Da La Repubblica del 02/09/2005
La leadership di Bin Laden in sintonia con gli esecutori "europei". Forse i messaggi realizzati in Pakistan
Dal maestro di Leeds al capo militare mai così salda la catena del terrore
Per alcuni le immagini dell'uomo di Bin Laden potrebbero essere vecchie
Ora gli obiettivi sarebbero gli "anelli deboli" dell'alleanza filo-americana
di Carlo Bonini
ROMA - Televisivamente avvolto nell'ultima minaccia di Ayman Al Zawahiri, il testamento di Mohammad Sidique Khan, il kamikaze della Circle Line, è il sigillo all'orrore di ieri e una sinistra previsione sul domani. Le parole dell'insegnante elementare della «Hillside primary school» di Leeds cancellano quel dubbio residuo che resisteva all'evidenza che le bombe di Londra del 7 luglio fossero opera di uomini votati al suicidio. Dimostra che la scelta del martirio non ha un humus di elezione in cui affondare le sue radici, ma spesso abita l'ultima delle case cui bussa il sospetto. Quella del vicino irreprensibile. Nel caso di Khan, ancor più caro alla sua comunità per la cura che prendeva dei suoi bambini. Per le sue discese innocenti lungo le rapide dei torrenti gallesi, come un qualunque trentenne felice di vivere. Ma il video-testamento dell'uomo di Leeds, soprattutto, torna ad incardinare la strage di Londra in quella terra di nessuno che resta il confine tra Pakistan e Afghanistan, nei cui anfratti la leadership di Al Qaeda (oggi militarmente nelle mani di Al Zawahiri) certo non è più in grado di pianificare e impartire ordini a nessuno, ma dove una nuova leva di home grown radical, di estremisti musulmani nati e cresciuti in Occidente, la terra del nemico, ottiene l'ultimo viatico prima di tornare a colpire lì dove è stata accolta e si mimetizza.
«Fino a quando la nostra gente non si sentirà al sicuro, continuerete ad essere i nostri bersagli. Fino a quando non fermerete i bombardamenti, non smetterete di torturare, noi continueremo la nostra lotta. Siamo in guerra e io sono un soldato. Prego Allah di elevarmi tra coloro che amo: i profeti, i loro messaggeri, i martiri e gli eroi di oggi come i nostri amati Osama Bin Laden, Ayman Al Zawahiri, Abu Mussab Al Zarqawi». Con il capo coperto da una kefyia bianca e rossa, seduto a gambe incrociate in una stanza foderata di tappeti, uno dei tanti non-luoghi cui siamo stati abituati dal terrore per immagini, Khan non ha la barba delle foto che il supplemento «istruzione» del quotidiano inglese Times aveva pubblicato in tempi non sospetti quando, in quel di Leeds, lo aveva intervistato come esempio di un'integrazione possibile in aule scolastiche frequentate dal proletariato inglese e dagli immigrati pakistani di seconda generazione. Ma, come in quelle foto, il maestro elementare gioca con una penna tra le dita. Per una lezione che riduce all'osso l'insegnamento dei suoi profeti, Osama Bin Laden e Ayman Al Zawahiri.
Forse, come lascerebbe intendere la pesante felpa che veste il martire, le immagini che ritraggono Khan sono state girate nell'inverno del Pakistan, dove del resto arrivò il 19 novembre del 2004 e dove rimase fino all'8 febbraio di quest'anno. O forse in uno slum di Leeds. In fondo, poco importa. Perché, ancora una volta, quel che conta è la sintonia e la coincidenza del messaggio del futuro kamikaze con quello della leadership di Al Qaeda.
Parliamo del secondo troncone del sipario televisivo notturno proposto da Al Jazeera, almeno così come la tv del Golfo lo ha ricevuto dalle sapienti «mani ignote» che lo hanno confezionato. Torna a parlare Al Zawahiri, il turbante in capo e il mitra appoggiato alle sue spalle.
«Forse si tratta del rimontaggio di un messaggio già trasmesso il 4 agosto scorso», ipotizzano le agenzie di stampa occidentali. «No. Quelle che si vedono sembrano nuove immagini», osservano fonti della televisione a Doha.
In ogni caso, conta quel che dice il medico egiziano. «La strage del 7 luglio è stato uno schiaffo sulla faccia di Tony Blair e la dimostrazione che abbiamo portato la guerra sull'uscio di casa del nemico». «Lo abbiamo ripetuto molte volte e molte altre volte ancora. Tutti coloro che prendono parte nell'aggressione di Iraq, Afganistan e Palestina, verranno ripagati con la stessa moneta. E dopo aver fatto scorrere fiumi di sangue nei nelle nostre terre, noi, a Dio piacendo, faremo eruttare vulcani di rabbia nei loro Paesi».
