Il divario digitale. Internet e le nuove disuguaglianze sociali
Edito da Il Mulino, 2006
201 pagine, € 12,00
ISBN 8815109706
di Laura Sartori
Quarta di copertina
Le enormi possibilità che le nuove tecnologie hanno spalancato sono però accompagnate anche da nuove disuguaglianze. È il segretario generale dell'Onu a dichiarare, parlando dei Paesi in via di sviluppo, che "oggi essere tagliati fuori dai servizi di telecomunicazione è una difficoltà grave quanto la mancanza di lavoro, cibo, abitazione, assistenza medica, acqua potabile." Ma anche nei Paesi sviluppati, dove le deprivazioni materiali sono più contenute, le disparità di accesso alle nuove tecnologie della comunicazione incidono fortemente. Un fenomeno - cui è stato dato il nome di "digital divide", in italiano "divario digitale" - sul quale si moltiplicano le indagini, le discussioni, gli interventi.
Le enormi possibilità che le nuove tecnologie hanno spalancato sono però accompagnate anche da nuove disuguaglianze. È il segretario generale dell'Onu a dichiarare, parlando dei Paesi in via di sviluppo, che "oggi essere tagliati fuori dai servizi di telecomunicazione è una difficoltà grave quanto la mancanza di lavoro, cibo, abitazione, assistenza medica, acqua potabile." Ma anche nei Paesi sviluppati, dove le deprivazioni materiali sono più contenute, le disparità di accesso alle nuove tecnologie della comunicazione incidono fortemente. Un fenomeno - cui è stato dato il nome di "digital divide", in italiano "divario digitale" - sul quale si moltiplicano le indagini, le discussioni, gli interventi.
Recensione
Dalla metà degli anni Sessanta ad oggi i paesi in via di sviluppo hanno notevolmente ridotto la distanza che li separava dai paesi industrializzati riguardo l’esposizione ai mass media come radio e Tv. Le nuove tecnologie di comunicazione ed Internet in particolare, invece, nonostante siano indicate dai più come la strada da battere per essere vincenti nell’era della globalizzazione, hanno riproposto l’annosa questione del gap tra nord e sud del mondo sotto l’etichetta del digital divide o divario digitale.
Il mancato utilizzo di Internet non riguarda solo una dimensione di equità sociale ma investe lo sviluppo stesso di un paese o di un territorio: non è quindi importante solo sotto il profilo sociale, grazie alle nuove opportunità di accesso alle informazioni e alla conoscenza, ma anche dal punto di vista dell’efficienza e dello sviluppo.
Rispetto ai primi timidi studi degli anni Novanta, oggi è possibile rintracciare un consenso diffuso sul fatto che il digital divide sia un fenomeno complesso e che vada oltre il semplice accesso alla tecnologia: la concezione di un divario in base all’accesso si sposta gradualmente verso l’idea di un “pieno accesso sociale”, contrapponendone uno formale ad uno effettivo.
Di conseguenza, con una certa sorpresa di chi sposava l’ipotesi della normalizzazione, secondo cui il fenomeno in questione è transitorio e destinato a risolversi grazie alle virtù taumaturgiche del tempo e del mercato, oggi si parla sempre di più di digital divide anche in riferimento ai paesi industrializzati. Il divario si è evoluto in disuguaglianza digitale.
Avere accesso ad Internet a qualsiasi costo non è più sufficiente: non è la stessa cosa accedere con un vecchio modem a 56Kbit o con la banda larga; non lo è utilizzare esclusivamente l’e-mail per comunicare o usufruire di tutti gli altri mezzi che la Rete mette a disposizione; non lo è essere semplici ricettori di informazioni veicolate attraverso il Web come un qualsiasi altro mezzo di comunicazione di massa o essere prosumer, cioè produttori di contenuti online; non lo è infine instaurare relazioni unidirezionali con le istituzioni piuttosto che interazioni dirette che hanno il sapore di esperimenti di democrazia diretta.
A fronte del panorama delineato, l’autrice conclude l’opera auspicando che le politiche volte a contrastare il divario digitale non vengano abbandonate ma vengano anzi rafforzate affinché la sfasatura in corso non si radicalizzi.
Filippo Di Blasi
Dalla metà degli anni Sessanta ad oggi i paesi in via di sviluppo hanno notevolmente ridotto la distanza che li separava dai paesi industrializzati riguardo l’esposizione ai mass media come radio e Tv. Le nuove tecnologie di comunicazione ed Internet in particolare, invece, nonostante siano indicate dai più come la strada da battere per essere vincenti nell’era della globalizzazione, hanno riproposto l’annosa questione del gap tra nord e sud del mondo sotto l’etichetta del digital divide o divario digitale.
Il mancato utilizzo di Internet non riguarda solo una dimensione di equità sociale ma investe lo sviluppo stesso di un paese o di un territorio: non è quindi importante solo sotto il profilo sociale, grazie alle nuove opportunità di accesso alle informazioni e alla conoscenza, ma anche dal punto di vista dell’efficienza e dello sviluppo.
Rispetto ai primi timidi studi degli anni Novanta, oggi è possibile rintracciare un consenso diffuso sul fatto che il digital divide sia un fenomeno complesso e che vada oltre il semplice accesso alla tecnologia: la concezione di un divario in base all’accesso si sposta gradualmente verso l’idea di un “pieno accesso sociale”, contrapponendone uno formale ad uno effettivo.
Di conseguenza, con una certa sorpresa di chi sposava l’ipotesi della normalizzazione, secondo cui il fenomeno in questione è transitorio e destinato a risolversi grazie alle virtù taumaturgiche del tempo e del mercato, oggi si parla sempre di più di digital divide anche in riferimento ai paesi industrializzati. Il divario si è evoluto in disuguaglianza digitale.
Avere accesso ad Internet a qualsiasi costo non è più sufficiente: non è la stessa cosa accedere con un vecchio modem a 56Kbit o con la banda larga; non lo è utilizzare esclusivamente l’e-mail per comunicare o usufruire di tutti gli altri mezzi che la Rete mette a disposizione; non lo è essere semplici ricettori di informazioni veicolate attraverso il Web come un qualsiasi altro mezzo di comunicazione di massa o essere prosumer, cioè produttori di contenuti online; non lo è infine instaurare relazioni unidirezionali con le istituzioni piuttosto che interazioni dirette che hanno il sapore di esperimenti di democrazia diretta.
A fronte del panorama delineato, l’autrice conclude l’opera auspicando che le politiche volte a contrastare il divario digitale non vengano abbandonate ma vengano anzi rafforzate affinché la sfasatura in corso non si radicalizzi.
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