Da La Repubblica del 27/11/2005

Domani comincia a Montreal il summit sul clima. Si prevede un forte schieramento a favore di misure più elastiche

Gas serra, è guerra sui nuovi limiti

L'allargamento di Kyoto a rischio: l'incognita sono Cina e India

di Antonio Cianciullo

I disastri climatici crescono, i governi in prima linea contro il riscaldamento globale diminuiscono. È questa la contraddizione che, a partire da domani, dovranno affrontare i 10 mila delegati che rappresentano 189 governi riuniti a Montreal per il summit sul clima. È l'undicesima conferenza dei paesi che aderiscono alla Convenzione sui cambiamenti climatici e la prima dal momento in cui il protocollo di Kyoto, l'accordo vincolante per la riduzione dei gas serra che minacciano la stabilità del clima, è stato ratificato ed è entrato ufficialmente in vigore.

Nonostante il muro opposto dagli Stati Uniti dopo l'elezione di Bush, l'intesa che premia le industrie innovative e penalizza quelle inquinanti ha ottenuto infatti il via libera definitivo da 156 paesi. A questo punto, in base al testo degli accordi firmati in Giappone nel 1997, si dovranno definire le sanzioni a carico dei governi che violano gli impegni di riduzione delle emissioni inquinanti. Si dovrà cioè costruire un sistema vincolante analogo a quello del Wto, l'organizzazione a difesa della libertà di commercio che ha saputo imporre un meccanismo di dissuasione economica in grado di penalizzare chi ignora le regole.

Questa parte del percorso, anche se la quantità complessiva di emissioni inquinanti continua a crescere, ha rappresentato una vittoria diplomatica dell'Unione europea, l'unico blocco economico che si è realmente impegnato nella battaglia a difesa del clima. Lo prova la decisione di molte multinazionali (dalla General Motor alla Dupont) di stare nella partita Kyoto per evitare di essere tagliate fuori dagli scambi internazionali e dalla corsa verso l'innovazione tecnologica.

Ma il cammino che i delegati si troveranno di fronte per iniziare il dibattito sulla seconda fase degli accordi, il dopo 2012, appare in salita. La recente apertura di Blair alle posizioni della Casa Bianca, sponsor del passaggio dagli accordi vincolanti agli obiettivi volontari, ha introdotto una divisione nel fronte europeo già indebolito dallo stallo politico che rallenta il passo della Germania. Inoltre da Cina e India, le due grandi potenze chiamate in causa nella seconda fase del protocollo di Kyoto, non arrivano per il momento segnali di adesione a obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni serra.

È possibile dunque che a Montreal si saldi un fronte ampio - dagli Stati Uniti all'Australia, dal Giappone alla Cina - determinato a bloccare il processo iniziato a Kyoto. È possibile ma politicamente costoso perché dal mondo scientifico continuano ad arrivare segnali di preoccupazione sempre più chiari. Anche la prudente ed autorevole rivista «Nature», nel numero che esce in contemporanea all'apertura della conferenza di Montreal, scrive: «Se leader europei del peso di Blair smettono di insistere sui target come parte di Kyoto 2, c'è il rischio che l'intero processo perda significato».

Intanto la cronaca dei disastri climatici marcia in sintonia con questo allarme. Il 2005 è stato funestato da un numero record di uragani. E si è scoperto che durante l'estate del 2003, costata all'Europa 35 mila morti, i boschi e le foreste del vecchio continente, anziché assorbire anidride carbonica come da manuale, hanno subito un collasso tale da trasformarli in un'ulteriore fonte di gas serra. Così, nonostante gli obiettivi di riduzione indicati a Kyoto, le emissioni dei gas che alterano il clima sono oggi del 20 per cento superiori a quelle del 1990, mentre dovrebbero essere tagliate almeno del 60 per cento. In queste condizioni di estrema precarietà degli ecosistemi necessari alla sopravvivenza dell'umanità, i governi si assumeranno la responsabilità di annullare gli scarsi impegni in difesa dell'atmosfera?

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