Da La Repubblica del 23/03/2004
Originale su http://www.repubblica.it/2004/c/sezioni/esteri/moriente6/contorovescia...

Il commento

Il conto alla rovescia del terrore

di Sandro Viola

Quel che m'aveva impressionato, nei giorni scorsi, è che nessun israeliano pronuncia più la parola pace. Le pochissime, residue speranze d'una svolta che fermi o almeno riduca la carneficina, appaiono infatti svanite. E le attese si sono ormai ridotte a due: l'attesa snervante delle bombe, e poi, sugli schermi della tv, le immagini delle rappresaglie israeliane. "Dovessi riassumere il momento psicologico in Israele", m'aveva detto l'altro giorno il filosofo Avishai Margalit, uno dei più prestigiosi intellettuali israeliani, "userei la parola scoramento. Oppure disperazione. Ma non la disperazione "attiva" di cui parla Kant, che bene o male contiene ancora una volontà, una capacità di reagire. No, qui si tratta ormai d'una cupa rassegnazione al peggio".

Il peggio ha preso forma ieri mattina a Gaza, attorno alle 6, quando un elicottero dell'esercito ha indirizzato tre missili sullo sceicco Ahmed Yassin, il capo religioso e politico di Hamas, facendolo a pezzi. Con quei tre missili il governo Sharon ha intrapreso un'"escalation" senza più freni o cautele, di cui saranno in molti a pagare il prezzo. In Israele, nella Palestina occupata, e forse in tutto il Medio Oriente. Il peggio, appunto, che poteva succedere. Perché l'omicidio dello sceicco Yassin è un altro calcio nel termitaio del terrorismo islamico, un altro fiammifero acceso di fianco allo zolfo del fanatismo fondamentalista. L'apertura dissennata d'un altro varco alle offensive della Jihad.

Il silenzio che gravava nelle strade di Gerusalemme ieri sera (pochissime automobili in giro, caffè deserti, saracinesche abbassate nella parte araba della città, famiglie riunite attorno all'apparecchio televisivo per seguire i notiziari), era quello dei momenti di maggior tensione nella storia del conflitto israelo-palestinese.

Ricordava le ore in cui ventun anni fa giunsero le notizie della strage di Sabra e Shatila, o le sere successive all'assassinio di Rabin.

Nessuno in Israele ignora, infatti, che i tre missili di Gaza provocheranno una risposta terroristica sanguinosa. Che è una questione di giorni, forse di ore: ma che il conto alla rovescia è già cominciato.

È vero, gran parte degli israeliani (tra cui gli autisti dei due taxi che ho preso nel pomeriggio) sono convinti che Sharon abbia fatto bene: che con i palestinesi si può trattare soltanto con la forza. E infatti un sondaggio di pochi giorni fa rivelava che il 68 per cento degli intervistati era favorevole all'eliminazione "mirata" dei leader della rivolta, "anche quando vi viene coinvolta la popolazione civile". Mentre soltanto una parte minoritaria, se non si deve dire elitaria, della società israeliana pensa che l'omicidio dello sceicco Yassin sia stato un errore.

Ma c'è una cosa che gli uni e gli altri sanno bene. Sanno che a Gaza decine di giovani bussano ogni settimana alla porta di Hamas, chiedendo che venga loro affidata una spedizione suicida. Quelli che vengono rimandati indietro si rifanno vivi, di nuovo imploranti, dopo pochi giorni, e di nuovo vengono respinti. Ognuno di loro potrà essere richiamato, tuttavia, al momento opportuno. E ormai i tempi tra il reclutamento e l'attentato si sono fatti stretti. Il periodo di preparazione mistico-religiosa, i giorni d'isolamento che il "martire" doveva vivere prima di farsi esplodere in una città israeliana, sono cose dei primordi del terrorismo suicida. Adesso basta un pomeriggio per insegnare allo shaid come s'innesca la cintura esplosiva, e dove dovrà andare a innescarla. Poche, semplici, terribili istruzioni che nei prossimi pomeriggi verranno impartite a una schiera di giovani aspiranti al martirio.

Che cosa potrebbe esserci quindi, nelle strade di Gerusalemme, se non l'ansioso silenzio di stasera? Chi può illudersi che i lunghi tratti del Muro già eretti, i reticolati percorsi dalla corrente elettrica, i posti di blocco dell'esercito, gli elicotteri in ricognizione riescano a fermare gli shaid e il loro carico di odio e dinamite? Gli "omicidi mirati" dei capi delle organizzazioni terroristiche palestinesi vanno avanti ormai da anni, ma non hanno impedito che in questi anni centinaia d'attentati facessero scorrere una quantità di sangue israeliano: 377 morti e più di 2000 feriti tra la sola popolazione civile.

