Da La Repubblica del 22/11/2005
Le città dell'integrazione possibile
di Ilvo Diamanti
L'immigrazione è uno specchio. Nel quale si riflettono le nostre paure, i nostri pregiudizi, i nostri problemi. Più ancora e prima ancora della realtà reale. Così, scorrendo i dati dell'indagine sulle opinioni dei cittadini europei nei confronti degli immigrati (curata dalla Fondazione Nord Est e dal laPolis dell'Università di Urbino; e condotta da Pragma), le sorprese superano le attese.
Può sorprendere, ad esempio, che il timore degli immigrati, nei paesi della nuova Europa: Ungheria, Repubblica ceca e (un po' meno) Polonia, coinvolga una componente sociale quasi doppia rispetto a Germania, Francia e Italia. Anche se, nella "vecchia Europa", il tasso di immigrazione è molto più basso. Proprio "loro" - i polacchi, i cechi e gli altri cittadini dell'Europa centro-orientale. Oggi europei, come noi. Ma ieri extracomunitari. Lanciano un sguardo diffidente agli "extracomunitari" di oggi (primi fra tutti i turchi, i russi, gli albanesi…).
E sorprende, non poco, che la Francia, illuminata dal rogo delle auto nelle banlieu metropolitane, risulti il paese dove l'immigrazione preoccupa di meno. Che la regione di Parigi, l'epicentro della rivolta, sia l'area più tollerante e più aperta verso l'immigrazione.
Ma sorprende anche la generosa disponibilità a concedere agli stranieri - in regola con le leggi e con il fisco - i diritti di cittadinanza. Espressa nei paesi della "vecchia Europa". In Italia, soprattutto, dove sette persone su dieci si dicono disponibili a riconoscere loro il diritto di voto alle amministrative, sei su dieci anche alle politiche, mentre addirittura nove su dieci sono d'accordo nel concedere agli stranieri l'accesso al sistema di protezione e assistenza sociale.
Ancora: è convinzione, diffusa, che l'immigrazione sia un "problema metropolitano". Ma l'evidenza empirica dimostra che gli immigrati suscitano inquietudine soprattutto nelle località più piccole e periferiche. Dove, in effetti, sono molto meno numerosi.
Paradossi apparenti. Servono a rammentarci, una volta di più, che fra percezione e realtà c'è, spesso, dissociazione, opposizione. Soprattutto quando entrano in gioco entità, come lo "straniero", che evocano (ri) sentimenti profondi. Mossi, spesso, non dalla ragione o dall'esperienza. Ma da emozioni. Maturate nel mondo sociale e di relazioni delle persone. Sollecitate da altri fattori: politici, istituzionali, mediatici. Esterni al fenomeno dell'immigrazione.
Così, la rivolta delle banlieu parigine: più che dall'immigrazione, è originata dal malessere dei figli e dei nipoti degli immigrati. "Francesi", a pieno titolo. E per questo frustrati. Perché, al di là delle promesse, si sentono, ed effettivamente sono, marginali. Sul mercato del lavoro. Nella gerarchia e nella mobilità sociale. Esclusi, dalle stanze del potere economico, professionale e culturale. Nasce, inoltre, dal disagio prodotto da periferie urbane degradate. Che, in contrasto con il progetto di assimilazione, hanno prodotto segregazione: comunità a elevata concentrazione etnica. Da ciò un paradosso. L'atteggiamento positivo verso gli immigrati, figlio dell'ideologia dell'integrazione, ha impedito di vedere in tempo il risentimento che covava, nelle periferie.
Le paure che investono l'immigrazione: riflettono le "questioni" nazionali. Il lavoro, nei paesi della nuova Europa e in Germania (nei Laender dell'ex Ddr). L'insicurezza sociale, in Italia. Particolarmente elevata nelle regioni del Nord Est. "Spaventate" dall'apertura al mondo, dal cambiamento di paesaggio sociale. D'altronde, l'inquietudine cresce, sensibilmente, fra le persone escluse dalle reti sociali, dai luoghi dell'impegno. Nelle piccole località isolate. Ma anche nelle periferie urbane. Un sentimento che riflette la solitudine dei cittadini globali nelle aree locali.
