erano poi così impressionanti. Non se ne sono visti molti in giro della statura di Hitler, di Mao, di Stalin: lo stesso Saddam Hussein non poteva assolutamente aspirare a entrare nel club. Solo per questo abbiamo motivo di brindare.
Non voglio però dire, come farebbe qualche Polinna neoconservatrice, che la democrazia percorrerà il mondo al seguito delle armate liberatrici americane. Non è neppure escluso che alcuni stati democratici diventino autoritari: Vladimir Putin, che non è ancora un dittatore, fa mostra di un´intolleranza crescente verso ogni opposizione. Eppure, i Re-Dio, i Führer, i Grandi Timonieri, i Numeri Uno, i Grandi Padri e i Caudillos sono nettamente in declino. Potrebbero ovviamente tornare un giorno, sotto altre spoglie, e sospetto che ci proveranno. I dittatori non possono dominare solo col terrore: il terrore è un aspetto necessario del loro monopolio del potere, ma non basta. I dittatori spariranno per sempre quando la gente non vorrà più essere governata da loro. L´uomo è purtroppo debole, in special modo quando deve fronteggiare una crisi, e i suoi desideri si prestano facilmente a manipolazione.
Ciò che fa veramente paura delle dittature è la facilità con cui si crede alle aspirazioni divine del capo. Le centinaia di migliaia di uomini e donne che a Pechino, Mosca o Pyongyang gridano, piangono, pregano, agitano libretti e bandiere per adorare i loro leader, non lo fanno solo perché vi sono costretti; molti, forse la maggior parte, sono veramente in preda a un´isteria collettiva. Il che può spiegarsi con la psicologia delle folle: un´emozione collettiva dilaga alla velocità di un fuoco di sterpaglie. L´ho constatato io stesso a Pyongyang, poco dopo la morte di Kim Il Sung, quando venimmo trascinati a un orrendo monumento per piangere il Grande Leader. Piagnoni prezzolati lamentavano attraverso gli altoparlanti la perdita del "padre"; gli insegnanti di scuola, seguiti da file ordinate di allievi, si misero a piangere, e alla vista delle lacrime degli adulti i bambini fecero altrettanto. Si trattava di una emozione genuina? Erano veramente tristi per la morte del dittatore? Non è facile dire, ed è forse una domanda sciocca, perché è difficile misurare la sincerità di una manifestazione di isteria collettiva. Il desiderio di venerare idoli fa certo parte della natura umana, e quando quelli tradizionali sono al bando, uomini in carne e ossa prendono il loro posto.
Alcuni dei crimini più mostruosi sono stati perpetrati da dittatori che avevano distrutto o evirato le istituzioni religiose tradizionali, sostituendole con forme nuove di rituali. Il culto di Hitler poggiava sulle rovine della monarchia tedesca, e su attacchi sistematici alla religione organizzata. Lo stesso accadeva per il culto dell´imperatore nel Giappone in guerra, che per un breve periodo di tempo divenne il centro focale di ogni fervore religioso, dal momento che pratiche spirituali alternative o erano bandite o erano incanalate al servizio della causa imperiale. Stalin e Mao si spinsero ben oltre: né le autorità giapponesi né Hitler riuscirono a sradicare le religioni tradizionali, e dovettero scendere a compromessi con le istituzioni che le rappresentavano. I capi comunisti non ebbero fastidi del genere.
Come al tempo dell´inquisizione, sotto Stalin e Mao i cittadini erano perseguitati e uccisi non per quello che avevano fatto, ma per ciò in cui credevano, o, meglio, in cui si rifiutavano di credere. Si sostiene talvolta, per opporre al male assoluto dei dittatori fascisti il male minore dei despoti comunisti, che le vittime di Mao non venivano sterminate in campi di concentramento, ma rieducate. Lasciando da parte il fatto che molti dei cosiddetti nemici di classe vennero sterminati solo perché definiti tali, la rieducazione non era certo indolore. Dovevi non solo convincere i tuoi torturatori che avevi rinunciato ai tuoi nefasti pensieri ed eri divenuto un "credente", ma che la conversione era del tutto sincera. Si trattava di una tortura mentale delle peggiori, perché molti furono letteralmente costretti a perdere la testa.