Del resto non erano soltanto l'Unione europea per bocca di Javier Solana, o gli editoriali di Haaretz e della stampa liberal di mezzo mondo, o i pacifisti israeliani, a dire che la politica della pura repressione condotta da Sharon, "omicidi mirati" compresi, non stava servendo a niente. C'erano ben quattro ex capi dello Shin Bet, il famoso servizio segreto - uno dei vanti d'Israele - , che tre mesi fa l'avevano dichiarato in modo esplicito: in assenza di qualsiasi iniziativa politica, la repressione può portare soltanto alla catastrofe. Uno di loro, Ami Ayalin, aveva avvertito: ci sono le prove, i numeri: più s'ammazzano i capi e più aumentano gli attentatori-suicidi. Sinché l'altro giorno, durante la seduta del governo che ha deciso la condanna a morte dello sceicco Yassin, non s'è alzato a parlare l'attuale capo dei servizi, Avi Dichter. Se volete farlo, ha detto Dichter, fatelo. Ma io sono contrario, perché i vantaggi che ne possono venire sono assai inferiori ai guai cui andremo incontro.

Perciò è difficile capire quale calcolo abbia spinto Sharon a volere l'eliminazione del capo di Hamas. Perché Sharon conosce gli arabi, sa sino a che punto si sia andata islamizzando negli ultimi anni Gaza. E non poteva quindi ignorare l'effetto sconvolgente che avrebbe avuto tra i palestinesi di Gaza l'omicidio d'un vecchio paralitico in sedia a rotelle, all'uscita dalla moschea dopo la preghiera del mattino. Non poteva aver trascurato che proprio quei simboli, la vecchiaia, l'invalidità, l'uscita dalla moschea, avrebbero reso la morte dello sceicco Yassin un evento incancellabile, gravido di nuovo e tremendo odio, nella rivolta palestinese contro l'occupazione israeliana.

Certo, Ahmed Yassin era il responsabile della morte di centinaia d'israeliani: nei caffè dove parlavano con gli amici, negli autobus con cui andavano al lavoro, nelle strade mentre facevano la spesa. È stato lui a seminare Gaza e in parte anche la Cisgiordania, di quella cultura della morte da cui sono emersi gli shaid, i terroristi suicidi che con le loro bombe hanno modificato per la prima volta il rapporto di forze tra occupati e occupanti, togliendo a quest'ultimi la totale capacità di sopraffazione che avevano sempre avuto. È stato lui a inserire nell'atto costitutivo di Hamas quella frase impressionante: "Dio è la meta, il Profeta la guida, il Corano la costituzione, la guerra santa indica la strada, e morire per Dio è il più profondo, nobile desiderio".

Ma il punto che più interessa, stasera, non è la malvagità dello sceicco: è quello della valutazione politica con cui è stata decisa la sua morte, l'opportunità della decisione, il fatto di non aver esitato dinanzi alle gravi conseguenze che essa non può non comportare. In due parole, quel che Sharon aveva e ha in mente. Dove pensa di portare Israele, lui che nel gennaio 2001 s'era fatto eleggere promettendo: "Datemi cento giorni, e schiaccerò l'Intifada".

A occhio, Ariel Sharon peserà ormai ben più d'un quintale. Il passo è ancora energico, perché dopo una vita trascorsa più sui trattori della sua fattoria e sui campi di battaglia che non negli uffici ministeriali, la muscolatura dev'essergli rimasta soda. Ma con tutto quel grasso, con lo stomaco che gli si protende enorme dalla cintola, il fiato s'è fatto corto. E non è solo per questo, la condizione fisica d'un vecchio di 76 anni, che Sharon dà un'impressione d'affanno. C'è altro, infatti. Il turbine di due scandali finanziari che investe da mesi lui e i suoi figli, le indagini della magistratura, le richieste di dimissioni che vengono dai partiti della sinistra. E se tutto questo non bastasse, c'è il bilancio di tre anni di governo. Fine d'ogni dialogo con i palestinesi, attentati spaventosi, crisi economica, rovina dell'immagine d'Israele nel mondo.

Sì, questo è il punto. La difficoltà di capire a che cosa miri, cosa intenda fare per tenere il suo paese al riparo d'altre sventure, Sharon. E la difficoltà di capire perché la maggioranza degli israeliani continui a dargli fiducia.

Sullo stesso argomento

 
Cos'� ArchivioStampa?
Una finestra sul mondo della cultura, della politica, dell'economia e della scienza. Ogni giorno, una selezione di articoli comparsi sulla stampa italiana e internazionale. [Leggi]
Rassegna personale
Attualmente non hai selezionato directory degli articoli da incrociare.
Sponsor
Contenuti
Notizie dal mondo
Notizie dal mondo
Community
• Forum
Elenco degli utenti

Sono nuovo... registratemi!
Ho dimenticato la password
• Sono già registrato:
User ID

Password
Network
Newsletter

iscriviti cancella
Suggerisci questo sito

Attenzione
I documenti raccolti in questo sito non rappresentano il parere degli autori che si sono limitatati a raccoglierli come strumento di studio e analisi.
Comune di Roma

Questo progetto imprenditoriale ha ottenuto il sostegno del Comune di Roma nell'ambito delle azioni di sviluppo e recupero delle periferie

by Mondo a Colori Media Network s.r.l. 2006-2024
Valid XHTML 1.0, CSS 2.0