Da La Repubblica del 18/11/2005
Sotto accusa il giornalista del Watergate per aver coperto un'altra fonte della Casa Bianca coinvolta nello scandalo
Il Ciagate travolge anche Bob Woodward
di Carlo Bonini
C'era una volta Bob Woodward e c'era una volta la Casa Bianca di George W. Bush. In un solo giorno, a Washington, si consuma la némesi del reporter del Watergate, della più celebrata icona della storia del giornalismo americano, e si ripropone l'incubo che assedia l'Amministrazione: il "Niger-gate", o "Cia gate", che dir si voglia.
Apparso all'improvviso, Woodward depone due giorni fa nell'inchiesta del procuratore speciale Patrick Fitzgerald su autori e mandanti della vendetta trasversale consumata dalla Casa Bianca su chi (l'ex ambasciatore Joseph Wilson) aveva osato smontare la patacca dell'uranio nigerino venduto a Saddam. Woodward svela di essere stato verosimilmente il primo giornalista di Washington ad apprendere "confidenzialmente", a metà giugno del 2003, da un'alta fonte dell'Amministrazione diversa da Libby, che Valerie Plame, moglie dell'ex ambasciatore Joseph Wilson, era una agente Cia. Di essere dunque stato per oltre due anni il depositario silenzioso della notizia che doveva punire Wilson e che ora tiene in scacco la Casa Bianca.
Woodward giustifica il suo "ritardo" di oltre due anni nel deporre sostenendo di «aver avuto paura di un possibile ordine di testimoniare pena la carcerazione» di Fitzgerald, simile a quello toccato alla Miller e a Mattew Cooper di Time per spingerli a rivelare il nome della loro fonte (Libby). Ammette di aver taciuto il suo coinvolgimento nella vicenda con il direttore del Washington Post e se ne scusa pubblicamente. Spiega di essere stato liberato dal segreto solo dopo che la fonte delle sue informazioni sulla Plame ha deciso di testimoniare. Riconosce di aver provato, nel 2003, a far scrivere, senza successo, la confidenza sulla Plame a un eccellente cronista del Post, Walter Pincus, pregandolo di «tenerlo fuori dalla storia» (Pincus, interpellato, osserva che nei ricordi di Woodward «deve esserci qualche confusione»).
La deposizione di Woodward non modifica di un millimetro il guaio in cui è finito Libby, perché l'ex capo di gabinetto deve rispondere per aver mentito al Grand Jury e averne ostacolato l'accertamento della verità. Ma, al contrario, trascina nella polvere lo stesso Woodward e un'altra fonte "senior" della Casa Bianca. Chi sia questo mister X è la domanda che eccita in queste ore la caccia frenetica della stampa americana. Bush, il suo capo di gabinetto Andrew Card, come anche Colin Powell, l'ex direttore della Cia George Tenet e il suo vice di allora John McLaughlin hanno spiegato di non essere stati loro. Un "no comment" è arrivato dall'ufficio di Cheney, mentre, nella serata italiana, continuavano a tacere il consigliere per la sicurezza nazionale Stephen Hadley e l'attuale segretario di Stato Condoleezza Rice.
Intanto la stampa americana celebra il "funerale" professionale di Bob Woodward. In questi due anni, in tv, aveva definito l'inchiesta di Fitzgerald «un risibile incidente» e il suo procuratore speciale «una disgrazia», un «cane cerca-rifiuti». Tacendo a tutti un dettaglio decisivo: che di quell'inchiesta lui, Woodward, custodiva un segreto importante e ne proteggeva con il suo silenzio la fonte. Senza eccezioni, dunque, dal Los Angeles Times, al New York Times, allo stesso Washington Post si saluta ora «un mito del giornalismo che si sgonfia». Nelle redazioni, come nelle università dove si insegna giornalismo. «L'uomo che aveva affondato la Casa Bianca è diventato uno stenografo della Casa Bianca», dice Erich Boehlert, autore di un libro in uscita sui rapporti tra Amministrazione e media.
Apparso all'improvviso, Woodward depone due giorni fa nell'inchiesta del procuratore speciale Patrick Fitzgerald su autori e mandanti della vendetta trasversale consumata dalla Casa Bianca su chi (l'ex ambasciatore Joseph Wilson) aveva osato smontare la patacca dell'uranio nigerino venduto a Saddam. Woodward svela di essere stato verosimilmente il primo giornalista di Washington ad apprendere "confidenzialmente", a metà giugno del 2003, da un'alta fonte dell'Amministrazione diversa da Libby, che Valerie Plame, moglie dell'ex ambasciatore Joseph Wilson, era una agente Cia. Di essere dunque stato per oltre due anni il depositario silenzioso della notizia che doveva punire Wilson e che ora tiene in scacco la Casa Bianca.
Woodward giustifica il suo "ritardo" di oltre due anni nel deporre sostenendo di «aver avuto paura di un possibile ordine di testimoniare pena la carcerazione» di Fitzgerald, simile a quello toccato alla Miller e a Mattew Cooper di Time per spingerli a rivelare il nome della loro fonte (Libby). Ammette di aver taciuto il suo coinvolgimento nella vicenda con il direttore del Washington Post e se ne scusa pubblicamente. Spiega di essere stato liberato dal segreto solo dopo che la fonte delle sue informazioni sulla Plame ha deciso di testimoniare. Riconosce di aver provato, nel 2003, a far scrivere, senza successo, la confidenza sulla Plame a un eccellente cronista del Post, Walter Pincus, pregandolo di «tenerlo fuori dalla storia» (Pincus, interpellato, osserva che nei ricordi di Woodward «deve esserci qualche confusione»).
La deposizione di Woodward non modifica di un millimetro il guaio in cui è finito Libby, perché l'ex capo di gabinetto deve rispondere per aver mentito al Grand Jury e averne ostacolato l'accertamento della verità. Ma, al contrario, trascina nella polvere lo stesso Woodward e un'altra fonte "senior" della Casa Bianca. Chi sia questo mister X è la domanda che eccita in queste ore la caccia frenetica della stampa americana. Bush, il suo capo di gabinetto Andrew Card, come anche Colin Powell, l'ex direttore della Cia George Tenet e il suo vice di allora John McLaughlin hanno spiegato di non essere stati loro. Un "no comment" è arrivato dall'ufficio di Cheney, mentre, nella serata italiana, continuavano a tacere il consigliere per la sicurezza nazionale Stephen Hadley e l'attuale segretario di Stato Condoleezza Rice.
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