Da Corriere della Sera del 27/10/2005

Quel no di Maometto sul velo

di Magdi Allam

Se lo stesso profeta Mohammad (Maometto) ordinò alla donna di non indossare il niqab (velo integrale) e i guanti durante i riti del piccolo e grande pellegrinaggio, al fine di eliminare questa consuetudine dalla vita delle musulmane — si domanda l'islamologo egiziano Ahmad Chaouki Alfangari—come è possibile che i gruppi oscurantisti e estremisti islamici si siano attribuiti la missione del ripristino del niqab?». E se, comesentenzia Alfangari, «non c'è alcuna imposizione del niqab in tutto il sacro Corano e nel Hadis (i detti e i fatti attribuiti al profeta Mohammad) », perché mai in Italia si considera legittimo il velo integrale islamico in quanto «segno esteriore di una tipica fede religiosa» (circolare delDipartimento della Polizia del dicembre 2004), mentre viene sanzionata esclusivamente chi lo indossa «in luogo pubblico», come recita anche il recente pacchetto Pisanu di norme antiterrorismo? L'atteggiamento ufficiale italiano sulla questione del velo integrale è emblematico di una propensione che, all'insegna di un infondato rispetto per una supposta specificità religiosa, finisce di fatto per favorire la fazione islamica radicale. Violando il diritto essenziale alla parità e alla dignità umana della donna che è uno dei valori fondanti della Costituzione e della nostra società.

Leggiamo un passo del nuovo libro di Alfangari (Concezioni sbagliate che fanno arretrare i musulmani), ripreso dal settimanale egiziano Rose El Yossef del 15 ottobre scorso: «Alcuni oltranzisti tentano di interpretare il versetto divino (Corano, XXIV, 30-31) come se imponesse il velo dalla testa fino a ricoprire il volto ». Alfangari accredita la traduzione del versetto in italiano fatta da Alessandro Bausani «si ricoprano i seni d'un velo», sconfessando quella di Hamza Roberto Piccardo dell' Ucoii «lasciar scendere il loro velo fin sul petto». In aggiunta egli cita il detto del profeta, compreso nella raccolta Al Sahih di Al Bukhari, «Che la donna in stato di ihram (stato di purità durante il pellegrinaggio) non indossi né il niqab né i guanti».

Ricorda inoltre che «le donne dei compagni del profeta partecipavano alla preghiera collettiva in moschea dietro allo stesso profeta», così come «presenziavano alle lezioni religiose e interpellavano il profeta su qualsiasi questione a viso scoperto».

La conclusione dell'islamologo egiziano è perentoria: «Il niqab non viola solo il volto della donna, ma viola la sua umanità, il suo cervello, il suo ruolo sociale come persona». Di fatto in diversi paesi musulmani il velo integrale islamico è fuorilegge. In Egitto la Corte Costituzionale ha deliberato che «il niqab non è richiesto dalla sharia (legge islamica) e l'islam non lo impone». Di conseguenza è ad esempio vietato alle studentesse presentarsi agli esami con il niqab, data l'impossibilità di accettarne l'identità. In Kuwait non è consentito alle donne guidare l'auto con il niqab per il maggior rischio che comporta alla sicurezza. Addirittura in Tunisia e Turchia è proibito indossare qualsiasi tipo di velo nei luoghi pubblici.

Eppure nell'Europa del buonismo e del relativismo culturale i politici e gli intellettuali hanno paura a deliberare che il velo integrale è fuorilegge perché rigettato dagli stessi musulmani illuminati, liberali, laici, moderati. Invocando invece delle ragioni di sicurezza per vietarlo, da un lato si lascia intendere che il velo integrale sarebbe legale dal punto di vista islamico e, dall'altro, si passa per razzisti e profanatori di un precetto religioso. Al punto che in Olanda, la patria del multiculturalismo, il ministro per l'Integrazione e l'Immigrazione, Rita Verdonk, è stata preventivamente minacciata di morte dagli estremisti islamici per aver preannunciato la messa al bando del niqab.

Anche in Italia la recente normativa evita accuratamente di far esplicito riferimento al velo integrale islamico. Ciò che invece fa la già citata circolare di Polizia del 2004 che l'accredita quale «segno esteriore di una tipica fede religiosa» e «una pratica devozionale ». Anche se si ammette che quanto alla «natura giustificante del motivo religioso è questione che non può essere affrontata in via unilaterale senza il supporto di un congruo approfondimento dottrinale e della giurisprudenza ». Ebbene perché non assumere come interlocutori i teologi e gli islamologi illuminati, nonché i paesi musulmani laici? Perché ci ostiniamo a restare in balia dei predicatori d'odio, misogini e ostili alla civiltà occidentale?

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