Da Lettera 22 del 01/10/2006
Originale su http://www.lettera22.it/showart.php?id=5684&rubrica=122
Somalia: caos infinito, cronologia di un paese alla deriva
E' nel 1991 che la Somalia, governata dal golpista Siad Barre, un ex militare che a lungo ha goduto dell'appoggio italiano, precipita nel caos. Nonostante il ministro degli Esteri dell'epoca, Gianni De Michelis, si ostini a dire che "non esiste un caso Somalia", Barre, reduce da una guerra rovinosa con l'Etiopia, in conflitto con diversi clan del paese e sordo a qualsiasi apertura con l'opposizione, viene costretto alla fuga dalla piazza. Ma dietro la piazza vi sono i clan, le cui rivalità interne scatenano una guerra senza confini per il controllo di Mogadiscio e delle risorse del paese. Mentre l'unità nazionale si disintegra e l'ex Somalia britannica si costituisce in Somaliland, i "signori della guerra" si spartiscono il paese che precipita in una spaventosa emergenza umanitaria.
La missione internazionale sotto mandato Onu "Restore hope", cui partecipa anche un contingente italiano, però fallisce: tra le polemiche fra i diversi comandi e per la debacle militare che umilia soprattutto i marine americani. In una feroce battaglia a Mogadiscio, i cadaveri di diversi soldati Usa, rimasti intrappolati in città, vengono trascinati per le strade al grido di Allah u akbar. E' il primo segnale che l'islam radicale si sta facendo strada. Anche l'Italia paga un alto tributo di sangue: alla fine della missione nel 1994 si contano undici vittime tra i militari, un'infermiera della Croce Rossa e, il 20 marzo, i due giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, che indagavano sul traffico d'armi. Nel 1995, i peacekeeper dell'Onu gettano la spugna e il paese viene abbandonato mentre divampa la guerra tra i warlord.
Solo dopo la morte del potente Muhammad Aidid nel 1996, i clan accettano di incontrarsi al Cairo nel '97 per formare un governo nazionale. Ma le trattative falliscono mentre anche un'altra regione, il Puntland, proclama l'indipendenza. Nel 2000 a Gibuti viene eletto presidente della Somalia Abdulkassim Salat Hassan che, nell'ottobre, accompagnato dal premier "sulla carta" Gelayadh tenta il suo primo ingresso a Mogadiscio. I kalashnikov però tornano a cantare e nel maggio del 2001 la capitale assiste all'ennesima battaglia tra le milizie del governo di transizione e quelle del figlio di Aidid, Hussein. L'Onu, che lancia l'ennesimo allarme umanitario a causa di siccità, malattie e carenza di cibo, evacua nel settembre del 2001, tutto il suo personale umanitario. Il paese è alla deriva.
Nel 2002 una ventina di fazioni siglano un nuovo accordo col governo di transizione (che ha sede a Nairobi) mentre il Somaliland elegge il suo primo presidente, Dahir Riyale Kahin. Nel 2004 in Kenia viene siglato un nuovo accordo tra governo e fazioni per la nascita di un parlamento somalo ma, nell'estate, la guerra tra fazioni ricomincia. Il nuovo parlamento di transizione va avanti ed elegge, nell'agosto del 2005, il presidente Abdullahi Yusuf e poi il premier Ali Mohammed Ghedi. Ma a far terminare davvero la guerra delle fazioni è l'ingresso sulla scena delle Corti islamiche. E' con queste milizie che adesso fa i conti il fragile governo di transizione. La sede dei negoziati si è spostata a Khartoum, sotto lo sguardo dell'Unione africana, dell'Igad, la conferenza dei paesi dell'Africa occidentale, e del gruppo di contatto internazionale di cui fa parte anche l'Italia.
La missione internazionale sotto mandato Onu "Restore hope", cui partecipa anche un contingente italiano, però fallisce: tra le polemiche fra i diversi comandi e per la debacle militare che umilia soprattutto i marine americani. In una feroce battaglia a Mogadiscio, i cadaveri di diversi soldati Usa, rimasti intrappolati in città, vengono trascinati per le strade al grido di Allah u akbar. E' il primo segnale che l'islam radicale si sta facendo strada. Anche l'Italia paga un alto tributo di sangue: alla fine della missione nel 1994 si contano undici vittime tra i militari, un'infermiera della Croce Rossa e, il 20 marzo, i due giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, che indagavano sul traffico d'armi. Nel 1995, i peacekeeper dell'Onu gettano la spugna e il paese viene abbandonato mentre divampa la guerra tra i warlord.
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