Il culto della personalità a livello dei grandi dittatori del XX secolo è forse divenuto obsoleto. Sarebbe difficile, impossibile, direi, per dei nuovi autocrati riuscire a monopolizzare potere e verità come Mao o Stalin riuscirono a fare. Ci sono troppi libri da bruciare, e solo un piccolo Paese come la Corea del Nord può ancora rimanere perfettamente isolato dalle informazioni che circolano nel mondo esterno. I capi cinesi, con tutte le risorse a loro disposizione, non riescono a bloccare tutti i blogs e i siti Internet che sfidano il loro monopolio della verità.
Quel che non è cambiato nella natura umana sono i desideri che permettono ai dittatori di riemergere dal passato. Il bisogno di venerare, il desiderio di essere protetti da un grande padre, di godere della gloria riflessa di una guerra, di essere ipnotizzati dallo spettacolo del potere, o di essere travolti da una emozione collettiva, sono ancora dentro di noi. E vi sono anche armi più potenti in mano ai dittatori: le nostre paure di nemici nascosti, che ci minacciano dentro e fuori dei nostri confini; della nostra impotenza e insignificanza personale; e, in fondo, la paura della stessa libertà.
Il pericolo si fa reale quando desideri e paure sono monopolizzati, quando i politici controllano troppi canali di grande ascolto, affermano di esprimere la volontà divina, incitano fervori nazionalisti, alimentano paure e promettono protezione, e incoraggiano forme di venerazione dell´eroe che dovrebbero venir limitate alla sfera più sicura delle stelle del cinema o dei campioni sportivi. Se ci saranno ancora dittatori, saranno probabilmente dei super Mogol, proprietari di reti televisive e di club sportivi, che parlano come predicatori evangelici, disprezzano la democrazia e mettono in guardia contro minacce e nemici. Dei segnali premonitori possono già scorgersi in democrazie come l´Italia e la Thailandia, Paesi entrambi governati da magnati populisti proprietari di televisioni, sprezzanti verso l´indipendenza dei giudici e l´opposizione politica. Sono grandi uomini con grandi idee, promettono di farla finita con i piccoli compromessi e i mediocri aggiustamenti dei politici. Vi è poi un tipo meno pittoresco, in Cina e in Russia, a esempio: freddi tecnocrati capaci di convincere le classi medie emergenti che un governo autocratico è la sola barriera contro il caos e la barbarie. Minoranze ribelli, che oppongono resistenza alle loro maniere forti, saranno spazzate via in nome della guerra permanente al terrorismo.
La nuova tecnocrazia costituisce un esempio della tentazione fatale delle dittature, l´illusione che si stia meglio senza la politica, che leader determinati a realizzare programmi non debbano venire ostacolati da un dissenso organizzato. Questo è quel che credono i tecnocrati asiatici e gli autocrati russi. Coloro che hanno a cuore la libertà e la trasparenza dovrebbero tuttavia preoccuparsi delle tendenze oggi visibili negli Usa. Anche qui le paure e i desideri umani vengono sfruttati per erodere lo stato di diritto e sostituire spettacoli e professioni di fede al dibattito politico.
La domanda, lo so, può sembrare assurda, perché di dittatori ve ne sono dappertutto: Robert Mugabe è sempre lì indaffarato a distruggere il suo Paese; il Caro Capo Kim Jong II gestisce la Corea del Nord come un campo di concentramento a misura di nazione; l´Uzbekistan è sotto un despota assassino, Islam Karimov, guarda caso un alleato degli Stati Uniti; Fidel Castro lo si vuole popolare ma non ha mai concesso elezioni e la polizia arresta regolarmente i dissidenti.
