Da La Stampa del 22/10/2006
Originale su http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200610articoli/12...

Carcere duro, il Grand Hotel della mafia

I boss dietro le sbarre: da Buscetta a Mutolo

di Francesco Licata

L’episodio più recente risale al 19 ottobre, giovedì scorso. Letteria Rossano, moglie del boss Giacomo Sparta (famiglia di Messina Sud), è stata arrestata con l’accusa di essersi trasformata in «cinghia di collegamento» tra il marito, detenuto al 41 bis, e gli uomini della cosca rimasti liberi a presidiare il territorio. Come dire che il carcere duro non impedisce al «capo» di continuare a gestire il comando, anche da dietro le sbarre. La notizia ha fatto registrare reazioni «sbalordite», ma non è certo la prima volta che ci si imbatte nella cronica disfunzione del sistema che dovrebbe impedire ai mafiosi di continuare a comandare dal carcere. Certo, non siamo agli «eccessi» degli anni passati, dei tempi belli del «Grand Hotel Ucciardone» quando don Masino Buscetta, allora mafioso lontano dal pentimento, otteneva che il matrimonio della figlia si svolgesse nella cappella del penitenziario, con elegantissimi testimoni ed invitati. Ed è un lontano ricordo la festa di compleanno in onore di Catalano. La grande tavola fu imbastita nella sala della palestra, gentilmente concessa dalla direzione. Il pranzo arrivò dal migliore ristorante di Palermo, l’unico che potesse garantire quella quantità di aragoste. Ma c’era un problema: in carcere non è consentito pasteggiare a champagne. Allora qualcuno si inventò di far entrare le «bollicine» mimetizzate in contenitori di olio d’oliva.


AL CINEMA SULLA PAROLA

No, nessun detenuto oggi otterrebbe di potere andare al cinema sulla «parola d’onore» che mai e poi avrebbe tentato la fuga. E infatti, racconta la leggenda metropolitana, «tornavano tutti dopo lo spettacolo» accompagnati dall’agente addetto alla «scorta». Oggi non funziona più così. Qualche raccomandato in infermeria c’è sempre, ma non si assiste più allo scandalo della «cupola» che si riunisce nei locali sanitari. E poi, oggi c’è il carcere duro. Anzi, per la verità un po’ meno duro di qualche anno fa. Eppure è accaduto che i fratelli Graviano, i boss del quartiere Brancaccio di Palermo, quelli di Padre Puglisi per intenderci, riuscissero a garantire la continuità della specie mentre stavano al 41 bis e potevano colloquiare con le mogli solo attraverso il vetro. Potenza della tecnologia? Si è parlato di inseminazione artificiale ma senza che si sia mai riusciti a ricostruire come i detenuti abbiano potuto far giungere fuori dal carcere il liquido seminale che, si sa, va conservato con cautele difficilmente compatibili con il regime di detenzione. Se l’avessero deciso oggi, avrebbero potuto chiedere ed ottenere la «regolare» autorizzazione.


BAMBINI E UOMINI D'ONORE

Ma il boss non conosce ostacoli, si sa. Prendiamo ancora Giuseppe Graviano e vediamo come governava la propria «azienda» da una cella del carcere di Rebibbia. Semplicemente con le lettere affidate ad improvvisati «postini»: mogli, parenti, avvocati e persino bambini che venivano «imbottiti» di «pizzini». E’ istruttiva la lettura dei messaggi. Si apprende che gli uomini d’onore sono regolarmente stipendiati. Anzi, il capo chiede conto e ragione dei cambiamenti: «I carcerati mi chiedono perché gli è stato diminuito il mensile dopo il mio arresto...». Cosa che non va d’accordo col tenore di vita che Graviano tiene in carcere: «solo per me spendo 20 milioni al mese di avvocato, vestiti, libretta e colloqui...».


IL BILANCIO

Ed ecco allora la necessità di mostrarsi generosi: «Ci sono venti carcerati che sono rovinati processualmente e non hanno mezzi economici per affrontare la situazione; l’impegno è di darci dai tre ai quattro appartamenti ciascuno per avere un futuro economico sicuro sia loro che le loro famiglie». Sono alti, i costi dell’«azienda». Ma anche i ricavi (siamo intorno al 1995), stando a quanto scrive il boss: «Quando ero fuori si incassavano 800 milioni annuo effettivi, più da uno a uno e mezzo miliardi extra». E da dove prendere gli appartamenti per i carcerati? «...i costruttori che sono in moto debbono uscire questi appartamenti», poi specifica chi e quanti e...«se qualcuno babbìa (fa il furbo ndr) vi dico io quali sono stati i patti». Non sfugge a nessuno che il boss si riferisce evidentemente ad imprenditori che hanno costruito coi soldi della «Provvidenza». Dall’esterno poi arriva un dettagliato resoconto del bilancio della «famiglia» : «...quando ce lo chiedono diamo i soldi per gli avvocati. Per esempio per il ‘94 quelli documentati sono 66 M (milioni ndr), nel ‘95 sino ad oggi sono 36 M. Ti faccio un quadro della situazione gli stipendi attuali ammontano a 474 M per i carcerati, 156 M X latini (latitanti ndr), 270 M per le persone indispensabili che girano vicino a noi...». Sembra di capire che la mafia sia solita pagare anche i non affiliati che «si mettono a disposizione». Anche il collaboratore Gaspare Mutolo aveva descritto come avviene la comunicazione tra fuori e dentro il carcere. La consultazione interna si svolge nell’ora d’aria, sotto la doccia, in infermeria, durante i colloqui. Poi i messaggi vengono affidati ai «postini». La promiscuità della sala colloqui consente lo «scambio dei familiari», per cui è possibile confondere mittenti e destinatari. Numerosi omicidi sono stati decisi in carcere. Il pentito Giuseppe Marchese, ha riferito il procuratore Piero Grasso, è stato testimone di decisioni prese addirittura dalla Commissione dopo «regolare consultazione» tra i boss detenuti e quelli liberi o latitanti. E Baldo Di Maggio, un altro collaboratore, ha dettodi aver continuato a «prendere ordini» da Riina e da Bernardo Brusca mentre il primo era latitante e l’altro detenuto da tempo.


LE DONNE

Una novità, però, è l’utilizzazione delle donne come «postine». La signora Rossano non è la sola. Si sa di Giusy Vitale, la sorella del capomafia Vito. Ma la più «famosa» è Carmela Iuculano, poi divenuta pentita per amore dei figli. «Io - ha detto ai giudici - praticamente portavo i messaggi da dentro il carcere, da parte di mio marito». Il consorte, Pino Rizzo, l’aveva «iniziata» durante una perquisizione, chiedendole di nascondere i pizzini nelle parti intime. Quando fu arrestato, Carmela divenne «operativa», fino a indicare ai «picciotti» le disposizioni del marito a proposito, per esempio, delle estorsioni. E’ stata lei a far scoprire, attraverso un vi- deo, come durante i colloqui in carcere «ci scambiavamo i posti per far circolare i messaggi».

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