Da Corriere della Sera del 11/11/2005
L’ex campione del Milan denuncia brogli. Ora potrebbe diventare ministro
La Lady di ferro della Liberia ha messo fuori gioco Weah
Ellen Johnson Sirleaf diventa la prima presidentessa dell’Africa
di Massimo A. Alberizzi
MONROVIA - Al primato di essere l'unico Stato da sempre indipendente in Africa, ora la Liberia ne aggiunge un secondo: quello di avere eletto la prima donna del continente alla presidenza della Repubblica. L'economista Ellen Johnson Sirleaf, 66 anni, ha battuto l'ex stella del calcio George Weah, 39. I risultati non sono ancora ufficiali né completi ma la differenza tra i due candidati al ballottaggio si aggira sui 19 punti: Ellen 59%, George 41%.
L'ex attaccante del Milan non ha accettato di buon grado la sconfitta e ha mostrato in una conferenza stampa un pacco di schede già scritte a favore della sua avversaria, annunciando un ricorso per brogli. Gruppi di suoi sostenitori, soprattutto giovani ex combattenti, sono scesi in piazza, minacciando di scatenare di nuovo la guerra. Poi ieri «Oppong», il campionissimo, come lo chiamano qui, ha incontrato Alan Doss, capo della missione di peace-keeping dell’Onu, e ha dichiarato di accettare la sconfitta. L'apparato di sicurezza dei caschi blu (15 mila uomini) è stato comunque rafforzato e ieri sera nella capitale sono stati organizzati nuovi check point.
Il programma dei due candidati era molto simile, soprattutto sulla lotta alla corruzione. Ma per rafforzare la propria squadra, entrambi sono stati costretti a scendere a patti con personaggi discussi, legati alle dittature precedenti e accusati di aver saccheggiato le risorse naturali del Paese. Nello «scontro tra competenza e popolarità» ha comunque vinto la prima, titolava un quotidiano di Monrovia. Tranquilla, la signora Johnson Sirleaf, economista che ha studiato ad Harvard e appoggiata dalla Open Society di George Soros, ha continuato a ripetere: «Non chiamatemi presidente finché non sarà ufficiale». Poi non ha resistito e si è lasciata andare all'entusiasmo.
C'è un posto per Weah nel suo governo?
«Appena i risultati saranno definitivi andrò io stessa a casa sua e gli chiederò di unirsi a noi. Abbiamo bisogno di gente che come lui vuole sinceramente impegnarsi nella ricostruzione di questo Paese martoriato da 14 anni di guerra civile. Lui è giovane, potrà ricandidarsi ancora parecchie volte. Per ora, un po' di esperienza politica gli serve».
Cosa farà Weah?
«Decideremo assieme. Penso a un ministero della gioventù. Se non si aprono scuole e non si danno opportunità di lavoro, i giovani rischiano di essere reclutati da chi vuole tornare alla guerra».
Prima donna presidente di tutta l'Africa. Come si sente?
«Spero che questo serva a riscattare tutte le donne del continente. Molte vivono in condizione di sudditanza. Per me, questa è stata una sfida e voglio mettere chiunque nelle condizioni di vincerla. Sento un po' il peso di questo primato. Se dovessi fallire, potrebbero facilmente sostenere che ho fallito perché sono una donna».
È stato un lungo cammino il suo. Messa in galera dal dittatore Samuel Doe, si è unita alla ribellione di Charles Taylor. Poi, quando ha capito che anche Taylor puntava solo al guadagno personale, l'ha abbandonato.
«In carcere sono stata anche torturata, non fisicamente ma psicologicamente. Facevano finta di ammazzarmi. Una volta mi hanno messo in una stanza con dieci persone. È entrato un soldato e ha ucciso gli altri, uno per uno. Arrivato a me si è fermato. È stato terribile».
Il Paese che andrà a governare è distrutto: da 15 anni non ci sono rete elettrica né acqua potabile. La corruzione è a livelli insopportabili. Cosa intende fare?
«Mi attende un lavoro imponente che potrò assolvere solo con l'aiuto della comunità internazionale. Chiederò che siano tolte le sanzioni sui diamanti e sul legno, vigilerò sui traffici illeciti, quello sulle armi innanzitutto».
Alla vittoria di Ellen hanno contributo soprattutto le donne. Forse il suo più grande merito in questa competizione è stato quello di aver unificato la parte femminile delle varie tribù della Liberia, da sempre in lotta per la supremazia. Per lei hanno votato donne kran, mandingo, kru, gola e di tutte le altre etnie indigene. L’hanno appoggiata persino le donne congo, la tribù «importata», quella a cui appartengono i discendenti dalle famiglie di schiavi liberati che rientrarono dall'America in Africa nell'800.
L'ex attaccante del Milan non ha accettato di buon grado la sconfitta e ha mostrato in una conferenza stampa un pacco di schede già scritte a favore della sua avversaria, annunciando un ricorso per brogli. Gruppi di suoi sostenitori, soprattutto giovani ex combattenti, sono scesi in piazza, minacciando di scatenare di nuovo la guerra. Poi ieri «Oppong», il campionissimo, come lo chiamano qui, ha incontrato Alan Doss, capo della missione di peace-keeping dell’Onu, e ha dichiarato di accettare la sconfitta. L'apparato di sicurezza dei caschi blu (15 mila uomini) è stato comunque rafforzato e ieri sera nella capitale sono stati organizzati nuovi check point.
Il programma dei due candidati era molto simile, soprattutto sulla lotta alla corruzione. Ma per rafforzare la propria squadra, entrambi sono stati costretti a scendere a patti con personaggi discussi, legati alle dittature precedenti e accusati di aver saccheggiato le risorse naturali del Paese. Nello «scontro tra competenza e popolarità» ha comunque vinto la prima, titolava un quotidiano di Monrovia. Tranquilla, la signora Johnson Sirleaf, economista che ha studiato ad Harvard e appoggiata dalla Open Society di George Soros, ha continuato a ripetere: «Non chiamatemi presidente finché non sarà ufficiale». Poi non ha resistito e si è lasciata andare all'entusiasmo.
C'è un posto per Weah nel suo governo?
«Appena i risultati saranno definitivi andrò io stessa a casa sua e gli chiederò di unirsi a noi. Abbiamo bisogno di gente che come lui vuole sinceramente impegnarsi nella ricostruzione di questo Paese martoriato da 14 anni di guerra civile. Lui è giovane, potrà ricandidarsi ancora parecchie volte. Per ora, un po' di esperienza politica gli serve».
Cosa farà Weah?
«Decideremo assieme. Penso a un ministero della gioventù. Se non si aprono scuole e non si danno opportunità di lavoro, i giovani rischiano di essere reclutati da chi vuole tornare alla guerra».
Prima donna presidente di tutta l'Africa. Come si sente?
«Spero che questo serva a riscattare tutte le donne del continente. Molte vivono in condizione di sudditanza. Per me, questa è stata una sfida e voglio mettere chiunque nelle condizioni di vincerla. Sento un po' il peso di questo primato. Se dovessi fallire, potrebbero facilmente sostenere che ho fallito perché sono una donna».
È stato un lungo cammino il suo. Messa in galera dal dittatore Samuel Doe, si è unita alla ribellione di Charles Taylor. Poi, quando ha capito che anche Taylor puntava solo al guadagno personale, l'ha abbandonato.
«In carcere sono stata anche torturata, non fisicamente ma psicologicamente. Facevano finta di ammazzarmi. Una volta mi hanno messo in una stanza con dieci persone. È entrato un soldato e ha ucciso gli altri, uno per uno. Arrivato a me si è fermato. È stato terribile».
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