Da La Repubblica del 13/11/2003
Originale su http://www.repubblica.it/2003/k/sezioni/esteri/iraq6/traccia/traccia.html

Secondo la Difesa i Servizi avvrebbero avvertito di un pericolo imminente. Ma da mesi prevaleva l'ottimismo

Troppi allarmi, nessuna traccia. Il Sismi provò a evitare l'attacco

di Carlo Bonini

ROMA - Il Sismi sapeva, si dice ora. A sentire fonti del ministero della Difesa, forse già dalla mezzanotte di martedì, quando con un ultimo dispaccio avrebbe segnalato che soldati italiani e marines americani dovevano ritenersi un solo bersaglio, perché "considerati un fronte unico della guerra santa proclamata dall'Islam estremista contro l'Occidente intero". Si aggiunge ancora: sapeva il Sismi e, dall'alba di ieri, sapeva la Cia. Quantomeno, prudentemente si corregge, "possiamo dire che da tempo era alto il livello di vigilanza del nostro servizio militare" (è quanto ha dichiarato Enzo Bianco, presidente del Comitato parlamentare di controllo sui servizi di sicurezza).

Ma cosa davvero sapeva il Sismi? E cosa e come quel che sapeva è stato comunicato e condiviso? Nel mercoledì di sangue delle nostre forze armate, conviene partire da qui, da queste domande. Perché nella risposta che offrono - lo vedremo - sta la cronaca del senso di smarrimento che, in soli tre mesi, ha travolto un fin troppo generoso ottimismo della nostra intelligence militare, trasformandolo prima in inquietudine, quindi in paura. E questo, mentre il terreno si rivelava rapidamente fonte di rischi inattesi, in una fioritura di nemici dalle sigle sin lì sconosciute, in un accavallarsi disordinato di informazioni copiose ma apparentemente incoerenti e dunque lavorate all'ingrosso. È una storia scritta nella sequenza delle informative trasmesse dal Sismi all'autorità politica tra l'agosto scorso e la fine di ottobre. Documenti cui Repubblica ha avuto accesso. Vediamo.

È ancora piena estate quando Forte Braschi rassicura Palazzo Chigi. La sede Onu di Bagdad non è stata ancora martoriata dal camion bomba che, il 19 agosto, uccide il rappresentante speciale delle Nazioni Unite Sergio Vieira de Mello con altri 22 innocenti e l'aggressività nei confronti delle forze del contingente alleato non sembra affare che ci riguardi. Al contrario. Il servizio militare, citando quanto l'Imam della moschea Baratha, a Bagdad, va dicendo nelle preghiere del Venerdì, ritiene di poter concludere nella sua informativa che "la popolazione vede con favore la presenza italiana in Iraq". Che, dunque, pur non sottovalutando i rischi di un teatro di operazioni complesso, si può essere ragionevolmente certi che non dovremo condividere con le truppe anglo-americane un pedaggio di sangue.

A ben vedere, l'analisi è significativa non solo per quel che comunica, ma per la data che porta. Quanto accaduto a luglio, proprio a Nassiriya, non sembra infatti aver depositato alcun elemento di legittima preoccupazione nel nostro controspionaggio. E dire che ce ne sarebbero ottimi motivi. Un mese e mezzo prima, il 3 luglio, è proprio questo giornale, per la firma di Renato Caprile, a riferire nelle sue cronache da Nassiriya il plot di sangue di cui il nostro contingente sarà vittima quattro mesi dopo.

Un colonnello iracheno, Hassan Ibrahim Dhahad, responsabile della polizia per l'intera provincia di competenza italiana, gira al Sismi e all'intelligence americana un'informazione precisa. Un camion carico di tritolo e di martiri votati al suicidio si prepara a lasciare la zona chiusa tra le città di Bagdad, Falluja e Ramadi per colpire gli acquartieramenti dei nostri carabinieri.

La notizia viene lasciata cadere. Di più, bollata dal comandante del contingente dell'Arma, Georg Di Pauli, come non verificabile e dunque soltanto fonte di "inutile allarmismo".

Si arriva così a settembre. Si è consumata la strage della moschea di Najaf e a Bagdad si muove qualcosa che piace sempre meno agli americani. "Fonti qualificate" riferiscono il formarsi nella zona dell'aeroporto e dello scalo militare di Habanya di una nuova sigla paramilitare: l'Esercito di Maometto, brigata di irregolari che raccoglie ex funzionari del Baath. Gli analisti del Sismi ne vedono il potenziale pericolo e suonano un primo campanello di allarme. Vestendolo di qualche informazione in più.

L'Esercito di Maometto - si legge nelle informative - combatte anche al riparo di un'altra sigla: l'Avanguardia armata del secondo esercito di Maometto. E in questa formazione - si aggiunge - trovano spazio i Feddayn di Saddam, irregolari già inquadrati nell'esercito del raìs durante la guerra e ora punta di lancia delle operazioni di guerriglia contro il contingente alleato. Gli stessi pubblicamente indiziati ieri dal ministro della Difesa Martino in Senato quali autori della strage di Nassiriya.

Ebbene, in quei giorni di settembre, scrive il Sismi, "è forte la determinazione di queste cellule a colpire tutti coloro che operano al fianco degli americani", al punto che se ne indica anche un potenziale obiettivo: le rappresentanze diplomatiche in Iraq dei paesi della coalizione.

In ottobre, le ambasciate non vengono colpite e di Feddayn ed Esercito di Maometto non si trova più traccia nel flusso informativo del servizio. Al loro posto, dopo che il 18 di quel mese Osama Bin Laden è tornato a minacciare gli alleati del Satana americano (e dunque anche l'Italia), compaiono "estremisti non meglio identificati" dal terrificante piano di morte.

"Precipitare - scrive il Sismi - un velivolo carico di esplosivo su un edificio di Bagdad utilizzato da forze della coalizione". E ancora: "una catena di attentati con congegni esplosivi lungo la rotabile a ovest di Bagdad in direzione Falluja".

Nella sequenza delle informazioni lavorate dal Sismi, che pure soddisfano una certa bulimia degli apparati, è evidente un progressivo confondersi del quadro. Dove, alla consapevolezza del crescere del rischio si combina un fiorire di indicazioni che non per questo aiutano nella prevenzione di possibili attacchi. Al punto che, il 22 ottobre, ascoltato in audizione segreta dal Comitato di controllo sui servizi segreti, il direttore del Sismi, Nicolò Pollari, è costretto a rifugiarsi in un'analisi di scenario sull'Iraq così generica nella sostanza da non catturare alcuna attenzione da parte degli interlocutori.

Sollecitato a offrire una previsione sul significato della minaccia rivolta da Bin Laden il 18 ottobre, Pollari dice: "La circostanza che siano stati colpiti tutti i Paesi indicati da Bin Laden nel precedente proclama dell'11 febbraio 2003 (Arabia Saudita, Yemen, Marocco, Pakistan, Nigeria e Giordania) consiglia la massima attenzione alle nostre truppe. Anche se, allo stato, non si registrano elementi di tensione". Ora, Pollari tornerà a spiegare.

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