Da La Repubblica del 29/11/2005
Il paese diviso dopo l'esito della consultazione. Colture biotech bloccate per i prossimi cinque anni. Le imprese: ha votato solo una minoranza
Ogm, dopo il no in Svizzera è guerra
La protesta di industria e ricerca: un passo indietro. Soddisfatti gli agricoltori
Paolo Fioravanti, leader della confindustria ticinese: "Si frenano studi di alto livello, è un sogno folle resuscitare un paese bucolico"
L'oncologo Franco Cavalli "Questo risultato è uno schiaffo contro le multinazionali" Ma gli esperimenti continueranno
di Roberto Bianchin
BERNA - L'orto di Frankenstein ha chiuso. L'orto delle patate che restano gialle anche dopo sbucciate, e dei pomodori che resistono al gelo perché hanno i geni dei pesci artici, non lo coltiverà più nessuno in Svizzera. Almeno per i prossimi cinque anni. Se la ride Philippe, un contadinone dalla barba rossa che ingrassa ancora la sua terra col concime più naturale che esista. «Siamo il primo paese Ogm-free - dice fiero, usando l'unica parola in inglese che conosce - dovrebbero scriverlo sui cartelli alle frontiere». Scuote la testa, invece, il ministro dell'economia Joseph Deiss: «Il mondo agricolo non può continuare a utilizzare i metodi del secolo scorso, ma deve stare al passo coi tempi e modernizzarsi, utilizzando le nuove tecnologie». Si divide, la Svizzera, nel primo giorno vietato agli organismi geneticamente modificati, dopo il referendum che ha imposto la moratoria agli Ogm in agricoltura con il 55,7% dei voti e la maggioranza in tutti i ventisei cantoni.
Effetto dell'alleanza fra contadini e consumatori, preoccupati per i possibili danni alla salute, supportati dai movimenti ecologisti e dai partiti di sinistra: un cartello di 23 organizzazioni. Contrari il governo, i partiti di centro e di destra, le aziende, le università e il mondo della ricerca. Gli agricoltori esultano perché sperano di ricavarsi un «mercato di nicchia» con prodotti senza Ogm. Già adesso quelli biologici sono richiestissimi, e danno un fatturato in continua crescita, di 1,2 miliardi di franchi l'anno. I consumatori, «choccati dalla mucca pazza e dai polli alla diossina», dice Mario Jaggli, presidente dell'associazione, si sentono più sicuri con prodotti senza Ogm, e hanno voluto dare «un segnale» al governo anche sulle trattative in corso con gli Stati Uniti che vorrebbero esportare qui i loro prodotti geneticamente modificati.
La moratoria, spinta dalla «paura irrazionale» della gente, è invece «superflua e ingannevole, un passo indietro», per il mondo scientifico, dei ricercatori e delle aziende chimiche. E non solo perché, come dice Klaus Amman, direttore del giardino botanico dell'università di Berna, «l'ingegneria genetica permetterebbe di trovare soluzioni alla fame nel mondo in pochi anni». Ma perché, come teme la «Società delle industrie chimiche», potrebbe portare a una «fuga di cervelli» e alla perdita della posizione di preminenza del paese nel campo delle biotecnologie. «Questo voto, peraltro di un'esigua minoranza, visto che ha votato solo il 42%, è una frenata pericolosa in un paese all'avanguardia nella ricerca, che è al livello di quella degli Usa» dice l'imprenditore farmaceutico Paolo Fioravanti, presidente degli industriali del Ticino e vicepresidente della locale Farmindustria. Secondo Fioravanti, è stato decisivo «l'ibrido connubio tra una classe protetta che vive di sovvenzioni, come quella degli agricoltori, e quei Verdi che hanno come leader il presidente dello Zambia, che preferisce far morire di fame la sua gente piuttosto di accettare i semi di Ogm». E questo «integralismo talebano» porterà un clima «ostile, di sfiducia verso la ricerca», che rischia di estendersi anche in altri settori strategici e di «ridar vita al folle sogno di una Svizzera alpestre e bucolica, demonizzando ogni progresso tecnologico».
Di qui, secondo l'imprenditore, il rischio che i giovani abbandonino la ricerca «in quanto divenuta politicamente scorretta e non più appetibile», e che i migliori cervelli emigrino «verso quei paesi dove la ricerca si fa». E se gli svizzeri se ne andranno, dice, «speriamo che arrivino gli stranieri, e penso soprattutto ai cinesi».
«Io non credo che cambierà molto per la ricerca, diminuirà casomai quella legata all'agro-business, perché vi sarà un minor interesse a svolgere ricerche in Svizzera da parte delle aziende chimiche che si occupano di agricoltura» spiega Franco Cavalli, direttore dell'Istituto oncologico della Svizzera italiana. Il professore, insignito da Umberto Veronesi col Premio Montaigne 2005, e che è anche deputato socialista, ritiene piuttosto che il risultato del referendum, «frutto della grande diffidenza esistente verso questi prodotti», sia stato più che un voto contro la scienza, «uno schiaffo verso il mondo delle multinazioni, che attraverso una forte propaganda da parte di influenti circoli economici ha tentato di bocciare l'iniziativa».