Nell´insieme, però, la marea della storia si è di recente rivolta contro i Grandi Leader. Se prendiamo in esame gli ultimi trenta anni, e in particolare l´annus mirabilis 1989, la lista dei dittatori deposti sorpassa quella dei rimpiazzi: Nicolae Ceauçescu, Thodor Zhivkov, Gustav Husák, Ferdinand Marcos, "Baby" Doc Duvalier, Idi Amin, Mariam Mengistu, lo scià di Persia, l´imperatore Bokassa, per citarne alcuni. Per quanto orrendi fossero, si trattava di tiranni di provincia, pesci piccoli nell´oceano degli assassinii di massa. Gli ultimi dittatori comunisti, più simili a burocrati autocratici, non erano poi così impressionanti. Non se ne sono visti molti in giro della statura di Hitler, di Mao, di Stalin: lo stesso Saddam Hussein non poteva assolutamente aspirare a entrare nel club. Solo per questo abbiamo motivo di brindare.
Non voglio però dire, come farebbe qualche Polinna neoconservatrice, che la democrazia percorrerà il mondo al seguito delle armate liberatrici americane. Non è neppure escluso che alcuni stati democratici diventino autoritari: Vladimir Putin, che non è ancora un dittatore, fa mostra di un´intolleranza crescente verso ogni opposizione. Eppure, i Re-Dio, i Führer, i Grandi Timonieri, i Numeri Uno, i Grandi Padri e i Caudillos sono nettamente in declino. Potrebbero ovviamente tornare un giorno, sotto altre spoglie, e sospetto che ci proveranno. I dittatori non possono dominare solo col terrore: il terrore è un aspetto necessario del loro monopolio del potere, ma non basta. I dittatori spariranno per sempre quando la gente non vorrà più essere governata da loro. L´uomo è purtroppo debole, in special modo quando deve fronteggiare una crisi, e i suoi desideri si prestano facilmente a manipolazione.
Ciò che fa veramente paura delle dittature è la facilità con cui si crede alle aspirazioni divine del capo. Le centinaia di migliaia di uomini e donne che a Pechino, Mosca o Pyongyang gridano, piangono, pregano, agitano libretti e bandiere per adorare i loro leader, non lo fanno solo perché vi sono costretti; molti, forse la maggior parte, sono veramente in preda a un´isteria collettiva. Il che può spiegarsi con la psicologia delle folle: un´emozione collettiva dilaga alla velocità di un fuoco di sterpaglie. L´ho constatato io stesso a Pyongyang, poco dopo la morte di Kim Il Sung, quando venimmo trascinati a un orrendo monumento per piangere il Grande Leader. Piagnoni prezzolati lamentavano attraverso gli altoparlanti la perdita del "padre"; gli insegnanti di scuola, seguiti da file ordinate di allievi, si misero a piangere, e alla vista delle lacrime degli adulti i bambini fecero altrettanto. Si trattava di una emozione genuina? Erano veramente tristi per la morte del dittatore? Non è facile dire, ed è forse una domanda sciocca, perché è difficile misurare la sincerità di una manifestazione di isteria collettiva. Il desiderio di venerare idoli fa certo parte della natura umana, e quando quelli tradizionali sono al bando, uomini in carne e ossa prendono il loro posto.
Alcuni dei crimini più mostruosi sono stati perpetrati da dittatori che avevano distrutto o evirato le istituzioni religiose tradizionali, sostituendole con forme nuove di rituali. Il culto di Hitler poggiava sulle rovine della monarchia tedesca, e su attacchi sistematici alla religione organizzata. Lo stesso accadeva per il culto dell´imperatore nel Giappone in guerra, che per un breve periodo di tempo divenne il centro focale di ogni fervore religioso, dal momento che pratiche spirituali alternative o erano bandite o erano incanalate al servizio della causa imperiale. Stalin e Mao si spinsero ben oltre: né le autorità giapponesi né Hitler riuscirono a sradicare le religioni tradizionali, e dovettero scendere a compromessi con le istituzioni che le rappresentavano. I capi comunisti non ebbero fastidi del genere.
