Da Corriere della Sera del 15/11/2005

«Ma a Los Angeles finì con duecento morti»

Breton: «La condizione delle nostre periferie resta migliore che in molti altri Paesi»

di Massimo Nava

PARIGI - Mentre «Parigi brucia», secondo le televisioni di tutto il mondo, Bernadette Chirac non rinuncia a passeggiare, da sola, in centro. Non si sa se la first lady l’abbia fatto di proposito, ma questo è il messaggio tranquillizzante della Francia preoccupata per l’immagine all’estero. Mai come in questi giorni, ci sono ministri prodighi di incontri con corrispondenti esteri, mentre gli ambasciatori sono invitati a spiegare che i problemi d'integrazione, come dice il ministro degli Esteri, Philippe Douste-Blazy, «non sono una specificità del Paese». Di specifico, la Francia ha invece un modello sociale che ha garantito condizioni di vita migliori che altrove.

Il governo è preoccupato per il turismo e gli investimenti stranieri. E la campagna di «pubbliche relazioni» è ricominciata, come ai tempi della guerra irachena, dopo le polemiche con gli Stati Uniti, o come in seguito alla legge sul velo islamico che irritò il mondo musulmano. Il ministro dell’Economia, Thierry Breton, non risparmia ironia per le «corrispondenze di guerra» dalle banlieues. «La Francia - dice - non è quella presentata da alcuni network. La condizione delle periferie francesi è migliore di quella di molti altri Paesi dell’Occidente. Mi trovavo a Los Angeles durante la rivolta di qualche anno fa. Ci furono duecento morti, saccheggi, violenze. Si tratta di problemi che devono essere trattati più in profondità».

Il dramma di questi giorni e i ritardi accumulati nell’integrazione di immigrati di seconda e terza generazione non vengono sminuiti, ma secondo Breton riflettono una «frattura» di ordine economico più che sociale o culturale: «Il nostro governo è impegnato a favorire iniziative economiche e commerciali nelle periferie». Il ministro ricorda le cosiddette «zone franche», 85 periferie (presto portate a cento) in cui si attirano attività imprenditoriali attraverso sgravi fiscali e incentivi. «In questo modo - spiega - sono stati creati 45 mila posti di lavoro, 30 mila dei quali per residenti nelle periferie».

Quanto alle ripercussioni della crisi sull’economia (come scrivono le più importanti testate economiche anglosassoni), Thierry Breton snocciola le cifre sulla crescita (attorno al 2 per cento), la ripresa dei consumi, il buon andamento delle esportazioni, il risanamento del deficit pubblico e il rispetto del Patto di stabilità europeo. «La Francia è il primo Paese europeo per investimenti stranieri, raddoppiati rispetto all'anno precedente». Il fatto che la Francia sia oggi l'unico Paese europeo in stato d'emergenza non giustifica secondo Jean François Cope, portavoce del governo e ministro del budget, le immagini «caricaturali» del genere «guerra civile sotto la torre Eiffel».

Nei prossimi giorni, sarà il primo ministro Dominique de Villepin a ricevere i corrispondenti stranieri. L'unico che continua a parlare soltanto alla stampa francese è Nicolas Sarkozy, il ministro degli Interni che tutti vorrebbero intervistare. In fondo, se la «Francia è in fiamme» (pardon, surriscaldata) è lui che ha incendiato gli animi, quando ha detto di voler ripulire le periferie dalla «teppaglia». Quanto all'immagine del Paese, Sarkozy è il peggiore ambasciatore: è lui a ripetere ai quattro venti che il modello non funziona e che soltanto lui potrà cambiarlo. Prendendo il posto di Chirac.

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