Da Peace Reporter del 03/06/2006
Originale su http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=&idart=5523
Grandi Laghi, un’estate senza guerre?
Spiragli di pace in Burundi e Uganda
di Matteo Fagotto
Almeno 320 mila morti e milioni di profughi: tanto sono costate, finora, le guerre in Burundi e Uganda. Le prossime settimane potrebbero però rivelarsi fondamentali per la conclusione di due conflitti che hanno insanguinato i Grandi Laghi negli ultimi 20 anni: i colloqui di pace di Dar es Salaam e le recenti aperture del leader ribelle ugandese Joseph Kony fanno ben sperare per il futuro.
BURUNDI. C’è voluto più di anno di trattative e abboccamenti, per far sì che il nuovo governo burundese e i ribelli delle Forces Nationales de Liberation si incontrassero ancora. Lunedì, a Dar es Salaam, in Tanzania, sono cominciati i colloqui di pace che potrebbero mettere la parola fine alla guerra civile, che dal 1993 ha provocato più di 300 mila vittime. Le Fnl sono l’unico gruppo ribelle ancora attivo, dopo la firma degli accordi di pace del 2003 che permisero alle Forces democratiques de Defence, l’allora principale gruppo armato del Paese, di entrare nelle istituzioni di transizione. Da allora, il Burundi ha organizzato l’inserimento dei ribelli nell’esercito e le prime elezioni del dopoguerra, stravinte dalle Fdd. Il loro ex-leader, Pierre Nkurunziza, è ora presidente.
OTTIMISMO. Iniziata come ribellione della maggioranza Hutu allo strapotere dei Tutsi, che pur essendo solo il 15 percento della popolazione controllavano la vita politica e militare del Paese, la guerra civile ha portato se non altro un riequilibrio tra le due comunità: prova ne è la vittoria degli ex-ribelli alle elezioni parlamentari e presidenziali. Una garanzia che non basta alle Fnl, le quali continuano a ritenere il governo burundese un pupazzo nelle mani della comunità internazionale e chiedono di trattare con i vertici Tutsi. Non è però chiaro quali siano le istanze portate avanti dalle Fnl, tanto che alla vigilia degli incontri tanzaniani non era stata stilata alcuna agenda che anticipasse i termini delle trattative. Nonostante la reciproca diffidenza, comunque, le parti sembrano più propense a intavolare trattative serie rispetto all’anno scorso. Se non altro, si sono accordate sul mediatore, che sarà il Ministro per la Sicurezza sudafricano Charles Ngqakula. Il fatto che ora, in Burundi, gli Hutu siano al potere, toglie molta legittimità alla lotta dei ribelli, e questo le Fnl lo sanno. Prematuro farsi illusioni sui risultati, ma un moderato ottimismo è d’obbligo.
UGANDA. Diversa la situazione dell’Uganda, dove ormai da 20 anni si sta consumando una delle peggiori tragedie umanitarie del mondo: i morti causati dalla guerra con i ribelli del Lord’s Resistance Army sono “solo” 20 mila, ma l’80 percento della popolazione dei distretti settentrionali del Paese vive nei campi profughi, e l’economia della regione è al collasso. I ribelli, indeboliti dalle offensive dell’esercito, si spostano in continuazione tra Uganda, Congo e Sudan meridionale, lanciando attacchi contro la popolazione civile per rifornirsi di soldi e viveri. La scorsa settimana, in un dvd registrato, il leader ribelle Kony ha però per la prima volta offerto un ramoscello d’ulivo al governo, chiedendo l’apertura di trattative.
CAUTELA. Anche qui, la cautela è d’obbligo: tutti i precedenti approcci tra ribelli e governo sono puntualmente naufragati, tanto da far pensare che fossero una tattica deliberata dei ribelli per riorganizzarsi, in occasione delle offensive dell’esercito. Stavolta, però, Kony è sceso in campo personalmente, cosa mai successa prima d’ora. Segno che potrebbe davvero essere la volta buona. Il governo ha già fatto sapere che, pur di raggiungere un accordo, garantirà un’amnistia ai ribelli, passando sopra alla denuncia presentata dalle stesse autorità ugandesi contro Kony alla Corte Penale Internazionale dell’Aia. Ora la palla ripassa ai ribelli, che dovranno dar seguito alla loro offerta. Per evitare che i Grandi Laghi passino un’altra estate di guerra.