Come al tempo dell´inquisizione, sotto Stalin e Mao i cittadini erano perseguitati e uccisi non per quello che avevano fatto, ma per ciò in cui credevano, o, meglio, in cui si rifiutavano di credere. Si sostiene talvolta, per opporre al male assoluto dei dittatori fascisti il male minore dei despoti comunisti, che le vittime di Mao non venivano sterminate in campi di concentramento, ma rieducate. Lasciando da parte il fatto che molti dei cosiddetti nemici di classe vennero sterminati solo perché definiti tali, la rieducazione non era certo indolore. Dovevi non solo convincere i tuoi torturatori che avevi rinunciato ai tuoi nefasti pensieri ed eri divenuto un "credente", ma che la conversione era del tutto sincera. Si trattava di una tortura mentale delle peggiori, perché molti furono letteralmente costretti a perdere la testa.
Il culto della personalità a livello dei grandi dittatori del XX secolo è forse divenuto obsoleto. Sarebbe difficile, impossibile, direi, per dei nuovi autocrati riuscire a monopolizzare potere e verità come Mao o Stalin riuscirono a fare. Ci sono troppi libri da bruciare, e solo un piccolo Paese come la Corea del Nord può ancora rimanere perfettamente isolato dalle informazioni che circolano nel mondo esterno. I capi cinesi, con tutte le risorse a loro disposizione, non riescono a bloccare tutti i blogs e i siti Internet che sfidano il loro monopolio della verità.
Quel che non è cambiato nella natura umana sono i desideri che permettono ai dittatori di riemergere dal passato. Il bisogno di venerare, il desiderio di essere protetti da un grande padre, di godere della gloria riflessa di una guerra, di essere ipnotizzati dallo spettacolo del potere, o di essere travolti da una emozione collettiva, sono ancora dentro di noi. E vi sono anche armi più potenti in mano ai dittatori: le nostre paure di nemici nascosti, che ci minacciano dentro e fuori dei nostri confini; della nostra impotenza e insignificanza personale; e, in fondo, la paura della stessa libertà.
Il pericolo si fa reale quando desideri e paure sono monopolizzati, quando i politici controllano troppi canali di grande ascolto, affermano di esprimere la volontà divina, incitano fervori nazionalisti, alimentano paure e promettono protezione, e incoraggiano forme di venerazione dell´eroe che dovrebbero venir limitate alla sfera più sicura delle stelle del cinema o dei campioni sportivi. Se ci saranno ancora dittatori, saranno probabilmente dei super Mogol, proprietari di reti televisive e di club sportivi, che parlano come predicatori evangelici, disprezzano la democrazia e mettono in guardia contro minacce e nemici. Dei segnali premonitori possono già scorgersi in democrazie come l´Italia e la Thailandia, Paesi entrambi governati da magnati populisti proprietari di televisioni, sprezzanti verso l´indipendenza dei giudici e l´opposizione politica. Sono grandi uomini con grandi idee, promettono di farla finita con i piccoli compromessi e i mediocri aggiustamenti dei politici. Vi è poi un tipo meno pittoresco, in Cina e in Russia, a esempio: freddi tecnocrati capaci di convincere le classi medie emergenti che un governo autocratico è la sola barriera contro il caos e la barbarie. Minoranze ribelli, che oppongono resistenza alle loro maniere forti, saranno spazzate via in nome della guerra permanente al terrorismo.
La nuova tecnocrazia costituisce un esempio della tentazione fatale delle dittature, l´illusione che si stia meglio senza la politica, che leader determinati a realizzare programmi non debbano venire ostacolati da un dissenso organizzato. Questo è quel che credono i tecnocrati asiatici e gli autocrati russi. Coloro che hanno a cuore la libertà e la trasparenza dovrebbero tuttavia preoccuparsi delle tendenze oggi visibili negli Usa. Anche qui le paure e i desideri umani vengono sfruttati per erodere lo stato di diritto e sostituire spettacoli e professioni di fede al dibattito politico.
Annotazioni − Traduzione Pietro Corsi.
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