Da La Stampa del 29/12/2003
Osservatorio
Pakistan, il «traditore» Musharraf sotto il tiro degli estremisti
di Aldo Rizzo
La tragedia iraniana del 26 dicembre, dalle dimensioni sempre più grandi, ha fatto passare in secondo piano, nell'attenzione dei media, la strage di Islamabad del 25. È più che comprensibile, visto che i morti nella capitale pachistana erano una piccola frazione dell'ecatombe di Bam e che anche il disastro iraniano ha, o può avere, una sua importante appendice politica. Ma non trascuriamo, nè sottovalutiamo, il significato e le possibili conseguenze dell'attentato sanguinoso al corteo presidenziale di Musharraf, il secondo in undici giorni, e più in generale dell'attività terroristica in Pakistan, nella cui area di confine (impervia e praticamente inaccessibile) con l'Afghanistan dovrebbe verosimilmente collocarsi il «nido delle aquile» di Osama bin Laden, il superstite grande nemico dell'America e dell'Occidente dopo la cattura di Saddam Hussein. E chi, se non Osama e la sua Al Qaeda possono avere organizzato questi attentati a ripetizione? Il loro obiettivo, con Musharraf, è il semidemocratico e semilaico regime di Islamabad. E forse, politicamente, strategicamente, è l'obiettivo massimo, fra i tanti che persegue l'«internazionale del terrore». Vediamo perché.
Il generale Pervez Musharraf non è uno stinco di santo, conquistò il potere con un colpo di Stato quattro anni fa, poi in qualche misura legittimato da un'elezione presidenziale. Era anche, o era costretto ad essere, il protettore esterno del regime afghano dei taleban, anfitrioni ideologici e logistici di Al Qaeda. Ma, dopo l'11 settembre, di fronte all'irresistibile pressione dell'America di Bush, e fors'anche cedendo a una sua inespressa convinzione interna, abbandonò i taleban all'attacco americano, che li distrusse come regime. Da allora, per l'estremismo e il terrorismo islamico, egli fu un traditore. E la condanna non restò senza echi all'interno stesso del Pakistan, tra quei servizi segreti e quelle frange delle forze armate abituati da tempo a trescare con il terrorismo, essendo anche animati da un forte nazionalisno anti-indiano, per la storica contesa sul Kashmir. E siccome Musharraf, dopo aver dato via libera all'America nella guerra afghana, ha anche acconsentito a un disgelo con l'India, nel contempo mostrando interesse per il modello turco islamico-laico, si è creata contro di lui una miscela esplosiva di nemici esterni e interni, in buona misura collegati tra loro. A questo punto, e facendo gli scongiuri per lui, non so se e quanto i Lloyd di Londra assicurerebbero la sua vita, comunque gli imporrebbero, come garanzia, di non uscire più in corteo dal palazzo presidenziale... Musharraf sta cercando un compromesso con l'opposizione (militare) interna, promettendo che lascerà tra un anno il ruolo di comandante in capo delle forze armate. Magari spera di epurarle nel frattempo degli uomini a lui più ostili. Operazione estremamente difficile, che, se non riuscirà, lo lascerà definitivamente solo e indifeso.
Tutto questo discorso è aggravato da un fatto fondamentale, che il Pakistan (soprattutto a ragione della sua rivalità con l'India, nell'ambito di quell'ex impero britannico di cui i due grandi paesi facevano parte, prima di scindersi drammaticamente) è diventato anch'esso una potenza nucleare. E qui sta il pericolo più grosso, non solo per Musharraf e per il Pakistan, ma per il mondo intero. Infatti, se ci fosse un cambio di regime a Islamabad e il complesso militar-terroristico prendesse il potere, ecco che la famosa «bomba di Allah», estremo strumento di ricatto contro il resto dell'Asia e contro l'Occidente, sogno supremo di fedayin e kamikaze, diventerebbe realtà. E allora che accadrebbe? Chi resterebbe a guardare?
Nel famoso saggio di Samuel Huntington sullo «scontro di civiltà», c'è lo scenario fantastorico di una guerra davvero globale, che comincia seriamente quando l'India vede la possibilità di liquidare una volta per tutte la minaccia pachistana, e però l'attacco provoca una reazione a catena di tutti i paesi islamici, compresa la Turchia, con i quali si allea la Cina, contro America, Europa e Russia. Fantastoria, appunto, ma che dà i brividi. Per intanto, occhio a Islamabad, pensando anche alla sicurezza di New York, Londra, Roma...
Il generale Pervez Musharraf non è uno stinco di santo, conquistò il potere con un colpo di Stato quattro anni fa, poi in qualche misura legittimato da un'elezione presidenziale. Era anche, o era costretto ad essere, il protettore esterno del regime afghano dei taleban, anfitrioni ideologici e logistici di Al Qaeda. Ma, dopo l'11 settembre, di fronte all'irresistibile pressione dell'America di Bush, e fors'anche cedendo a una sua inespressa convinzione interna, abbandonò i taleban all'attacco americano, che li distrusse come regime. Da allora, per l'estremismo e il terrorismo islamico, egli fu un traditore. E la condanna non restò senza echi all'interno stesso del Pakistan, tra quei servizi segreti e quelle frange delle forze armate abituati da tempo a trescare con il terrorismo, essendo anche animati da un forte nazionalisno anti-indiano, per la storica contesa sul Kashmir. E siccome Musharraf, dopo aver dato via libera all'America nella guerra afghana, ha anche acconsentito a un disgelo con l'India, nel contempo mostrando interesse per il modello turco islamico-laico, si è creata contro di lui una miscela esplosiva di nemici esterni e interni, in buona misura collegati tra loro. A questo punto, e facendo gli scongiuri per lui, non so se e quanto i Lloyd di Londra assicurerebbero la sua vita, comunque gli imporrebbero, come garanzia, di non uscire più in corteo dal palazzo presidenziale... Musharraf sta cercando un compromesso con l'opposizione (militare) interna, promettendo che lascerà tra un anno il ruolo di comandante in capo delle forze armate. Magari spera di epurarle nel frattempo degli uomini a lui più ostili. Operazione estremamente difficile, che, se non riuscirà, lo lascerà definitivamente solo e indifeso.
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