Da La Repubblica del 23/11/2005

Addio costituzione pacifista in Giappone torna l'esercito

Il premier Koizumi ha presentato il testo: "Dobbiamo poter reagire ai conflitti"

di Federico Rampini

TOKYO - La grande svolta del Giappone è arrivata. La Costituzione pacifista, dettata dal generale americano MacArthur dopo la resa incondizionata dell'imperatore Hirohito il 2 settembre 1945, diventa una reliquia della storia. Il Giappone tornerà ad avere un esercito di nome oltre che di fatto. Scompare un tabù che durava da 60 anni, e lo strappo è destinato ad accentuare le tensioni strategiche già acute in Estremo Oriente, in particolare l'escalation di ostilità fra Tokyo e Pechino. Il passo è stato compiuto ieri da Junichiro Koizumi che ha scelto una occasione solenne. Celebrando in un hotel di Tokyo mezzo secolo di vita del partito liberaldemocratico (Pld), che governa il paese quasi ininterrottamente dal 1955, il premier ha presentato l'atteso e controverso testo della nuova Costituzione. «Dobbiamo raccogliere le sfide - ha detto Koizumi - e saper reagire ai conflitti che possono sorgere sulla scena internazionale nei prossimi 50 anni».

Con la vecchia Costituzione, per il momento ancora in vigore, il Giappone rinunciava ad avere delle forze armate predisposte per una guerra, e si vietava ogni partecipazione militare a conflitti internazionali. Dalla fine della seconda guerra mondiale Tokyo ha avuto solo una Forza di Autodifesa. Anche la sua partecipazione a operazioni peace-keeping è avvenuta esclusivamente con truppe non combattenti (è il caso dei 500 giapponesi inviati a partecipare alla ricostruzione dell'Iraq). La nuova Carta fondamentale riscritta dal partito di governo abolisce quelle limitazioni. Viene cancellato il famoso articolo 9 che recita: «Non saranno mai in funzione forze armate terrestri, navali o aeree, o qualsiasi altro potenziale bellico». La futura Costituzione riabilita il termine di «forze militari», ridà al paese un esercito a tutti gli effetti, lo autorizza a intervenire in «operazioni di sicurezza internazionali». Anche nella nuova versione resta a chiare lettere il rifiuto della guerra, ma il cambiamento è netto.

E' un segnale forte che il Giappone sposa una politica di riarmo. La nuova atmosfera nazionalista che regna a Tokyo è stata sottolineata ieri dal tono del discorso di Yoshiro Mori, l'ex primo ministro a cui Koizumi aveva affidato la responsabilità dei lavori di riforma costituzionale. «La vecchia Carta - ha dichiarato Mori di fronte all'assemblea di partito - fu scritta in nove giorni dalle forze di occupazione americane, non possiamo certo dire che fu opera del popolo giapponese. Finalmente è giunto il momento in cui siamo noi a darci la nostra Costituzione». Il progetto di legge dovrebbe passare con facilità all'esame del Parlamento. I liberaldemocratici sono reduci da un trionfo alle urne, la «valanga Koizumi» alle elezioni anticipate dell'11 settembre scorso, che ha consolidato la loro maggioranza.

Anche se il discorso di Yoshiro Mori conteneva accenti di «rivincita» rispetto all'umiliazione nazionale subìta per i diktat americani del dopoguerra, oggi Washington sostiene con vigore il nuovo corso giapponese. In una fase in cui l'America impantanata in Iraq deve ridimensionare le sue truppe nelle basi asiatiche, Tokyo ha un ruolo cruciale nelle nuove strategie americane. Il riarmo nipponico è decisivo nel dispositivo con cui gli Stati Uniti cercano di reagire all'emergere della Cina come superpotenza economica, politica e militare. Il governo Koizumi sposa in pieno la visione di Washington sul pericolo cinese. Il responsabile giapponese della Difesa Fukushiro Nukaga è intervenuto a un popolare talk show televisivo per dipingere un quadro allarmato del rafforzamento di Pechino. «Siamo gravemente preoccupati - ha detto Nukaga - per la rapida crescita della spesa cinese negli armamenti». Ha ricordato che navi militari cinesi si sono avvicinate ripetutamente negli ultimi mesi alle acque territoriali contese fra i due Stati nel Mar della Cina orientale. Quelle acque hanno un valore particolare a causa dei giacimenti petroliferi sottomarini che ambedue i paesi vogliono sfruttare. Nukaga ha aggiunto che negli ultimi sei mesi i caccia militari del Giappone hanno dovuto intercettare 30 volte degli apparecchi cinesi che stavano sconfinando sullo spazio aereo nipponico. Ha denunciato la «mancanza di trasparenza» del budget militare di Pechino, che starebbe crescendo di anno in anno «con tassi percentuali a due cifre», alimentato anche dal boom dell'economia cinese.

Le accuse sono reciproche. Pechino denuncia una deriva nazionalista in atto sotto il governo Koizumi. Le visite del premier giapponese al tempio di Tokyo dove sono onorati anche alcuni criminali di guerra hanno scatenato l'ira dei leader cinesi, e le manifestazioni di piazza dell'aprile scorso, quando a Pechino Shanghai e Canton gli studenti hanno assalito sedi diplomatiche e filiali di multinazionali del Giappone. Per i cinesi, e anche per i coreani, quelle visite al tempio sarebbero la prova che Koizumi rifiuta le responsabilità del passato, cioè i danni della politica imperialista che portò i giapponesi a invadere gran parte dell'Asia.

L'accusa viene ripetuta a proposito dei manuali di storia «revisionisti», adottati in alcune scuole giapponesi, in cui l'espansionismo degli anni Trenta viene giustificato e si passano sotto silenzio le atrocità commesse nei paesi occupati. L'eminenza grigia della intelligence giapponese, Hiroshi Shigeta, ribatte guardando al futuro. Nel 1996, quando la Cina provò a intimidire Taiwan con delle manovre militari, dovette battere in ritirata di fronte all'arrivo delle portaerei americane. Fra dieci anni secondo Shigeta i rapporti di forza non saranno più gli stessi, e allora tutto potrà accadere. L'esempio non è scelto a caso. Tra gli «strappi» di Koizumi che fanno infuriare i cinesi, c'è l'accordo a schierare le forze armate giapponesi a fianco degli americani in difesa di Taiwan, se l'isola venisse invasa dalla Cina.

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