Infine, la paura degli stranieri. Cresce, fra gli euroscettici. E fra gli elettori di destra, oltre che fra i disincantati. In Italia, questi aspetti contano. Più che negli altri paesi. Ciò suggerisce che l'immigrazione rifletta, almeno in parte, ragioni politiche.
Ma l'immigrazione è un fenomeno importante. Troppo importante. Per il nostro presente. Per il nostro futuro. È rischioso guardarlo attraverso immagini fallaci, proiettate da imprenditori politici, che, invece di attenuare le nostre paure, le riproducono e le moltiplicano. Ad arte.
Può sorprendere, ad esempio, che il timore degli immigrati, nei paesi della nuova Europa: Ungheria, Repubblica ceca e (un po' meno) Polonia, coinvolga una componente sociale quasi doppia rispetto a Germania, Francia e Italia. Anche se, nella "vecchia Europa", il tasso di immigrazione è molto più basso. Proprio "loro" - i polacchi, i cechi e gli altri cittadini dell'Europa centro-orientale. Oggi europei, come noi. Ma ieri extracomunitari. Lanciano un sguardo diffidente agli "extracomunitari" di oggi (primi fra tutti i turchi, i russi, gli albanesi…).
E sorprende, non poco, che la Francia, illuminata dal rogo delle auto nelle banlieu metropolitane, risulti il paese dove l'immigrazione preoccupa di meno. Che la regione di Parigi, l'epicentro della rivolta, sia l'area più tollerante e più aperta verso l'immigrazione.
Ma sorprende anche la generosa disponibilità a concedere agli stranieri - in regola con le leggi e con il fisco - i diritti di cittadinanza. Espressa nei paesi della "vecchia Europa". In Italia, soprattutto, dove sette persone su dieci si dicono disponibili a riconoscere loro il diritto di voto alle amministrative, sei su dieci anche alle politiche, mentre addirittura nove su dieci sono d'accordo nel concedere agli stranieri l'accesso al sistema di protezione e assistenza sociale.
Ancora: è convinzione, diffusa, che l'immigrazione sia un "problema metropolitano". Ma l'evidenza empirica dimostra che gli immigrati suscitano inquietudine soprattutto nelle località più piccole e periferiche. Dove, in effetti, sono molto meno numerosi.
Paradossi apparenti. Servono a rammentarci, una volta di più, che fra percezione e realtà c'è, spesso, dissociazione, opposizione. Soprattutto quando entrano in gioco entità, come lo "straniero", che evocano (ri) sentimenti profondi. Mossi, spesso, non dalla ragione o dall'esperienza. Ma da emozioni. Maturate nel mondo sociale e di relazioni delle persone. Sollecitate da altri fattori: politici, istituzionali, mediatici. Esterni al fenomeno dell'immigrazione.
Così, la rivolta delle banlieu parigine: più che dall'immigrazione, è originata dal malessere dei figli e dei nipoti degli immigrati. "Francesi", a pieno titolo. E per questo frustrati. Perché, al di là delle promesse, si sentono, ed effettivamente sono, marginali. Sul mercato del lavoro. Nella gerarchia e nella mobilità sociale. Esclusi, dalle stanze del potere economico, professionale e culturale. Nasce, inoltre, dal disagio prodotto da periferie urbane degradate. Che, in contrasto con il progetto di assimilazione, hanno prodotto segregazione: comunità a elevata concentrazione etnica. Da ciò un paradosso. L'atteggiamento positivo verso gli immigrati, figlio dell'ideologia dell'integrazione, ha impedito di vedere in tempo il risentimento che covava, nelle periferie.
Le paure che investono l'immigrazione: riflettono le "questioni" nazionali. Il lavoro, nei paesi della nuova Europa e in Germania (nei Laender dell'ex Ddr). L'insicurezza sociale, in Italia. Particolarmente elevata nelle regioni del Nord Est. "Spaventate" dall'apertura al mondo, dal cambiamento di paesaggio sociale. D'altronde, l'inquietudine cresce, sensibilmente, fra le persone escluse dalle reti sociali, dai luoghi dell'impegno. Nelle piccole località isolate. Ma anche nelle periferie urbane. Un sentimento che riflette la solitudine dei cittadini globali nelle aree locali.
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