BURUNDI. C’è voluto più di anno di trattative e abboccamenti, per far sì che il nuovo governo burundese e i ribelli delle Forces Nationales de Liberation si incontrassero ancora. Lunedì, a Dar es Salaam, in Tanzania, sono cominciati i colloqui di pace che potrebbero mettere la parola fine alla guerra civile, che dal 1993 ha provocato più di 300 mila vittime. Le Fnl sono l’unico gruppo ribelle ancora attivo, dopo la firma degli accordi di pace del 2003 che permisero alle Forces democratiques de Defence, l’allora principale gruppo armato del Paese, di entrare nelle istituzioni di transizione. Da allora, il Burundi ha organizzato l’inserimento dei ribelli nell’esercito e le prime elezioni del dopoguerra, stravinte dalle Fdd. Il loro ex-leader, Pierre Nkurunziza, è ora presidente.
OTTIMISMO. Iniziata come ribellione della maggioranza Hutu allo strapotere dei Tutsi, che pur essendo solo il 15 percento della popolazione controllavano la vita politica e militare del Paese, la guerra civile ha portato se non altro un riequilibrio tra le due comunità: prova ne è la vittoria degli ex-ribelli alle elezioni parlamentari e presidenziali. Una garanzia che non basta alle Fnl, le quali continuano a ritenere il governo burundese un pupazzo nelle mani della comunità internazionale e chiedono di trattare con i vertici Tutsi. Non è però chiaro quali siano le istanze portate avanti dalle Fnl, tanto che alla vigilia degli incontri tanzaniani non era stata stilata alcuna agenda che anticipasse i termini delle trattative. Nonostante la reciproca diffidenza, comunque, le parti sembrano più propense a intavolare trattative serie rispetto all’anno scorso. Se non altro, si sono accordate sul mediatore, che sarà il Ministro per la Sicurezza sudafricano Charles Ngqakula. Il fatto che ora, in Burundi, gli Hutu siano al potere, toglie molta legittimità alla lotta dei ribelli, e questo le Fnl lo sanno. Prematuro farsi illusioni sui risultati, ma un moderato ottimismo è d’obbligo.
UGANDA. Diversa la situazione dell’Uganda, dove ormai da 20 anni si sta consumando una delle peggiori tragedie umanitarie del mondo: i morti causati dalla guerra con i ribelli del Lord’s Resistance Army sono “solo” 20 mila, ma l’80 percento della popolazione dei distretti settentrionali del Paese vive nei campi profughi, e l’economia della regione è al collasso. I ribelli, indeboliti dalle offensive dell’esercito, si spostano in continuazione tra Uganda, Congo e Sudan meridionale, lanciando attacchi contro la popolazione civile per rifornirsi di soldi e viveri. La scorsa settimana, in un dvd registrato, il leader ribelle Kony ha però per la prima volta offerto un ramoscello d’ulivo al governo, chiedendo l’apertura di trattative.
CAUTELA. Anche qui, la cautela è d’obbligo: tutti i precedenti approcci tra ribelli e governo sono puntualmente naufragati, tanto da far pensare che fossero una tattica deliberata dei ribelli per riorganizzarsi, in occasione delle offensive dell’esercito. Stavolta, però, Kony è sceso in campo personalmente, cosa mai successa prima d’ora. Segno che potrebbe davvero essere la volta buona. Il governo ha già fatto sapere che, pur di raggiungere un accordo, garantirà un’amnistia ai ribelli, passando sopra alla denuncia presentata dalle stesse autorità ugandesi contro Kony alla Corte Penale Internazionale dell’Aia. Ora la palla ripassa ai ribelli, che dovranno dar seguito alla loro offerta. Per evitare che i Grandi Laghi passino un’altra estate di guerra.
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