Ma non tutti i ricercatori si sono mobilitati contro lo stop agli Ogm. Al Politecnico di Zurigo, sceso in campo con tutte le sue forze, ce n'è uno, il docente di patologia vegetale Cesare Glesser, che si è messo di traverso al presidente del suo stesso istituto, sostenendo che la moratoria «non è un segnale contro l'ingegneria genetica», ma «una necessità per valutare se i rischi siano fantomatici o reali». Secondo Glesser «la tecnologia a disposizione del ricercatore è ancora molto primitiva, le incognite sono ancora molte e i dubbi pure». Non solo. La conflittualità della convivenza tra le colture non Ogm e quelle Ogm «non è risolta, e il mais transgenico che resiste agli erbicidi ne è l'esempio, perché il suo polline è in grado di contaminare le colture vicine». Ma il ministro Deiss, pure sconfitto, non demorde. E spiega che durante i cinque anni della moratoria potranno comunque «venir depositate domande e compiuti esperimenti in laboratorio».
Inoltre, dice, le importazioni di foraggi geneticamente modificati continueranno ad essere autorizzate «dal momento che il referendum non li vieta espressamente». Anche nei prossimi cinque anni, promette il ministro, «la Svizzera continuerà ad essere aperta alla ricerca sugli Ogm». In attesa che Frankenstein riapra il suo orto.
Effetto dell'alleanza fra contadini e consumatori, preoccupati per i possibili danni alla salute, supportati dai movimenti ecologisti e dai partiti di sinistra: un cartello di 23 organizzazioni. Contrari il governo, i partiti di centro e di destra, le aziende, le università e il mondo della ricerca. Gli agricoltori esultano perché sperano di ricavarsi un «mercato di nicchia» con prodotti senza Ogm. Già adesso quelli biologici sono richiestissimi, e danno un fatturato in continua crescita, di 1,2 miliardi di franchi l'anno. I consumatori, «choccati dalla mucca pazza e dai polli alla diossina», dice Mario Jaggli, presidente dell'associazione, si sentono più sicuri con prodotti senza Ogm, e hanno voluto dare «un segnale» al governo anche sulle trattative in corso con gli Stati Uniti che vorrebbero esportare qui i loro prodotti geneticamente modificati.
La moratoria, spinta dalla «paura irrazionale» della gente, è invece «superflua e ingannevole, un passo indietro», per il mondo scientifico, dei ricercatori e delle aziende chimiche. E non solo perché, come dice Klaus Amman, direttore del giardino botanico dell'università di Berna, «l'ingegneria genetica permetterebbe di trovare soluzioni alla fame nel mondo in pochi anni». Ma perché, come teme la «Società delle industrie chimiche», potrebbe portare a una «fuga di cervelli» e alla perdita della posizione di preminenza del paese nel campo delle biotecnologie. «Questo voto, peraltro di un'esigua minoranza, visto che ha votato solo il 42%, è una frenata pericolosa in un paese all'avanguardia nella ricerca, che è al livello di quella degli Usa» dice l'imprenditore farmaceutico Paolo Fioravanti, presidente degli industriali del Ticino e vicepresidente della locale Farmindustria. Secondo Fioravanti, è stato decisivo «l'ibrido connubio tra una classe protetta che vive di sovvenzioni, come quella degli agricoltori, e quei Verdi che hanno come leader il presidente dello Zambia, che preferisce far morire di fame la sua gente piuttosto di accettare i semi di Ogm». E questo «integralismo talebano» porterà un clima «ostile, di sfiducia verso la ricerca», che rischia di estendersi anche in altri settori strategici e di «ridar vita al folle sogno di una Svizzera alpestre e bucolica, demonizzando ogni progresso tecnologico».
Di qui, secondo l'imprenditore, il rischio che i giovani abbandonino la ricerca «in quanto divenuta politicamente scorretta e non più appetibile», e che i migliori cervelli emigrino «verso quei paesi dove la ricerca si fa». E se gli svizzeri se ne andranno, dice, «speriamo che arrivino gli stranieri, e penso soprattutto ai cinesi».
«Io non credo che cambierà molto per la ricerca, diminuirà casomai quella legata all'agro-business, perché vi sarà un minor interesse a svolgere ricerche in Svizzera da parte delle aziende chimiche che si occupano di agricoltura» spiega Franco Cavalli, direttore dell'Istituto oncologico della Svizzera italiana. Il professore, insignito da Umberto Veronesi col Premio Montaigne 2005, e che è anche deputato socialista, ritiene piuttosto che il risultato del referendum, «frutto della grande diffidenza esistente verso questi prodotti», sia stato più che un voto contro la scienza, «uno schiaffo verso il mondo delle multinazioni, che attraverso una forte propaganda da parte di influenti circoli economici ha tentato di bocciare l'iniziativa».
Ma non tutti i ricercatori si sono mobilitati contro lo stop agli Ogm. Al Politecnico di Zurigo, sceso in campo con tutte le sue forze, ce n'è uno, il docente di patologia vegetale Cesare Glesser, che si è messo di traverso al presidente del suo stesso istituto, sostenendo che la moratoria «non è un segnale contro l'ingegneria genetica», ma «una necessità per valutare se i rischi siano fantomatici o reali». Secondo Glesser «la tecnologia a disposizione del ricercatore è ancora molto primitiva, le incognite sono ancora molte e i dubbi pure». Non solo. La conflittualità della convivenza tra le colture non Ogm e quelle Ogm «non è risolta, e il mais transgenico che resiste agli erbicidi ne è l'esempio, perché il suo polline è in grado di contaminare le colture vicine». Ma il ministro Deiss, pure sconfitto, non demorde. E spiega che durante i cinque anni della moratoria potranno comunque «venir depositate domande e compiuti esperimenti in laboratorio».
Inoltre, dice, le importazioni di foraggi geneticamente modificati continueranno ad essere autorizzate «dal momento che il referendum non li vieta espressamente». Anche nei prossimi cinque anni, promette il ministro, «la Svizzera continuerà ad essere aperta alla ricerca sugli Ogm». In attesa che Frankenstein riapra il suo orto.
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Editori Riuniti, 2004
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