Nella consueta truculenza retorica delle parole, il leader militare di Al Qaeda torna di fatto ad agitare di fronte ad una parte dell'Occidente la minaccia di nuovo sangue se Stati Uniti e Inghilterra non verranno lasciati soli al loro destino. E' un messaggio agli anelli deboli della catena, anche se mai pronunciati: Spagna, Italia, Danimarca, Polonia. Ancor più sinistro alle orecchie di chi, come il nostro Paese, è sin qui stato risparmiato. «Gente dell'alleanza dei crociati, risparmiatevi le disastrose conseguenze che le politiche di Bush e Blair scateneranno su di voi».
«Fino a quando la nostra gente non si sentirà al sicuro, continuerete ad essere i nostri bersagli. Fino a quando non fermerete i bombardamenti, non smetterete di torturare, noi continueremo la nostra lotta. Siamo in guerra e io sono un soldato. Prego Allah di elevarmi tra coloro che amo: i profeti, i loro messaggeri, i martiri e gli eroi di oggi come i nostri amati Osama Bin Laden, Ayman Al Zawahiri, Abu Mussab Al Zarqawi». Con il capo coperto da una kefyia bianca e rossa, seduto a gambe incrociate in una stanza foderata di tappeti, uno dei tanti non-luoghi cui siamo stati abituati dal terrore per immagini, Khan non ha la barba delle foto che il supplemento «istruzione» del quotidiano inglese Times aveva pubblicato in tempi non sospetti quando, in quel di Leeds, lo aveva intervistato come esempio di un'integrazione possibile in aule scolastiche frequentate dal proletariato inglese e dagli immigrati pakistani di seconda generazione. Ma, come in quelle foto, il maestro elementare gioca con una penna tra le dita. Per una lezione che riduce all'osso l'insegnamento dei suoi profeti, Osama Bin Laden e Ayman Al Zawahiri.
Forse, come lascerebbe intendere la pesante felpa che veste il martire, le immagini che ritraggono Khan sono state girate nell'inverno del Pakistan, dove del resto arrivò il 19 novembre del 2004 e dove rimase fino all'8 febbraio di quest'anno. O forse in uno slum di Leeds. In fondo, poco importa. Perché, ancora una volta, quel che conta è la sintonia e la coincidenza del messaggio del futuro kamikaze con quello della leadership di Al Qaeda.
Parliamo del secondo troncone del sipario televisivo notturno proposto da Al Jazeera, almeno così come la tv del Golfo lo ha ricevuto dalle sapienti «mani ignote» che lo hanno confezionato. Torna a parlare Al Zawahiri, il turbante in capo e il mitra appoggiato alle sue spalle.
«Forse si tratta del rimontaggio di un messaggio già trasmesso il 4 agosto scorso», ipotizzano le agenzie di stampa occidentali. «No. Quelle che si vedono sembrano nuove immagini», osservano fonti della televisione a Doha.
In ogni caso, conta quel che dice il medico egiziano. «La strage del 7 luglio è stato uno schiaffo sulla faccia di Tony Blair e la dimostrazione che abbiamo portato la guerra sull'uscio di casa del nemico». «Lo abbiamo ripetuto molte volte e molte altre volte ancora. Tutti coloro che prendono parte nell'aggressione di Iraq, Afganistan e Palestina, verranno ripagati con la stessa moneta. E dopo aver fatto scorrere fiumi di sangue nei nelle nostre terre, noi, a Dio piacendo, faremo eruttare vulcani di rabbia nei loro Paesi».
Nella consueta truculenza retorica delle parole, il leader militare di Al Qaeda torna di fatto ad agitare di fronte ad una parte dell'Occidente la minaccia di nuovo sangue se Stati Uniti e Inghilterra non verranno lasciati soli al loro destino. E' un messaggio agli anelli deboli della catena, anche se mai pronunciati: Spagna, Italia, Danimarca, Polonia. Ancor più sinistro alle orecchie di chi, come il nostro Paese, è sin qui stato risparmiato. «Gente dell'alleanza dei crociati, risparmiatevi le disastrose conseguenze che le politiche di Bush e Blair scateneranno su di voi».
Sullo stesso argomento
Articoli in archivio
su Mainichi Shinbun del 11/08/2006
di Elisa Giunchi su Lettera 22 del 17/10/2006
di Giulietto Chiesa su Megachip del 29/08/2006
News in archivio
su RaiNews24 del 15/08/2006
su Reuters del 30/10/2006
Energia: crepe nucleari in Gran Bretagna
La British Energy ammette guasti agli impianti di Hartlepool e di Hinkley Point. Fermati i reattori. La società perde in Borsa
La British Energy ammette guasti agli impianti di Hartlepool e di Hinkley Point. Fermati i reattori. La società perde in Borsa
su La Nuova Ecologia del 16/10/2006
In biblioteca
Editori Riuniti, 2006